Nel 1703 un terremoto distrusse L’Aquila e fece sentire i suoi effetti anche a Roma dove, l’anno dopo, fu coniata una piastra “di riparazione” per lo scampato pericolo
di Roberto Ganganelli | In un precedente articolo, parlando delle monete di Gregorio XVI del periodo 1831-1835, ci siamo soffermati sullo scudo d’argento con la scena della Presentazione al Tempio di Gesù modellata da Nicola Cerbara (leggi qui). Un passaggio chiave, nei Vangeli, dal momento che nel riconoscimento di Gesù come Messia da parte dei giusti – in questo caso, i santi Simeone e Anna – si spalanca a tutti i popoli il progetto della redenzione divina.
La piastra “votiva” del 1704 al tipo della Presentazione al Tempio
Esiste però un’altra importante moneta della serie pontificia su cui la scena della Presentazione al Tempio appare bulinata in modo magistrale, probabilmente da Pietro Paolo Borner: si tratta della piastra di Clemente XI dell’anno IV, con millesimo 1704, al cui dritto campeggia lo stemma Albani con triregno, chiavi e tiara (Muntoni 43).
La particolarità di questa rara e bellissima moneta di grande modulo, tuttavia, è quella di rappresentare un’emissione, per così dire, “speciale”, o meglio “votiva”: infatti, proprio il 2 febbraio del 1703, giorno della Candelora (ossia, solennità della Presentazione) la città di Roma venne sconvolta, al pari di buona parte del Centro Italia, da un violentissimo sisma che seminò vittime, distruzione e terrorew.
Il “Grande terremoto” che sconvolse il Centro Italia
Quello che la storia ricorda come il terremoto de L’Aquila del 1703, conosciuto anche come il “Grande terremoto”, fu un insieme di eventi sismici che iniziò con una fortissima scossa il 14 gennaio ed ebbe una magnitudo pari a 6.8; una seconda scossa, appena due giorni dopo, fece segnare 6.2 e infine, il 2 febbraio, un’ultimo devastante evento tellurico ebbe una magnitudo stimata a 6.6-6.8 della scala Richter.
La città de L’Aquila venne quasi completamente distrutta, insieme a numerosi centri minori dell’Abruzzo e anche le città umbre di Cascia e Norcia vennero gravemente colpite: secondo le cronache si ebbero in tutto circa 9700 vittime, di cui 7700 in Abruzzo e le rimanenti in Umbria.
E neppure il Lazio venne risparmiato, al punto che a Roma, in occasione della scossa del 2 febbraio 1703, alcuni archi del secondo ordine del Colosseo crollarono assieme a cornicioni in varie parti dell’Urbe. Il palazzo del Quirinale risultò danneggiato, come pure le basiliche maggiori di San Pietro e San Lorenzo fuori le Mura, oltre a una serie di palazzi ed abitazioni private.
Giorni di panico nella capitale della Cristianità
Scrive il Forrer: “[…] Nella notte dal 2 al 3 febbraio i romani, già agitatissimi, furono presi di nuovo dalla grande paura. Fu fatta circolare dai ladri la voce in tutta la città che in due ore Roma perirebbe, ciò evidentemente alla scopo di far bottino durante il panico. Tutti fuggirono nei giardini e nelle pubbliche piazze.
Indescrivibili scene si svolsero ovunque. Gli abitanti seminudi gridavano misericordia, si gettavano in ginocchio e attendevano pieni di costernazione l’ora della loro fine. Madri baciavano ancora una volta i loro bambini e coniugi ed amici si abbracciavano. Molti confessavano pubblicamente le loro colpe ed altri si confessavano sulle pubbliche vie. L’aria risuonava del grido: ‘Santo Iddio abbi misericordia di noi’.
Il Papa prese subito misure per tranquillizzare la popolazione e garantire la proprietà. Nello stesso tempo ordinò un inchiesta per stabilire gli autori della falsa diceria, ma non se ne seppe nulla. La popolazione si tranquillizzò soltanto lentamente. Molti per lungo tempo ancora dormivano all’aperto e nei giardini come fece il Cardinale Ottoboni ed altri nobili. Clemente XI […] vedeva nel terremoto un castigo per i peccati, prese una serie di provvedimenti onde elevare lo stato morale della sua capitale. […] stabilì che d’ora innanzi nella festa della Purificazione venisse cantato annualmente nella Cappella papale il Te Deum ed anche il giorno prima venisse considerato di stretto digiuno”.
Una moneta di riparazione e monito
Nella piastra del 1704, dunque, Clemente XI Albani intese affidare al bulino del Borner non tanto e non solo la raffigurazione di una scena chiave del Vangelo, ma anche un celato messaggio di gratitudine del papa verso Dio per aver alla fin fine preservato la capitale della Cristianità da un evento così distruttivo.
Il Gesù bambino raggiante appare al centro della scena, tenuto in braccio da san Simeone, mentre la Vergine è genuflessa di fronte al Figlio donatole dall’Onnipotente e due angeli reggono fiaccole, sulla sinistra. Le figure di sant’Anna sulla sinistra e di san Giuseppe sulla destra completano questa composizione di squisita fattura e di impostazione pittorica.
La legenda VIDERVNT OCVLI MEI SALVTARE TVVM (“I miei occhi hanno visto la tua salvezza”) tratta per l’appunto dal Cantico di Simeone, allude così in modo duplice a Gesù e allo scampato pericolo per Roma, per il papa e per la popolazione. Del resto, veder crollare una parte del Colosseo e incrinarsi i cornicioni di San Pietro deve aver davvero atterrito i romani, affatto abituati a simili eventi sismici.
Ma né gli abitanti della Città Eterna né Clemente XI si lasciarono vincere dal terrore e, ripresa la normalità, le pietre crollate dall’Anfiteatro Flavio vennero impiegate per la costruzione del porto di Ripetta, sul Tevere; un’infrastruttura alla quale, a sua volta, papa Albani avrebbe dedicato una moneta, la magnifica mezza piastra con data 1706 (Muntoni 55) bulinata da Giovanni Ortolani al motto di LAETIFICAT CIVITATEM. Il “Grande terremoto” era ormai solo un ricordo…