Una famosa scena evangelica per un’opera di Giotto distrutta da secoli, ma di cui la numismatica pontificia conserva preziose testimonianze
di Roberto Ganganelli | Jacopo Caetani degli Stefaneschi (Roma, 1270 circa – Avignone, 1343) fu una figura di primo piano nella Roma papale a cavallo fra XIII e XIV secolo. Scrittore e finissimo uomo di cultura, infatti, dopo essere stato istruito nell’Urbe si trasferì all’Università di Parigi – laureandosi in filosofia e “Sacre scritture” – per poi proseguire gli studi anche nel diritto canonico e civile.
Papa Bonifacio VIII lo creò nel 1295 diacono di San Giorgio in Velabro per poi inviarlo l’anno seguente, come legato pontificio, a Cesena, Forlì, Faenza e Bologna dove ebbe il compito di sedare alcuni tumulti popolari.
Il cardinale Jacopo Stefaneschi ritratto nel celebre polittico di Giotto che porta il suo nome
Cultore di liturgia e letteratura, lo Stefaneschi compose opere in latino, sia in prosa che in versi e il suo prestigio crebbe a tal punto – di pari passo con la sua ricchezza – da consentirgli di fare dono attorno al 1320, alla basilica di San Pietro di cui era stato nominato canonico, di una pala per l’altare principale, il famoso Polittico Stefaneschi dipinto da Giotto e bottega.
A Giotto, inoltre, il cardinale – che, per inciso, non ricevette mai l’ordinazione sacerdotale – aveva commissionato anche un mosaico per l’atrio e alcuni affreschi perduti nella tribuna della basilica, oltre a un ciclo di affreschi – anche questi perduti – per San Giorgio in Velabro.
Il disegno di Parri Spinelli che ci ricorda il mosaico di Giotto in San Pietro
Jacopo Stefaneschi visse l’ultimo periodo della sua vita alla corte papale di Avignone dove commissionò al a Simone Martini l’esecuzione gli affreschi del portico della cattedrale di Notre-Dame des Doms.
La Navicella degli Apostoli, il celebre mosaico medievale commissionato dal cardinale Stefaneschi a Giotto probabilmente in occasione del Giubileo del 1300 rimase, per circa due secoli, nella controfacciata della Basilica costantiniana di san Pietro a Roma.
Il rifacimento del mosaico giottesco nell’ambulacro della basilica di San Pietro in Vaticano
Perduto l’originale, di cui ci sono pervenuti solo alcuni frammenti, a testimoniarci la grandezza di quest’opera, resta un disegno dell’artista aretino Parri Spinelli, oggi al Metropolitan museum di New York, che mostra l’episodio in cui Cristo, sul Lago di Tiberiade, afferra per la mano Pietro mentre sta per annegare e, salvandolo, lo rimprovera per aver dubitato di lui. A completare la scena, gli apostoli su di un’imbarcazione a vela in balia delle onde.
E’ interessante la descrizione che Giorgio Vasari tratteggia, nelle Vite, a proposito di quest’opera “la quale è veramente miracolosa e meritamente lodata da tutti i belli ingegni, perché in essa, oltre al disegno, vi è la disposizione degli Apostoli, che in diverse maniere travagliano per la tempesta del mare, mentre soffiano i venti in una vela, la quale ha tanto rilievo che non farebbe altrettanto una vera”.
Foligno, chiesa di Santa Maria in Campis: l’affresco La navicella degli apostoli
Ancora oggi, nel portico della Basilica di san Pietro si può ammirare un’opera di epoca successiva che riproduce fedelmente quella di Giotto, mentre un’altra replica dell’opera, stavolta in forma di affresco, è visibile a Foligno (Pg), nella cappella di Pietro delle Casse all’interno della chiesa di Santa Maria in Campis. Quest’opera, databile tra il 1454 ed il 1460, non ha ancora una paternità certa, ma l’ispirazione al modello giottesco è evidente.
Perché tanta attenzione al mosaico giottesco? Perché quell’opera mirabile fu il soggetto di due prestigiose monete realizzate dallo zecchiere papale Emiliano Orfini che riproducono in modo pressoché esatto La Navicella degli Apostoli, se si eccettuano alcuni particolari dovuti ai limiti compositivi imposti dal tondello.
A sinistra i 10 fiorini di camera e a destra i 4 ducati di Sisto IV “ispirati a Giotto”
Si tratta dei 4 ducati di Paolo II coniati all’inizio del pontificato (Muntoni 1 e 1a) e dei 10 fiorini di camera di Sisto IV (Muntoni 1) per l’Anno Santo 1475, entrambi per Roma. Due emissioni di ostentazione di impianto analogo e sulle quali, al dritto, campeggiano san Pietro e il Redentore, a figura intera, con sullo sfondo il gregge (simbolo del Popolo di Dio). Al rovescio, invece, la scena in cui Gesù trae san Pietro dalle acque mentre gli Apostoli stanno sulla Navicella in preda ai flutti.
Su entrambe le tipologie, variamente abbreviate, compaiono al dritto la legenda PETRE PASCE OVES MEAS (“Pietro, pascola le mie pecore”, Gv 21, 17) e al roverscio DOMINE ADIUTA NOS. MODICAE FIDEI QUARE DUBITATSI? (“Dio, aiutaci. Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”, Mt 14, 31).
Emiliano Orfini: incisore, zecchiere e tipografo folignate di grade abilità
Ci piace dunque pensare che – nel bulinare i coni per i 4 ducati e i 10 fiorini di camera – Emiliano Orfini folignate, eclettico zecchiere al servizio dei romani pontefici, abbia voluto – oltre che esaltare il prestigio della corte papale – volle anche tributare un omaggio, seppur tra le righe, alla sua amata città natale dove si trovava, e ancora oggi si può ammirare, la copia fedele del magnifico mosaico di Giotto.
A completare questo excursus sul celebre mosaico perduto, va segnalato che anche nella monetazione di Alessandro VI La Navicella degli Apostoli di Giotto su di un prestigioso nominale in oro, i 5 fiorini di camera senza data (Muntoni 1), stavolta in abbinamento allo stemma Borgia sormontato dalle chiavi e dalla tiara.
I 5 fiorini di camera di Alessandro VI Borgia con la scena giottesca