Perugia, in età comunale, apre la sua zecca nel 1260, quattro anni dopo l’attestazione della prima volontà, da parte del Comune, di dotarsi di moneta propria. In un documento tratto dalle Riformanze (2, c. 81r) si legge infatti la solenne dichiarazione che “[…] moneta fiat in civitate Perusii. Affermazione di orgogliosa indipendenza, oltre che dettata da necessità del mercato, la moneta perugina – in autonomia, o sotto il controllo pontificio – si sviluppa così fino al 1553 per poi vivere una breve, confusa parentesi conclusiva alla fine del XVIII secolo fra potere pontificio e Prima repubblica romana.

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A sinistra, un grosso e un quattrino di Perugia delle prime serie comunali; a destra la copertina del volume di Angelo Finetti, testo base per la numismatica del capoluogo umbro

Pur studiata organicamente da Angelo Finetti nel fondamentale volume del 1997 La zecca di Perugia nel Medioevo e nel Rinascimento, la produzione numismatica del capoluogo umbro lascia tuttavia ancora spazio a novità e all’aggiunta di ulteriori tasselli – sia in termini di tipi, come l’agontano ritenuto “fantasma” fino a pochi anni or sono – che di varianti di conio.

Grazie alla disponibilità di un collezionista privato, siamo qui in grado di pubblicare e approfondire un esemplare – finora mai apparso – coniato in buona lega d’argento, con diametro di 13 millimetri e peso di 0,24 grammi, che al D/, entro un cerchio di dentini, mostra nel campo le lettere A P (per Augusta Perusia) intervallate da tre rosette in verticale e da sei globetti nel campo. Al R/, un simile contorno di dentini racchiude il grifone coronato simbolo della città, rampante verso sinistra, senza alcuna iscrizione o altro segno.

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L’inedito esemplare di moneta perugina recentemente individuato in una collezione privata: al D7 le lettere A P fra globetti e rosette, al R/ anepigrafe il grifo rampante coronato

Né l’opera di Finetti, né altri studi prececenti o successivi, censiscono questa tipologia di moneta che, tuttavia, possiamo collocare per analogie stilistiche nell’ultima fase delle monete semi autonome di Perugia, ben dopo le emissioni riferibili al 1515-1516 e la serie ordinata nel 1517, quando già da quasi un decennio la zecca umbra produceva anche monete sotto le insegne pontificie, prima a nome di Giulio II poi di Leone X.

Per quanto riguarda lo stile della moneta, vi sono somiglianze tra il grifone rampante di questo inedito e quello impresso sulla moneta che, dubitativamente, Finetti indica come “sestino nuovo” al n. 140 del suo repertorio (datazione 1515-1516); l’impostazione epigrafica del dritto è invece più prossima a quella che caratterizza, con la legenda AUGUSTA PERUSIA su più righe, il soldino in argento assegnato alla serie del 1517 (che tuttavia presenta al rovescio una croce patente con rosette e la legenda S HERCULANUS con stelle).

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Soldino coniato dalla zecca di Perugia durante il pontificato di Leone X (1513-1521)

Il peso mediano dei soldini del 1517 rilevato da Finetti (0,44-0,45 grammi), tenendo conto anche di ulteriori esemplari “calanti” apparsi sul mercato (ad esempio quello dell’asta NAC 90 del 14 maggio 2016, lotto 600, pari ad appena 0,32 grammi) appare ben più alto di quello della moneta inedita qui presentata (pari ad appena 0,24 grammi). Anche i soldini di Leone X con il grifo rampante al dritto e, al rovescio, S HERCVL con A N V S a croce nel campo, attorno a rosetta, le chiavi in alto (che Finetti classifica “baiocchi”, nn. 173-176) presentano pesi mediani superiori, addirittura di 0,53 grammi.

È pertanto plausibile proporre, per la moneta inedita oggetto di questo studio, una datazione più avanzata. Ricordiamo che le prime emissioni di Paolo III per Perugia, periodo 1535-1538, oltre a giuli, grossi (mezzi giuli) e baiocchi (dodicesimi di giulio) con le insegne pontificie, annoverano anche il bolognino perugino in argento, di cui Finetti censisce ai nn. 206 e 207 soli due esemplari con presi rispettivamente di 0,46 e 0,49 grammi.

La zecca di Perugia, negli anni 1535-1538, era affidata in concessione a tal mastro Giovanni Maria de Bosis, di Reggio Emilia, e a Leonardo Cesonio, parmigiano. A loro si affiancarono come saggiatori Mariotto di Marco e, dopo la sua morte nel 1537, un orefice di cui si conosce solo il soprannome, “Ponterella”.

Soldino in argento della serie perugina ordinata nel 1517

Il bolognino perugino corrispondeva a un ottavo di giulio (ossia, a un quarto di grosso papale), ha un diametro di mm 15 circa e presenta sul D/ la legenda attorno a un grifone coronato, rampante a sinistra mentre al R/è raffigurato il patrono sant’Ercolano mitriato che benedice con la destra e tiene il pastorale nella sinistra. La prima variante presenta legende . D PERUSIA . . al dritto e . . S . HERCULANU S . al rovescio, la seconda * * D PERU SIA * al dritto e * S * HERCULANUS al rovescio.

Per quanto riguarda i pesi, elemento assai importante, Finetti censisce tre esemplari: uno di 0,46 grammi in collezione privata, uno di 0,40 grammi con corrosione al bordo, dal Museo civico archeologico di Bologna e un terzo, dallo stesso medagliere felsineo, di 0,49 grammi.

L’inedito qui presentato – tenuto conto dei margini di variabilità di peso accettabili per una moneta così piccola – con i suoi 0,24 grammi corrisponderebbe dunque a un mezzo bolognino perugino, ossia un ottavo di giulio o grosso papale (o anche, un baiocco e mezzo) e possiamo collocarne la battitura nel periodo 1535-1538, in concomitanza con gli ultimi bolognini perugini, anche a motivo delle somiglianze tra i caratteri epigrafici dei due tipi e dell’uso delle rosette come elementi decorativi.

Baiocco (sesto di giulio) della serie di perugia emessa nel 1514-1521

A renderne possibile l’esistenza, in linea di principio, basterebbe il fatto che nel 1535 il Comune fece richiesta a Paolo III di poter coniare a proprio nome bolognini, ma anche moneta piccola descritta come “aeneam quoque pupilla et minimam quae sapiat obulus paucissimi praetii” (Editti e bandi, 3, c. 16r).

Il fatto che nei documenti non si trovi alcun cenno a questa tipologia, del resto, non deve stupire; probabilmente si trattò di un’emissione – autonoma, ma agganciata al sistema romano – limitata nel quantitativo fin dall’inizio, oppure il mezzo bolognino, risultato poco maneggevole e sgradito dal pubblico, venne ritirato lasciandoci, ad oggi, solo l’esemplare qui presentato (il caso dell’agontano di Perugia appare simile, leggi qui).

Del resto lo stesso Finetti fa notare come, in quegli anni, anche i soldini in corso non godevano in città di particolare credito (essendo spendibili per appena tre quattrini) e il circolante minuto era sotto l’attenta osservazione di un’apposita commissione “sopra le monete” nominata dai priori.

Commissione che propose un’applicazione severa dei bandi che, fra l’altro, proibivano i bolognini e i soldini “camerani” coniati a Camerino a nome di Giulia Varano tra il 1527 e il 1534 e di altre specie minori (forse anche locali, come il nostro presunto “mezzo bolognino perugino”) che, evidentemente, generavano disordine e difficoltà nella circolazione.