Con un rarissimo scudo d’oro, papa Albani ricorda il martire del I secolo invocando un’ancora di salvezza per la Chiesa nel Secolo dei Lumi
di Antonio Castellani | E’ il 23 novembre dell’anno 1700, festività di san Clemente I papa, il giorno in cui il Conclave seguito alla morte di Innocenzo XII elegge quale successore di Antonio Pignatelli il cardinale romano Giovan Francesco Albani.
E’ l’alba del Secolo dei Lumi e la Santa Sede, temendo lo scoppio di una nuova guerra in Europa, ha necessità di un pontefice saggio, saldo e coraggioso, di fede incrollabile e dotato di prestigio sulla scena internazionale.
L’Anno Santo in corso, inoltre, ha già vissuto a causa dell’alluvione che si abbattuta su Roma momenti di grande tensione – la Basilica di san Pietro è rimasta a lungo allagata, e i pellegrini sono stati dirottati a Santa Maria Maggiore – e serve un papa che possa condurre a termine nel modo migliore le cerimonie giubilari.
L’Albani è considerato l’uomo più colto di Roma; membro da oltre tre decenni della celebre Accademia Romana fondata da Cristina di Svezia, è infatti consultato da più parti sia su questioni teologiche che filosofiche e rinomata è anche la sua sensibilità artistica e letteraria.
Clemente XI, tuttavia, si trova ben presto a dover abbandonare i dibattiti filosofici e a fronteggiare quella guerra europea tanto temuta negli anni precedenti. Morto in Spagna Carlo II, che lascia come suo successore Filippo, nipote di Ligi XIV di Francia, l’imperatore d’Austria Leopoldo I ne impugna infatti il testamento, che considera lesivo dei diritti degli Asburgo sul trono di Spagna, e reclama la corona per suo figlio Carlo. Neppure il papa, nella sua difficile veste di mediatore, riesce ad evitare il conflitto che si prolunga dal 1701 al 1714 e termina in modo definitivo solo nel 1719.
Negli stessi anni, altri guai per il pontefice vengono da quella Francia dove l’arcivescovo di Parigi, Louis Antoine de Noailles, nonostante la nomina ottenuta da Filippo d’Orleans a presidente del “Consiglio segreto di coscienza” – fatto, questo, che sbilancia ulteriormente i rapporti tra Santa Sede e Regno di Francia – insiste ancora in direzione di uno scisma giansenista che amareggia moltissimo Clemente XI e che, nonostante le minacce di scomunica nei confronti degli “appellanti”, non avrà soluzione se non tempo dopo.
La saldezza dell’Albani, in ogni caso, unita ad una elezione avvenuta in giovane età – 51 anni – garantiscono allo Stato Pontificio e alla sua politica un periodo di stabilità ben simboleggiato dalla moneta oggetto di questa pagina, un rarissimo scudo d’oro (Muntoni 18) coniato nell’anno VI di pontificato (1705-1706) con data 1706.
La moneta reca, abbinato al dritto con lo stemma del papa sormontato da chiavi e tiara e affiancato da due rami, un rovescio allegorico affascinante, caratterizzato da un’ancora giacente sul fondo del mare e dall’iscrizione FIXA MANEBIT (cioè “Resterà salda”).
Il versetto, tratto dagli Atti degli Apostoli (27, 41) riassume infatti in maniera esemplare la linea d’indirizzo del pontificato di Clemente XI caratterizzato da una notevole capacità di affrontare le “tempeste” storiche e da una coerenza politica e teologica non sempre presenti nei i predecessori e nei successori.
L’ancora, tuttavia, è anche – in linea generale – simbolo della fede nonchè del martirio di san Clemente I papa, quarto vescovo di Roma dall’88 al 97 dopo Pietro, Lino e Anacleto e dal quale l’Albani, eletto il 23 novembre 1700, festa del santo, decise di prendere il nome.
Clemente è ricordato nel Canone Romano per una lettera da indirizzata ai Corinzi che appare come uno dei più antichi documenti dell’esercizio del pontificato. Discepolo di san Paolo e suo collaboratore a Filippi, fu nominato vescovo dallo stesso san Pietro e la tradizione lo presenta come figlio del senatore Faustino della Gens Flavia e parente dell’imperatore Domiziano.
Nell’anno 97 l’imperatore Nerva avrebbe esiliato Clemente nel Ponto Eusino dove egli continuò, tuttavia, a svolgere opera di apostolato, mentre a Roma lo sostituiva il pontefice Evaristo.
Nella terra d’esilio Clemente I s’incontrò con i cristiani condannati ai lavori forzati nelle cave di marmo e li incoraggiò ad aver fede, compiendo anche nuove conversioni. La notizia, tuttavia, giunse ben presto a Roma e irritò il nuovo imperatore Traiano che gli ordinò di tornare ad adorare gli antichi dei.
Clemente, naturalmente, rifiutò e fu gettato nel Mar Nero, nell’anno 100, con un’ancora di nave al collo, quella stessa che sedici secoli più tardi sarebbe stata effigiata, simbolo di incrollabile fede, sullo scudo di Clemente XI come nel bel quadro di Pier Leone Ghezzi (1674-1755) conservato in Vaticano.