Pur breve (1555-1559), il caso di Montalcino come “capitale in esilio” della Repubblica senese è molto interessante per la numismastica italiana
di Lucia Travaini | Vogliamo parlare, in questo approfondimento, di un momento in fondo breve della storia di due città italiane, Siena e Montalcino. Si tratta degli anni 1555-1559, quando il governo di Siena in esilio a Montalcino ebbe zecca e batté moneta in questa città.
Che cos’è una zecca?
Che cos’è una zecca? La zecca è il luogo dove si batte moneta, ma molto di più: la zecca è infatti l’istituzione che ha diritto di battere la moneta, prerogativa sovrana per eccellenza. Il diritto è quindi alla base della moneta. I termini numismatica e nummus derivano dal greco nomos, legge. Ecco materia su cui riflettere: non c’è moneta senza il diritto.
E qui vorrei però anche ricordare l’origine del termine italiano zecca: moneta, in latino, era il termine che indicava la zecca (dal tempio di Giunone Moneta – ammonitrice – sul Campidoglio a Roma, presso il quale la prima zecca repubblicana era ubicata).
E zecca in inglese è mint, in tedesco münz, tutti derivati dal latino: ma in italiano zecca deriva dall’arabo sikka, passato in Italia centro-settentrionale dalla zecca araba di Palermo attraverso l’esperienza delle zecche del Regno normanno e svevo: perché? Nella Sicilia araba e poi nel Regno di Sicilia normanno e svevo, non si fermò mai la produzione di monete d’oro, che dal tempo di Carlo Magno invece non furono più battute in Occidente.
E quando Firenze e Venezia ripresero a battere oro, troviamo i termini ceca o zecha comparire nella documentazione per indicare il luogo, e quindi la tecnologia: il know how per la produzione aurea veniva dal sud, e con esso la parola nuova che è rimasta nella nostra lingua.
Zecca come istituzione e zecca come officina
Zecca quindi vuol dire due cose: l’istituzione avente diritto di battere moneta e il luogo dove si batteva la moneta. Una istituzione con diritto di zecca poteva battere moneta in officine in sedi diverse (i vescovi di Volterra fecero battere moneta a Volterra, ma anche a Berignone e Casole), anche se sulle monete si indica in genere solo il nome del luogo sede dell’istituzione.
Le monete battute a Montalcino, invece, portano chiaro i segni del doppio significato di zecca: vi si legge infatti R P SEN IN MONTE ILICINO quindi la Repubblica di Siena (zecca intesa come istituzione) in Montalcino (zecca intesa come officina).
Avere il diritto di zecca e monete proprie per uno Stato indicavano autonomia politica e lasciavano un segno e un messaggio ben chiaro. E l’importanza della zecca proprio a Siena è macroscopicamente sottolineata dal fatto che la sede della zecca era anche la sede dell’istituzione: il Palazzo del Comune, detto anche bulgano.
Usi rituali e non economici della moneta
La simbologia delle monete e della zecca si estende anche a tanti ambiti diversi, per esempio quello rituale. Cito ad esempio le parole di un cronista anonimo senese trecentesco che narra della fondazione della Torre del Mangia, ricordando che l’operaio del chomuno di Siena mise in fondo di detta torre alquanta moneta per memoria di detta torre.
Ed usi rituali delle monete erano quelli dei pellegrini che offrivano monete sugli altari o le infilavano nelle teste dei reliquiari per legare con un contatto personale la memoria del loro viaggio pericoloso; monete reliquie sorprendenti sono due monete della zecca di Milano per Francesco II Sforza macchiate del sangue di san Giovanni Battista!
La moneta quindi non era solo “economia”: le monete interessano – o dovrebbero interessare – tutti, economisti, storici (delle istituzioni come dell’economia o della tecnologia o della chiesa), e infine i numismatici. Ma in realtà solo i numismatici maneggiano le monete del passato, documenti che, con larghe eccezioni, sfuggono in genere agli altri studiosi. Un peccato. C’è ancora poca frequentazione tra storici e monete.
