Anche un antico strumento musicale può diventare simbolo di cambiamenti storici: il carnyx nelle monete celtiche e romane ne è un esempio
di Francesco Billi | Lo storico di I secolo a.C. Diodoro Siculo ci informa che i Celti avevano “trombe di natura particolare e di tradizione barbara; infatti, quando vi si soffia dentro, emettono un suono aspro, appropriato al tumulto di guerra” (fig. 1).
Del resto, già Polibio, aveva descritto la vittoria romana di Talamone (225 a.C.) contro la grande coalizione celtica, evidenziando come quest’ultima contasse un numero di suonatori di corno e di tromba incalcolabile, “e poiché l’intero esercito strepitava insieme a questi, si levava un clangore così forte e prolungato che sembrava che non soltanto gli strumenti e l’esercito, ma anche i luoghi circostanti emettessero dei suoni per effetto dell’eco”.
Il carnyx e il suo uso in battaglia
L’impressionante impatto acustico che accompagnava i guerrieri gallici in battaglia era prodotto dal carnyx (termine tardo greco per indicare un corno musicale), ovvero la lunga tromba diffusa dal III secolo a.C. in tutta l’Europa barbara e collegata verosimilmente al rango della nobiltà militare (fig. 2).
Le fonti archeologiche e iconografiche confermano come lo strumento, pur nelle sue varianti regionali, rappresentasse un elemento comune alle diverse popolazioni celtiche: generalmente in ottone o in bronzo (ma anche in terracotta nella Penisola iberica) era formato da un lungo fusto rettilineo che collegava il bocchino, per introdurre l’aria soffiando, alla cima, costituita da un padiglione zoomorfo, cioè a forma di testa di animale (fig. 3).
In virtù del suo riconosciuto valore identitario, dunque, il carnyx caratterizzò la monetazione antica sia dei Celti che romana, adattandosi alle diverse esigenze iconografiche e propagandistiche delle due civiltà spesso in conflitto fra loro.
Pur in uno scenario molto complesso, possiamo individuare nella numismatica antica almeno tre ambiti generali in cui questa tromba da guerra venne raffigurata come indiscutibile emblema delle popolazioni barbare.
Il carnyx nelle monete dei popoli celtici
Al pari delle altre civiltà antiche, anche la cultura celtica vantava un’importante tradizione musicale, tant’è che i loro poeti/cantori, i famosi bardi, vennero ricordati in numerose fonti.
Il carnyx, tuttavia, svolgeva per i Celti una funzione particolare, attinente al divino. