Ufficiale del Bersaglieri e studioso, Giuseppe Ruggero fu collezionista e corrispondente di Vittorio Emanuele III collaborando al CNI
di Damiano Cappellari | Alla domanda – “Quali sono i più famosi numismatici italiani?” – quasi tutti citeranno i “soliti” nomi: da Solone Ambrosoli ai fratelli Gnecchi, da Ennio Quirino Visconti a Guid’Antonio Zanetti, da Bartolomeo Borghesi a Nicolò Papadopoli, da Ludovico Antonio Muratori ad Alessandro Magnaguti. In questa serie di articoli ci dedichiamo invece a chi, meno famoso nella “patria numismatica”, ma non per questo di minor importanza, si rivela meritevole di essere maggiormente conosciuto dagli appassionati di oggi.
Giuseppe Ruggero nacque a Sestri Ponente il 4 ottobre 1841 da Gio Batta Ruggero e da Antonietta Cassinis. Dopo aver seguito il corso di studi nella Reale Accademia Militare di Torino, fu nominato sottotenente nell’ottobre 1859, quindi a 18 anni.
Prese parte alle campagne militari per l’indipendenza italiana e fu decorato con medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Per l’ardore spiegato alla battaglia di Castelfidardo”. Ma non solo, anche con medaglia di bronzo al valore fu decorato “per essersi distinto all’assedio di Gaeta”. Orgogliosamente mostrava anche la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza, quella commemorativa dell’Unità d’Italia e la croce per anzianità nel servizio militare, un periodo cioè di 43 anni, dite poco!
Sotto il profilo della carriera militare, è il caso di dire che non si fece mancare proprio nulla: infatti prese anche parte alle operazioni di repressione del brigantaggio nell’Italia meridionale. Ma dove militò? Nel Corpo dei Bersaglieri, fu a capo del 9° Reggimento, ma per limiti d’età dovette abbandonare il servizio attivo. Fu tuttavia promosso “maggior generale” della Riserva nel 1904.
Come facile immaginare fu insignito anche delle più alte onorificenze, fu membro di molte società storiche e numismatiche sia italiane che estere (tra cui quella belga e quella svizzera). Giuseppe era una mente davvero versatile, si occupò infatti di mineralogia, di geologia, di archeologia e di paleontologia e su queste materie pubblicò vari articoli nelle Memorie della Reale Accademia dei Lincei e nel Bollettino di Paleontologia Italiana, ma il suo studio prediletto fu sempre la numismatica, la nostra amata numismatica.
Giuseppe Ruggero ha infatti legato il suo nome a moltissimi interessanti lavori su monete italiane e in special modo genovesi e, secondo un autore (siamo nel 1911 e sulle pagine della Rivista Italiana di Numismatica, pp. 519-521) “tiene indubbiamente uno dei primi posti fra i più geniali e acuti numismatici moderni”.
Fin fa ragazzino cominciò a raccogliere monete genovesi, e come risultato dei suoi studi, pubblicò una lunga serie di Annotazioni numismatiche genovesi prima a Palermo, siamo nel 1879-1881, poi sul Giornale Ligustico di Genova, siamo nel 1882, quindi sulla Gazzetta numismatica di Como, siamo negli anni 1883-1885, e infine sulla Rivista Italiana di Numismatica, anni 1888-1898.
Per tale rivista curò una serie di Annotazioni numismatiche italiane, pubblicando una quantità di importantissime monete inedite di molte zecche, rettificando errori riscontrati in varie opere, e trattando con “grande acume” le più svariate questioni di numismatica italiana.
Dobbiamo sottolineare che si impegnò in queste pubblicazioni sulla RIN fino al 1908 allorché ricevette (per la verità già da qualche anno, come sappiamo) l’incarico da Vittorio Emanuele di Savoia di collaborare con lui alla compilazione del Corpus Nummorum Italicorum. Tale impegno assorbiva tutto il tempo che aveva a disposizione, o quasi.
Pertanto il suo nome resta indissolubilmente legato all’opera poderosa del re d’Italia. Per la verità, fin dai suoi studi giovanili, Giuseppe Ruggero aveva accarezzato l’idea di pubblicare una illustrazione completa delle monete di Genova. Un’opera che mancava all’epoca nel panorama numismatico italiano, perché mentre di questa zecca erano comparse opere speciali, che ne trattavano il lato economico o che ne illustravano parzialmente qualcuna delle varie epoche, un’opera completa non era ancora stata stampata. Un po’ poco, considerato che l’attività della zecca di Genova copriva quasi sette secoli.
Il colpo di fortuna era stato che il suo amico Cornelio Desimoni, che da tempo aveva lo stesso scopo del nostro, aveva messo assieme una quantità straordinaria di materiali, aiutato anche da altri tre numismatici: Gaetano Avignone, Luigi Franchini e Luigi Gazzo.
Il primo aveva raccolto infatti fin dai primi anni della sua gioventù, visitando orefici e venditori di anticaglie, una buona messe, come ci ricorda lo stesso Desimoni. Anche il Franchini, appassionato e animoso, non badando a spese, era riuscito in breve tempo a mettere insieme un tesoro di monete e medaglie, comprese alcune uniche, altre orientali rarissime di Pera, di Caffa, di Scio, di Metelino ecc. Luigi Gazzo; il terzo, collettore avveduto anche’esso, ed è sempre il Desimoni che ce lo confida, completava il trio che fornì materiale a Giuseppe Ruggero.
Ebbene, d’accordo con tutti questi (che via via furono colti dalla morte), la Società Ligure di Storia Patria provvide ad affidare al nostro Giuseppe Ruggero il compito di riordinare i materiali a disposizione e di pubblicarli. Pertanto nel 1891 uscirono le Tavole descrittive delle monete della Zecca di Genova dal 1139 al 1814.
Quest’opera riassume tutta la monetazione di Genova dalla sua origine fino alla fine della Repubblica, siamo nel 1814, e qualcuno sostiene che fosse stata compilata sul tipo di quella del Cinagli dedicata alle monete dei papi, il che può essere vero ma non toglie certamente valore al volume.
L’opera è caratterizzata da una descrizione molto minuziosa, precisando peso, diametro, titolo dei nummi ma anche la collezione dove si trovavano custoditi. Ma non solo, ci sono precisazioni in ordine alle sigle, sugli zecchini, sulla paleografia, sulla bibliografia ecc. Insomma una vera e completa, come scrissero, “illustrazione della zecca di Genova”. Ecco che quindi nel 1896 Ruggero viene eletto nel Consiglio della Società Numismatica Italiana e membro del suo Comitato di Redazione, cariche che conservò collaborando in moto attivo alla rivista.
Ma oltre a tutto ciò molto interessante il ruolo avuto dal nostro nella compilazione del Corpus Nummorum Italicorum, e questo aspetto è tanto più gustoso se non ci limitiano a scorrere le pagine relative alla zecca di Genova che troviamo nell’opera del “re numismatico” ma ci dedichiamo anche del carteggio che si scambiavano i due personaggi…
Una lettera, in collezione privata, di ben sei pagine firmata da Vittorio Emanale, non ancora re d’Italia, ci fa capire i rapporti tra i due. Il principe di Napoli è a Roma mentre Ruggero si trova a Firenze e leggiamo le seguenti parole: “Carissimo Colonnello, ho tardato a ringraziarLa fino ad ora per le Sue buone linee del 7 gennaio, ma ho tardato perché speravo sempre trovare il tempo per vagliare con attenzione le varietà delle monete genovesi contenute nella metà del famoso tesoro della Polcevera, metà che è nelle mani del Vitalini” ma proseguiamo “Non volevo scriverLe senza mandarLe notizia di queste monete. Vi ho trovato circa 40 scudi d’oro per la mia raccolta …)” e poi “Ho fatto i calchi di 27 scudi senza data, che mi paiono tutti mancare nelle Sue tavole; appena farò ritorno a Napoli vi metterò l’indicazione del peso e senz’altro spedirò a Lei, assieme ad un calco d’una moneta che non ho potuto comprare perché esageratamente cara”.
Insomma anche il futuro re d’Italia doveva rinunciare a qualche bramato acquisto per via del prezzo! Incredibile ma consolante! Ma forse più sorprendente è la spontaneità con cui Vittorio Emanuele lo confessava! E poi altra confidenza, segno che i due erano in rapporti molto confidenziali “Mi convinco sempre più che il mio Corpus Nummorum sarà di utilità generale, per quanto l’opera dovrà essere disgraziatamente molto incompleta” e ancora “oggi sono già sicuro di poter riunire un cinquantamila schede”, stupefacente lo sforzo che stava facendo con tutti i grattacapi da “quasi re” che aveva!
E poi la chiusa che non possiamo omettere: “In pochi giorni sarò di ritorno a Napoli, e allora non mancherò di spedire i calchi. Le auguro buon viaggio da Firenze a Livorno, e fortuna in fatto di schede per le sue monete genovesi. Carissimo Colonnello, mi creda Suo sempre aff.mo VE di Savoia. Roma, 28 marzo 1898”.