In ogni caso un contatto con le monete avvicina tanti altri fatti della storia, e illumina aspetti altrimenti poco evidenti, e spero che alla fine della giornata sarà chiaro che questo evento interessa la storia “più grande” delle due città con una valenza ben più estesa di quanto le monete esposte nella mostra possano far pensare (le monete sono piccole, non sono statue o grandi quadri, ma parlano se le si sa far parlare).
L’officina monetaria, un’industria ante litteram
Ma come funzionava una zecca? Una zecca grande funzionava già dall’antichità come una catena di montaggio, ma senza catena: le varie fasi di lavorazione erano altamente specializzate. Le monete sono i primi manufatti di massa della storia dell’uomo.
La descrizione delle mansioni di zecca nei documenti italiani è molto ricca: gli operarii, ovrieri o laborantes laminavano i tondelli. Un inventario fiorentino del 1353 registra un capsone, due martelli (martellus), un tassum fractum (incudine) necessari per il loro lavoro.
Gli affilatores rendevano i tondelli circolari e del giusto peso, ritagliandoli dopo averli temprati; questi operai venivano chiamati anche amendatores o addirizzatores. I taliatores ritagliavano i tondelli grezzi, l’inventario fiorentino del 1353 registra per questa operazione diciotto paia di forbici e due paia di grosse cesoie (paria cesoiarum magnarum).
L’inventario della zecca di Siena del 1556 elenca cesoie, bilance grandi e piccole, e mobilio diverso, e serrature e chiavi a tutti gli usci. Della fusione si occupavano i fonditores, fusores o alligatores. Gli addetti alla fusione erano operai altamente specializzati ed è ricorrente nella documentazione la necessità di procurarsi fonditori esperti.
I frammenti di metallo caduti in seguito alla rifilatura dei tondelli dovevano essere raccolti. L’oculatezza della gestione senese si vede bene nel 1262, quando il podestà dovette impegnarsi ad obbligare i maestri di zecca a non vendere né alienare la spazzatura del bulganum, vale a dire della zecca, né dei forni, ma a farla invece lavorare e trattare per il Comune (“Et quod nullam spacçaturam bulgani vel fornacum vendent nec dabunt nec alienabunt aliquo modo, sed eam laborari facient et deduci ad finem pro comuni”).
La coscienza della possibile ricchezza della spazzatura di zecca doveva essere quindi ben viva in chiunque avesse la responsabilità di un’officina monetaria. Altrettanto viva doveva essere tale coscienza in quanti potevano approfittarne, per portarsi via un po’ di metallo prezioso.
E’ ovvio che la buona gestione di una zecca esigesse molta attenzione: Biringuccio Vannoccio (1480 – ante 1539), anche zecchiere a Siena, nel trattato De la Pirotechnia, ripeteva che chi volesse gestire una zecca doveva usare molta diligenza, e avere cento mani e cento occhi dato che “[…] anche i topi e gli uccelli sono pronti a portar via dell’oro”.
Troviamo poi gli imblanchitores per la sbiancatura, o imbianchimento, dei tondelli, che si otteneva utilizzando gromma o tartaro. Con questo procedimento si rendeva più argentea la superficie delle monete. Infine, i monetarii, chiamati anche cuniatores o affioratores o stampatores, battevano le monete con un conio di martello (torsello), soggetto alla pressione diretta dei colpi, su un conio fissato nell’incudine.
Un ruolo importante nella zecca era ricoperto dai saggiatori, ufficiali spesso scelti tra un gruppo di esperti orafi. A Firenze nel 1324 erano chiamati officialis ad saggiandum seu ponderandum et sigillandum florenos auri.
Da orafo a zecchiere il passo (a volte) è breve
Gli incisori poi erano orafi altamente qualificati, e spesso appaltatori di zecca essi stessi: Ugolino e Luca di maestro Vieri, fratelli orafi, appaltarono la zecca di Siena dal gennaio 1352 al dicembre 1353; Ugolino, in particolare, è noto per aver realizzato insieme a Viva di Lando il celebre reliquiario di San Savino per il duomo di Orvieto; così anche Francesco Castoro, incisore dei conii; lavorò per la zecca dal 1495 al 1507.
