Un testone e una medaglia di grande bellezza affondano le loro origini simboliche in un dipinto del Vasari ammirato e “adottato” dal duca di Ferrara
di Roberto Ganganelli | Il dipinto oggi attributo a Giorgio Vasari (1511-1574) in collaborazione con il pittore spagnolo Gaspar Becerra e noto come Allergoria della Pazienza, conservato a Palazzo Pitti nella Sala di Prometeo, è un’opera esemplare del Cinquecento italiano e complessa al punto da essersi meritata, a cavallo tra 2013 e 2014, una mostra “monografica” curata da Anna Bisceglia.
Anticamente attribuita al Parmigianino dagli inventari di Palazzo Pitti, è stata poi catalogata, nelle prime guide del museo fiorentino, a nome di Francesco Salviati, per essere attribuita in seguito a Girolamo Siciolante dal grande critico d’arte Federico Zeri e, infine, trovando definitiva cittadinanza nel corpus vasariano.
Genesi di una “invenzione”
Al dipinto è legata anche una complessa vicenda collezionistica che vede protagonisti il cardinale Leopoldo de’ Medici e alcuni personaggi legati alla corte toscana e allo stesso Vasari.
Originario committente della Allegoria della Pazienza è il vescovo di Arezzo e ambasciatore di Cosimo I Bernardetto Minerbetti, letterato e studioso che convince il Vasari ad elaborare una “invenzione” ispirata alla statuaria antica, arricchita da un ricco repertorio simbolico che allude in modo mirabile allo scorrere del tempo e alla vita umana.
Un mosaico di simboli
Scaturisce così, dal genio creativo dell’autore delle Vite, la figura di una giovane donna avvinta da una catena ad una roccia, colta mentre attende che dal vaso ad acqua sgorghino le gocce necessarie a corrodere la catena, restituendole la libertà.
Il “mosaico di segni” comprende dunque un orologio ad acqua dal quale stillano gocce destinate a erodere lentamente gli anelli che vincolano la donna e il trascorrere del tempo è evocato anche dalla sfera armillare, che richiama il moto dei pianeti e dunque il passaggio dei giorni, delle stagioni e degli anni. I vincoli, infine, che la realtà quotidiana pone sono simboleggiati dal giogo.
La “Pazienza vasariana” e la sua fortuna ferrarese
Un motivo iconografico dalla complessa genesi, come testimoniano i documenti dell’epoca, e la cui celebrità supera presto i confini di Firenze, ispirando un’analoga commissione da parte del duca Ercole II d’Este (1534-1559) a Camillo Filippi, destinata non a caso alla Camera della Pazienza, nella torre di Santa Caterina del castello di Ferrara.
E tanto piace a Ercole II questa allegoria che la vuole anche sul basamento di un suo busto scolpito da Prospero Sogani Spani e perfino replicata su due opere numismatiche, una medaglia di Pompeo Leoni del 1554 (che, si dice, Ercole portasse al collo come pendente) e un testone (quarto di scudo) battuto nel 1559 su coni del celebre Pastorino.
La moneta, in argento, ci mostra un fiero busto corazzato del duca, rivolto a destra, con legenda HERCVLES II FERRARIE DVX IIII, nel taglio del braccio l’iniziale P dell’incisore (assente su alcuni esemplari) e in basso la data di coniazione.
Al rovescio una citazione quasi perfetta della Allegoria della Pazienza con legenda SVPERANDA OMNIS FORTVUNA (“Va superato ogni evento della sorte”) derivata da Virgilio (Eneide, 5, 710): “Superanda omnis fortuna ferendo est” (“Va superata ogni avversità con il sopportarla”).
“SVPERANDA OMNIS FORTUNA”, due interpretazioni
Per Mario Ravegnani-Morosini l’impresa si riferisce allo stesso duca Ercole II che, con pazienza e con una saggia politica, fu capace di raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefisso; alla luce della scomparsa di Ercole II avvenuta proprio nel 1559, il 3 ottobre, una sorta di “epitaffio numismatico”, dunque, affidato al bulino di uno dei massimi incisori del Cinquecento. Secondo Lorenzo Bellesia, invece il duca, come Enea, al quale era stato vaticinato un glorioso destino per la sua stirpe, avrebbe superato con pazienza e perseveranza tutte le avversità del momento, trionfando alla fine sui suoi nemici.
Come detto non è la prima occasione, quella del 1559, in cui il duca di Ferrara affidava la magnifica Allegoria della Pazienza di origine vasariana all’arte moltiplicata in forma di tondello: cinque anni prima, infatti, aveva visto la luce una splendida medaglia fusa in bronzo dal Pastorino, nel diametro di 69-70 millimetri, con soggetti simili. Caratterizzata dal busto di Ercole II a sinistra invece che a destra, e da dettagli di sfondo che il minor modulo della moneta rendeva impossibili da riprodurre, è una fusione di notevole rarità al pari dei testoni coniati pochi anni dopo.
Il saggio, paziente e sfortunanto Ercole II
Succeduto al padre nel 1534, Ercole II trascorse i tre lustri della sua signoria su Ferrara, Modena e Reggio a conservare il sempre precario equilibrio politico tra le esigenze della casata e quelle dei potenti vicini tenendo a freno le pressioni spagnole e francesi e contenendo con abilità le richieste della Santa Sede (sempre desiderosa di riprendersi Ferrara) che chiedeva l’allontanamento dalla corte estense di vari personaggi in sospetto di eresia, compresa la consorte Renata di Francia.
Tollerante nei confronti degli ebrei sefraditi in fuga dalla Spagna, grazie ai quali Ferrara diede nuovo impulso ai propri commerci, Ercole II dovette anche impegnarsi – sempre avvalendosi della pazienza, inutile sottolinearlo – in una disputa con papa Paolo III Farnese per la riscossione di tributi. In questa vicenda, il pontefice arrivò anche ad una minaccia di scomunica, rientrata solo grazie al pagamento di 180 mila ducati in oro.
Con il successore di papa Farnese, Paolo IV Carafa, Ercole si schierò con la Francia contro la Spagna (nel 1556) al comando della lega anti imperiale dalla quale, in seguito, si ritirò riuscendo a fatica a mantenere integri i propri domini. Era il 1558, il duca era ormai stanco e alle soglie di quella che, all’epoca, era considerata la vecchiaia (era nato infatti nel 1508) il 25 settembre 1559 Ercole II si ammalò, come riporta un cronista del tempo, di “grave infirmità”, probabilmente un attacco cardiaco, che lo portò alla morte il 3 ottobre.
Alfonso II e la fine del casato
Gli sarebbe succeduto il figlio Alfonso II, regnando fino al 1597 e infine consegnando Ferrara, alla sue morte senza eredi legittimi, in mano allo Stato Pontificio: la virtù della Pazienza mirabilmente “inventata” dal Vasari, “adottata” da Ercole II e tante volte evocata, anche attraverso una rarissima moneta e un’altrettanto preziosa medaglia, non si sarebbe dunque rivelata sufficiente a evitare il definitivo declino del potere degli Estensi.