Tuttavia, anche se poi fissò la sua residenza a Roma, essendo il principale collaboratore di Vittorio Emanale nella preparazione del CNI, non vide purtroppo pubblicati che i due primi volumi (come noto il primo è sulle monete di Casa Savoia e l’altro sulle monete del Piemonte e della Sardegna). Il terzo volume infatti, dedicato alla Liguria e per il quale Giuseppe Ruggero aveva profuso “i tesori più riposti della sua competenza” uscì invece circa un anno dopo la sua scomparsa.
Ma leggiamo un brano di Giuseppe Ruggero, oltre che riportare quello che altri scrissero di lui; in tal modo possiamo meglio apprezzare il suo stile, il suo modo di comprendere le monete e come si rapporta con chi legge.
Siamo nel 1891: “Un tallero di Sabbioneta. Questa moneta, quantunque senza data, segna la fine della monetazione di Sabbioneta – che si trova nel territorio di Mantova – e rappresenta come unico tipo finora conosciuto una nuova serie, quella cioè di Luigi Caraffa solo, dal 1637 a. 1638” e il nostro Ruggero prosegue “Dopo la serie di Vespasiano Gonzaga che va distinta per molte e buone monete, segue quella della figlia Isabella col marito Luigi, dal 1591 al 1637, che comprende finora alcune poche monete in mistura di rame, delle quali la più importante per valore è il cavallotto.
Questo, conosciuto soltanto per mezzo di documenti dal P. Affò, venne pubblicato dal Kunz e poi dallo Ambrosoli in una sua variante. Per ultimo, in un Catalogo di vendite è descritta una prova di scudo in rame, collo stemma al diritto e la Madonna al rovescio, colla data del 1605, di mediocre conservazione, del quale riparlerò in seguito”.
E adesso arriva il bello: “La nuova moneta, che qui sopra ho disegnato” – vuol dire che curava anche i disegni il nostro poliedrico Ruggero – è una contraffazione del tallero del Brabante” il peso era di grammi 25,36 e in buona conservazione”. Ma vediamo come prosegue: “Fa parte della collezione del Dott. Arcari Segretario Generale dell’Ufficio Prov. di Cremona, il quale cortesemente mi invitò a pubblicarla”. E adesso la stoccata: “Se è una vera contraffazione per il tipo, è invece una delle più spudorate falsificazioni per metallo. A primo aspetto mi parve quasi migliore delle solite contraffazioni di scudi e talleri, tanto che io rimasi sorpreso di trovare una simile moneta con titolo apparentemente alto, uscita da una zecca che in quell’epoca era scaduta d’assai.
Poi, guardandola meglio, mi avvidi che la superficie non era omogenea, ma pareva ricoperta in diversi punti da una foglia più chiara e lucente. Assaggiata al tocco, si dimostrò d’argento in quei tratti dove persisteva la sottile fodera, mentre la lega biancastra del corpo della moneta non dava segno alcuno di quel metallo”.
E sui avvia a concludere dicendo: “Questa falsificazione, che invece di esser di mistura più o meno cattiva, è addirittura di un metallo privo di qualsiasi valore foderato di argento, conferma in parte la ipotesi del Dott. Umberto Rossi a proposito della prova di scudo del 1605 del Catalogo Rossi già citato: cioè che la presunta prova di zecca possa essere invece uno scudo effettivo. Egli dice che può essere di mistura, bassissima da parere rame a chi non l’assaggi con la pietra.”
Quindi prosegue: “Ed io aggiungerò: rame o mistura poco importa, perché molto probabilmente quello scudo era foderato in origine come il tallero. Infatti la conservazione mediocre, che nella maggior parte dei cataloghi di vendita vuolsi interpretare come tendente alla cattiva, può spiegare la totale scomparsa della foglia sottile destinata in origine a mascherare la mancanza di valore intrinseco”.
Non c’è che dire, i numismatici di un tempo scrivevano con più garbo e forse con più freschezza oltre che più proprietà di linguaggio degli attuali! Siamo sulla Rivista Italiana di Numismatica del 1891. L’articolo era stato scritto da Giuseppe Ruggero a Cremona, appunto, dove aveva trovato la moneta nella collezione Arcari.
Personalmente, apprezzo tanto quando gli autori numismatici inseriscono il luogo dove hanno scritto l’articolo, così possiamo seguirli un po’ geograficamente, magari immaginando cosa avevano visto o i luoghi che avevano visitato qualche momento prima di mettersi a tavolino con penna e calamaio, ma anche quali specialità locali potevano aver gustato… Così faccio anch’io: “Trento, 1° luglio 2023”.
Per leggere di più sulla lettera inviata da Vittorio Emanuele a Giuseppe Ruggero clicca qui.