Durante il camerlengato di Girolamo di Gano di Manno spesso presentò le tratte delle monete per il saggio a nome dello stesso; solo per un breve periodo (dal 1504 al 1507) divenne conduttore in prima persona della zecca; e così infine anche Agnolo Fraschini zecchiere e orafo, con segno di zecca A entro cerchio.
Egli fu chiamato anche alla zecca di Parma dal duca Ottavio Farnese nel 1552. Agnolo Fraschini: appaltò la zecca per ben quattro volte: 14 agosto 1548-27 agosto 1549; agosto 1549-luglio 1554; 20 luglio 1554-14 agosto 1555; 14 agosto 1555-marzo 1556; il 24 gennaio 1555 Fraschini si era dovuto recare a Parma per una vertenza finanziaria: ebbe poi problemi con la giustizia ma la sua grande esperienza ebbe la meglio (del resto Benvenuto Cellini e Leone Leoni si macchiarono di omicidio ma vennero graziati per i loro meriti artistici).
Ed infine, a capo delle zecche, nel caso di Siena come di Firenze, vi erano magistrati eletti dal Comune, oppure appaltatori che avevano i capitali e la competenza di gestione (a Siena la zecca fu data in appalto per la prima volta nel 1351). Il primo segno di zecchiere senese identificabile grazie a documenti è del 1317, grazie all’identificazione del grosso da 20 denari ad opera di quattro valenti studiosi, Betti, Montagano, Sozzi e Villoresi nel 2002.
Riassumendo…
Una zecca è quindi potere e autonomia; è gestione finanziaria; si tratta un ufficio statale di grande rilevanza; concentra in sè alta tecnologia; è potenzialmente mezzo di comunicazione dei segni dello Stato tramite le due facce delle monete che sono il primo manufatto di produzione di massa della storia dell’uomo. E come prodotto di massa il ruolo di strumento di comunicazione e di memoria è da considerare con attenzione.
Per alcuni Stati l’accentramento della produzione monetaria sottolineava la vittoria su altri Stati o città autonome che venivano private delle loro zecche: così fu nell’Impero romano in Occidente, mentre le zecche orientali potevano battere monete ma soltanto di bronzo.
L’oro era dell’imperatore e si batteva a Roma. Così fu per Venezia man mano che conquistava le città della Terraferma chiudendone le zecche. E così Firenze, che aveva preso Arezzo nel 1384 e Pisa nel 1406, arrivando al nostro “caso doloroso” di Siena e Montalcino.
Il caso di Siena e Montalcino
I segni identificativi sulle monete di Siena furono a lungo semplici ma chiarissimi: una S al centro del campo e legende SENA VETVS (con un richiamo all’antichità della città fin dall’apertura della zecca nel XII secolo) e ALPHA OMEGA, più tardi con l’aggiunta PRINCIPIVS ET FINIS, quindi un riferimento all’Apocalisse, e legenda CIVITAS VIRGINIS sull’altra faccia del tondello.
Il perdurare di tipi immobili, la S e la croce, non è “monotonia” ma è potenza e tradizione, è un logo di grande successo. Gli storici dell’arte come l’amica Beatrice Paolozzi Strozzi definiscono “aniconica” questa monetazione: così nello splendido libro sulle monete di Siena del Monte dei Paschi pubblicato nel 1992.
Ma è davvero “aniconica” una immagine che contiene simboli tanto forti da creare identità? Si pensi a quanto “iconici” e pieni di significato (status symbol) siano oggi i marchi di Dolce & Gabbana o di Gucci.
Il dominio visconteo del 1390-1404 non cambiò il tipo principale, limitandosi ad aggiungere la biscia, come del resto avveniva anche sulle monete viscontee a Genova. Vi era quindi un omaggio alla solidità della tradizione della moneta senese e delle sue istituzioni.
Solo nel 1510 comparve sulle monete la lupa con i gemelli Senio e Ascanio legati alla mitica storia della fondazione di Siena. Notevole il tipo con la Vergine sulla veduta della città SALVAVIT NOS DEXTERA TVA e un angelo sul rovescio con la legenda MANVS TVA DOMINE FECERVNT ME: si riferisce alla vittoria di Porta Camollia del 1526.
