L’asta 324 di Künker propone un eccezionale 12 zecchini, punta di diamante di una raccolta che narra in moneta anche il lungo legame tra Venezia e i Mocenigo
a cura della redazione | A prima vista, ducati e zecchini della Repubblica di Venezia sembrano tutti uguali. Da un lato, sul rovescio, mostrano il Cristo nella mandorla decorata dalle stelle. Nella mano sinistra tiene il Vangelo. La mano destra è sollevata in ato benedizione. L’iscrizione rimane sempre la stessa: “Sit tibi Christe datus quem tu regis isted ucatus“, che significa “Cristo, lascia che questo Ducato su cui regni ti sia dato”.
All’apparenza, inoltre, si potrebbe avere l’impressione che anche l’altra faccia della moneta sia invariante, ma una tale lettura è fuorviante. Infatti, essa presenta il rispettivo doge che riceve lo stendardo come segno di dominio su Venezia da san Marco ed è soltanto l’iscrizione a rendere non anonimo o generico il personaggio illustrato. Nella moneta qui sotto proposta in asta da Künker è, nello specifico, Tomaso Mocenigo, che regnò su Venezia dal 1414 al 1423.
Venezia e i Mocenigo: Tomaso, il primo doge della famiglia
Tomaso Mocenigo proveniva da una famiglia originariamente emigrata da Milano, probabilmente verso la fine del Primo millennio. La famiglia era riuscita ad essere ammessa alla classe nobili prima della “serrata”, la chiusura del Gran Consiglio decretata nel 1297. Tuttavia, nel XV secolo, erano ancora considerati parte delle “nuove casate”, ossia di recente nobiltà.
Tomaso doveva essere un uomo incredibilmente vigoroso e competente, con eccellenti legami con la nobiltà europea. Inoltre, era diventato scandalosamente ricco grazie ai commerci con il Levante.
La sua ascesa politica iniziò con il comando di una galea nella guerra di Chioggia (1378-1381). Fu un tale successo che gli venne poi affidato il comando supremo dell’intera flotta veneziana nel 1395. In questa posizione, riuscì a sorprendere Costantinopoli nel 1396 e, subito dopo, a salvare il re tedesco Sigismondo che gli mostrerà in seguito, ampiamente, il proprio favore. Non a caso, il Mocenico soggiornò alla corte di Sigismondo per una missione diplomatica nel 1414, quando venne eletto doge “in contumacia”.
Sotto il suo dominio, Venezia subì un incredibile boom economico. Raggiunse il grado delle grandi potenze italiane, ottenne la supremazia sul Mare Adriatico e concluse accordi commerciali cruciali con i Turchi, da sempre amici-nemici a seconda delle circostanze.
Come diventare doge (e perché molti non volevano diventarlo)
Dopo ciò, ci volle più di mezzo secolo perché il successivo esponente dei Mocenigo venisse eletto doge. Fu a causa dell’elaborato processo elettorale, che fu in vigore dal 1268 fino alla caduta della Repubblica, che ci volle così tanto tempo perché questa famiglia influente tornasse a servire la massima magistratura della Serenissima.
Era un misto di casualità e di attenti consigli: tutti i membri del Gran Consiglio erano potenzialmente eleggibili e potevano votare. Con l’aiuto di due estrazioni successive, venivano determinate 9 persone, che a loro volta nominavano 40 elettori. A sorte, i 40 elettori venivano poi ridotti a 12, che a loro volta nominarono 25 elettori. Questo processo veniva ripetuto due volte fino a quando i 41 elettori erano quelli che effettivamente potevano eleggere il doge tra i membri del Gran Consiglio.
Dopo l’elezione, la Repubblica manteneva con i suoi organismi il pieno controllo sulla figura dogale e le sue attività. Il doge, per assurdo, poteva essere disarcionato in qualsiasi momento e doveva accettare una moltitudine di restrizioni: ad esempio, gli era permesso di lasciare il Palazzo Ducale solo per missioni di Stato. Doveva interrompere tutti gli affari privati e non gli era permesso di accettare regali.
Anche la sua famiglia era sottoposta a vincoli. Agli uomini era proibito di accettare rendite e cariche ecllesiastiche, mentre alle donne era proibito sposare un sovrano straniero. Il doge doveva consultare i suoi consiglieri su tutte le azioni e le decisioni. Non gli era nemmeno permesso di leggere una lettera indirizzata a lui senza la presenza di un consigliere dogale.
Alla fine, dopo la morte del doge, seguiva il conto finale: se c’erano state disaccordi finanziari, la famiglia doveva renderne conto. Non c’è da meravigliarsi se le leggi costitutive veneziane vietavano il rifiuto dell’elezione a doge. Nessun potente sarebbe stato disposto a sottoporsi volontariamente a tali restrizioni.
Venezia e i Mocenigo: Pietro, doge per un anno
Nonostante tutto, per ogni famiglia aristocratica di Venezia rimaneva un grande onore poter dare almeno un doge alla Repubblica. La famiglia Mocenigo ricevette questo onore con una certa frequenza, con un totale di ben sette dogi. Ciò non sorprende dal momento che i Mocenigo erano una delle famiglie più prolifiche e numerose di Venezia. Si contano infatti ben quindici rami principali, oltre a diversi rami secondari più piccoli, nell’albero genealogico.
Pietro era un nipote del primo doge della casata dei Mocenigo. Come suo zio, era comandante in capo della flotta veneziana, e condusse con mano ferma molte guerre e incursioni di successo in Asia Minore.
Le sue monete sono estremamente rare perché è stato praticamente in carica solo per un anno. Fu eletto infatti il 14 dicembre del 1474 e morì di malaria, una malattia che aveva contratto in Asia Minore, il 23 febbraio del 1476.
