di Giancarlo Alteri | La raffigurazione di Cristo che, mentre sale sul Calvario, cade sotto il peso della Croce, basata sui testi evangelici, ha origini medioevali, se non anche più antiche; eppure cominciò a comparire nella numismatica pontificia soltanto molto più tardi, non prima dell’inizio del XVIII secolo.
Il 23 novembre 1700, in pieno svolgimento dell’Anno Santo, salì sul trono di Pietro, col nome di Clemente XI, il cardinale Giovanni Francesco Albani che, prima di accettare, pregò – almeno così sembra – i porporati elettori di indirizzare la loro scelta verso qualcun altro: il peso del Papato, in un momento tra l’altro particolarmente difficile per la Chiesa, gli sembrava troppo pesante per le sue spalle!
Alla fine accettò solo per obbedienza allo Spirito Santo; ma la sua iniziale titubanza ispirò la realizzazione di una celebre medaglia. Ne fu autore un medaglista che allora aveva appena diciassette anni: Ermenegildo Hamerani, figlio di quel Giovanni Martino Hamerani, uno dei più grandi incisori nella storia della numismatica papale, che fin dal 1676 ricopriva la carica di “incisore camerale” presso la Zecca di Roma.
L’opera fu eseguita come un omaggio personale del giovane artista all’Albani, che della famiglia Hamerani era “cliente” assiduo e soprattutto un amico. Al dritto, Ermenegildo raffigurò il nuovo Papa nella solennità dei paramenti pontificali, con triregno e piviale, e la legenda intorno: CLEMENS XI PONT OPT MAX; al rovescio, Cristo che cade sotto il peso della Croce, mentre rivolge il viso, con evidenti i segni della sofferenza, verso lo spettatore. La leggenda intorno, ripresa dai testi sacri (Isaia, 9, 5), proclama: FACTVS EST PRINCIPATVS SVPER HVMERVM EIVS. Scena tragica, questa, ma ingentilita dalla presenza di elementi di vegetazione incisi con minuzia di particolari, con cui l’incisore ravviva l’aspro percorso, rivelando già una notevole abilità tecnica nonostante la giovane età.
Una delle prime riviste di numismatica, il Thesaurum Numismatum Hujus Saeculi, pone l’emissione di questa medaglia al 1704, e la riferisce ad opere di evangelizzazione iniziate o portate a termine da Clemente XI proprio in quell’anno. Documenti inoppugnabili, invece, la dicono già “in circolazione” nell’agosto-settembre del 1701 e, se ciò non bastasse, nella Vita degli Hamerani manoscritta, stilata intorno al 1740, quando Ermenegildo era ancora vivo, e conservata attualmente nella Biblioteca Vaticana, si legge: “Ermenegildo dunque in età ancor tenera presentò a Clemente XI la sua prima fatica e fu la medaglia grande col Christo che porta la Croce al Calvario in memoria della di lui assunzione al Pontificato”.
Questa medaglia piacque così tanto a Clemente XI, che questi concesse nel 1704, con un solenne motu proprio, ad Ermenegildo la carica di incisore camerale al posto del padre Giovanni Martino che, colpito da un ictus, non poteva più lavorare.
Probabilmente, dai tempi di Benedetto XIV (1740-1758), medaglie in argento con questo rovescio cominciarono ad essere date in dono agli ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia presso la Santa Sede, nel momento in cui essi lasciavano Roma per tornare in patria, dopo aver svolto la loro missione. Forse ciò voleva essere anche un omaggio al Redentore, “patrono” di Venezia, sebbene la dedicazione della città lagunare al Cristo Redentore risalisse a circa un secolo prima, al 1630, quando, in seguito alla miracolosa liberazione di Venezia dalla peste, i dogi isituirono appunto la Festa del Redentore.
Il successore di Benedetto XIV, un papa originario di Venezia, Clemente XIII Rezzonico (1758-1769), non si accontentò di donare agli ambasciatori di Venezia le suddette medaglie, ma volle anche insignirli, alla fine del loro mandato, dell’Ordine del Cristo, la prestigiosa decorazione istituita nel 1319 da papa Giovanni XXII.
Così, quando, nel 1773 lasciò Roma, dopo anni di onorato servizio, anche l’ambasciatore veneto Marco Antonio Erizzo fu insignito dell’Ordine del Cristo e ricevette la suddetta medaglia d’argento. Stavolta, però, sul dritto aveva un ritratto di Clemente XIV modellato appositamente da Filippo Cropanese, l’incisore che aveva appena sostituito Ferdinando Hamerani, nipote di Ermenegildo, come incisore camerale pro tempore nella zecca di Roma, da cui l’Hamerani era stato allontanato per insanabili contrasti con il direttore Giacomo Mazio.
Il Cropanese fornì ai sacri palazzi ben sei esemplari in argento di questa medaglia; ma, oltre al rimborso del costo dell’argento necessario, ottenne solamente 50 scudi come pagamento per la fattura del nuovo conio del dritto. Un esemplare fu donato al Medagliere della Biblioteca apostolica vaticana, riorganizzato proprio da Clemente XIV che, tra gli altri provvedimenti in suo favore, aveva anche stabilito, con un apposito decreto, “che ogni anno si dia una medaglia di quelle che sono solite battersi, per la continuazione di questa serie nel Museo Vaticano”.
Ultimo pontefice a concedere all’ambasciatore veneto, unitamente alla suddetta onorificenza, questa medaglia, fu Pio VI Braschi (1775-1799), che nel 1782 ne fece fare una con al dritto la propria effigie. Stavolta, l’incisore Ferdinando Hamerani, reintegrato nella zecca nel 1775, proprio da papa Braschi, anch’egli assiduo cliente, da cardinale, della bottega Hamerani, riutilizzò un dritto da lui già inciso nel 1779 per un medaglione emesso a ricordo della ristrutturazione del Forte di Castelfranco Emilia.
Da notare che l’Hamerani, non potendo ottenere neppure il pagamento del conio del dritto, dal momento che aveva adoperato quello già usato nel 1779, riuscì comunque ad ottenere la somma di 10,20 scudi “per la coniazione d’essa al solito per la straordinaria grandezza”: insomma, si fece rimborsare con una discreta maggiorazione i diritti di battitura che egli aveva dovuto versare alla zecca!