E’ guerra aperta tra Siena e Firenze
Si arriva così agli anni della guerra e della fine della Repubblica senese in Siena, dopo la resa dalla città aCarlo V e Cosimo I nella primavera del 1555. Ma questa Repubblica continuò per pochi anni a Montalcino con il motto VBI CIVES IBI PATRIA e vi batté moneta, sotto la direzioni di Fraschini che preferì lasciare la zecca di Siena sotto il nuovo governo.
Ma era proprio necessario battere moneta? A Montalcino la zecca fu gestita dallo zecchiere senese Angiolo Fraschini, che pose la sua sigla sulle monete e gestì l’officina. Servivano fondi e non ce n’erano. E forse non solo per disonestà le monete uscite dall’appalto Fraschini furono sospettate di essere di qualità inferiore al dovuto.
Ovviamente Cosimo I ostacolò la circolazione delle monete di Montalcino, e qui si vede bene il potere simbolico della moneta, che dimostrava che Siena esisteva ancora.
La “zecca in esilio” e le sue monete
Conosciamo il testo del capitolato della zecca di Montalcino del marzo 1556: vi si precisano i nominali (ducati, giuli e mezzi giuli, parpagliole e mezze) e vi si dichiara che entro un mese si bandirebbero tutte le monete tranne quelle che in seguito specificate: si prevedeva quindi un provvedimento simile a quello di Cosimo I contro le monete di Montalcino.
La moneta era certo un segno forte: i tipi e le legende lo dicono. Qui la Libertas di Siena appare posta sotto la tutela di uno straniero: Enrico II di Francia. Una contraddizione? Il vero signore visconteo alla fine del Trecento non aveva nemmeno messo il suo nome: si era accontentato della biscia. Qui la città si trovava in una posizione estrema di debolezza e il protettore francese ebbe il suo nome sulle monete. E non basta: quasi alla fine il francese esigeva qualche segno in più: il suo ritratto sulle monete.
Furono preparati nuovi conii da un lato con la impronta de la testa del re cristianissimo et con la solita inscrizione di s. maestà, et l’altro con la lupa con le lettere de la repubblica, ma si prese tempo inviando a Roma il progetto e aspettando la licenza papale, che non venne mai: il ritratto non può apparire su monete repubblicane, e la sua presenza snatura l’istituzione.
Anno 1559: Cosimo I sottomette Siena
Arrivò il momento in cui la resistenza di Montalcino fu sconfitta e Cosimo I vinse. Qui si chiude la storia delle monete di Montalcino, e di Siena, ma ci sono ancora due punti da osservare.
Dopo la sconfitta di Siena Cosimo I ordinò che proprio le monete fiorentine fossero prodotte con l’immagine della Vergine sulla città di Siena. Monete battute per mostrare il nuovo potere legato ai simboli dell’antica identità – era forse come mostrare le insegne di un popolo vinto come trofeo in un corteo trionfale. Ma ancora per un certo tempo così l’immagine monetale di Siena restava in vita, in una fusione di immagini che rappresenta la continuità della storia.
Il senese Giuseppe Porri (1798-1885), nello scritto Cenni sulla zecca sanese, (in Miscellanea storica sanese, 1844, pp. 99-183), alle pagine 145-146 scriveva con vero amor patrio che il 14 agosto 1559, solo 14 giorni dopo la resa di Montalcino, da Siena il novello padrone colpiva ‘ di orribile anatema “le monete battute a Montalcino le quali per solo ‘tutto il mese di settembre potevano restare al valore nominale ma poi sarebbero state bandite e confiscate, e scriveva: “enorme ingiustizia […] la moneta fu di certo distrutta ed i pochi esemplari i quali furono allora con mano timorosa gelosamente nascosti e custoditi siccome reliquie del gran naufragio or di rado s’incontrano, preziosa materia per gli eruditi, e per l’ornamento dei gabinetti de’ raccoglitori di sì fatta specie di cimelii”. Ciò che Porri vedeva come un orribile anatema era una pratica di governo da sempre, ovunque.