Giovanni Mocenigo, il fratello minore
Potrebbe essere stato un tributo alla famiglia Mocenigo quello che, dopo un intervallo di due anni, appena, vide il fratello di Pietro, Giovanni Mocenigo, ricevere le insegne di doge. Questi prese il controllo di Venezia dal 1478 al 1485, ma il suo governo fu meno fortunato di quello di suo fratello. La Serenissima dovette rinunciare a vasti possedimenti e inoltre la piaga della peste si presentò a più riprese in città prendendo prima la vita della dogaressa, poi quella del doge stesso.
Alvise Mocenigo: le sfortune del vincitore di Lepanto
Quanto accaduto danneggiò la reputazione pubblica del casato, mettendo in ombra la famiglia Mocenigo. Ci volle, non a caso, quasi un secolo prima che un altro membro Mocenigo venisse eletto doge. Alvise entrò in carica nel 1570 e morì nel 1577. Gli vennero concessi solo sette anni, ma furono anni sufficienti a segnare la storia.
Nel 1571, infatti, la flotta cristiana sconfisse gli Ottomani a Lepanto. Nonostante questa vittoria della Cristianità, il prezzo pagato da Venezia fu altissimo: ben 300.000 ducati per mantenere loro il privilegio di continuare nel commercio tra Occidente cristiano e Oriente musulmano.
Nel 1574, il re di Francia Enrico III visitò la città di Venezia. Alvise Mocenigo lo accolse grande fasto, ma non riuscì a conquistarlo come alleato. Poco dopo, il Palazzo Ducale prese fuovo e la peste scoppiò di nuovo. Fu la peggiore epidemia che Venezia avesse mai sperimentato. Ed è a questo episodio che Venezia deve la chiesa del Redentore. Il Senato, infatti, ne promise solennemente l’edificazione nella seduta del 4 settembre 1576, se la peste fosse cessata. E così fu, all’inizio dell’inverno.
Alvise morì pochi mesi dopo, il 4 giugno 1577. Le malelingue sostennero che si era impiccato perché non riusciva più a sopportare con quanta urgenza tutta Venezia fosse in attesa della sua morte, di un nuovo doge, e quindi di tempi migliori. Insomma, per alcuni il Mocenigo era arrivato quasi a sentirsi uno jettatore per la sua città e la sua gente.
Alvise II, III e IV: tre dogi “di rappresentanza”
Sebbene una splendida nave sia raffigurata in questa osella del XVIII secolo, la potenza navale veneziana era ormai un ricordo del passato agli inizi del XVIII secolo. Ciò nonostante, i Veneziani erano riusciti ad aprire un nuovo settore alla loro economia: una sorta di turismo “ante litteram”.
Venezia era infatti la destinazione preferita da tutti quei giovani principi che venivano inviati a compiere il Grand Tour dai loro padri, accompagnati da un insegnante. Dove i maestri della pittura erano all’ordine del giorno a Firenze, le chiese a Roma e le antiche statue a Napoli, Venezia era un luogo di puro piacere.
La Repubblica, del resto, non aveva quasi più alcun ruolo nella storia. Tuttavia, il Grande e il Piccolo Consiglio si incontravano ancora e, naturalmente, i dogi venivano eletti uno dopo l’altro.
Ben tre membri della famiglia Mocenigo ricoprirono questa carica tra il 1700 e la caduta della Repubblica nel 1797. Tutti portavano il nome Alvise, poiché il primo doge di questo nome era rimasto senza figli. Aveva lasciato in eredità tutta la sua fortuna ai suoi fratelli, con la condizione di dare il suo ome ai primogeniti maschi di ogni ramo.
Le monete di questa epoca sono più grandi e più appariscenti di quelle dei tempi precedenti. E’ il caso, ad esempio, di un esemplare “fuori serie” d’oro da 12 zecchini battuto con i conii dello scudo della croce, servito come donativo di ostentazione destinato a visitatori illustri o, forse, per pagare artisti di primo piano.
Dopo tutto, la reputazione di Venezia era basata non solo sui suoi numerosi casinò, ma anche sulla qualità della sua musica e delle sue esibizioni teatrali, nonché sulle sue corride e balli in maschera. Per questo motivo, la Serenissima ha attratto celebrità da tutta Europa nella sua città e li ha premiati con doni monetari impressionanti.
Venezia e i Mocenigo: scandalo allo Sposalizio del Mare
Il clou del calendario “turistico” veneziano nei secoli scorsi era la sfarzosa cerimonia dello Sposalizio del Mare, il matrimonio tra la città lagunare e l’Adriatico, che si svolgeva ogni anno nella festa dell’Ascensione di Cristo.
Rappresentando Venezia, il doge, come sposo, partiva in mare sulla sua magnifica nave di Stato, il Bucintoro. Lì, dopo una serie di preghiere, gettava un anello prezioso nell’acqua, a suggellare il patto tra la Serenissima e quel mare che gli aveva concesso così tanta potenza, ricchezza e favori.
Tuttavia, nel XVIII secolo questo rito non veniva preso sul serio nemmeno dal doge stesso, il che è dimostrato dal fatto che Alvise IV Mocenigo, l’ultimo doge di questo casato, fu coinvolto in uno scandalo proprio legato a questo simbolico e prezioso anello che, invece di finire in fondo all mare, venne visto al dito di una nobile signora dalla dubbia reputazione.
Non che ciò potesse causare anche il minimo danno all’immagine di Venezia, ormai non più al centro delle politiche europee ma, al contrario, vista solo come un’affascinante reliquia di un passato lontano. Del resto anche oggi Venezia è considerata una delle grandi attrazioni che ogni turista deve visitare almeno una volta nella vita.
Per accedere al catalogo dell’asta 324 di Künker clicca qui.