Cosa resta della zecca di Montalcino
Ma cosa resta oggi di quella zecca e di quelle monete? Quante furono le monete effettivamente battute a Montalcino? Quanto circolarono? È noto che un esemplare fu ritrovato in un tesoro in Assia. La risposta è che probabilmente ne furono battute assai poche, anche se uno studio dei conii non è stato ancora fatto.
Avremmo bisogno di conoscere i ritrovamenti e di recensire almeno tutti gli esemplari delle collezioni e qui c’è un serio problema. Il Museo Civico di Siena possiede una delle collezioni di monete italiane medievali e moderne più importanti del mondo, oltre 6.500 pezzi che Aldo Cairola aveva ordinato con estrema competenza, ma che è del tutto sconosciuta; le monete sono “l’ultima priorità” dei conservatori dei Musei, e si può anche capire, data la scarsa visibilità di questi piccoli oggetti, sempre troppo numerosi, e data la mancanza assoluta di fondi: qui si conservano 21 esemplari di Montalcino; il Monte dei Paschi di Siena possiede una collezione di monete di Siena e Montalcino che si dice favolosa (1.286 pezzi), con 20 pezzi di Montalcino: cifre desunte dal libro sulla zecca di Siena del 1992.
Ma questo libro, tuttora insuperato quanto a scientificità e accuratezza, illustra solo un tipo per ciascuna moneta: è dunque un corpus, ma non ci dice quanti esemplari ci siano per ogni tipo e la collezione del Monte dei Paschi di Siena è dunque ancora inedita.
Per approfondire
- Betti R., Montàgano A., Sozzi M., Villoresi R. 2002, Il primo grosso da venti denari della Zecca di Siena in Cronaca Numismatica, n. 140, pp. 20-22.
- Montàgano A., Catoni G. c.s., Siena, in Le zecche italiane fino all’Unità, a cura di L. Travaini, Roma 2011.
- Paolozzi Strozzi B., Toderi G., Vannel Toderi F. 1992, Le monete della Repubblica Senese, Cinisello Balsamo (Milano), e in particolare B. Paolozzi Strozzi, La resa di Siena e la zecca di Montalcino, pp. 189-222.
- Travaini L. 1988, L’organizzazione delle zecche toscane nel XIV secolo, in La Toscana nel secolo XIV: caratteri di una civiltà regionale, Convegno del Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo (San Miniato 1986), a cura di S. Gensini, (Collana di Studi e Ricerche, 2), Pisa, pp. 241-249.
- Travaini L. 1999, Siena, Aristotele e la spazzatura della zecca in Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, 46, pp. 195-201.
- Travaini L. 2003, La moneta in viaggio, in G. Piccinni, L. Travaini, Il libro del pellegrino (Siena, 1382-1446). Affari, uomini, monete nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, (Nuovo Medioevo 71), Napoli, pp. 83-158.
- Travaini L. 2004, Monete medievali: Immagini e parole del potere, in La tradizione iconica come fonte storica. Il ruolo della numismatica negli studi di Iconografia, Atti del primo incontro di studio del Lexicon Iconographicum Numismaticae (Messina, 6-8 marzo 2003), a cura di M. Caccamo Caltabiano, D. Castrizio, M. Puglisi, Reggio Calabria, pp. 93-107.
- Travaini L. 2007a, Monete e storia nell’Italia medievale, Roma.
- Travaini L. 2007b, I ritratti sulle monete. Principi, artisti, collezionismo e zecche nel Rinascimento italiano, in Ritratti del Rinascimento, a cura di R. Castagnola, Lugano-Milano, pp. 83-112.
- Travaini L. 2009b, Valori e disvalori simbolici delle monete: temi, problemi, interpretazioni, in Valori e disvalori simbolici delle monete. I Trenta denari di Giuda, a cura di L. Travaini, Roma, pp. 13-61.
- Travaini L. c.s., Le zecche italiane, in Le zecche italiane fino all’Unità, a cura di L. Travaini, Roma, Roma 2011.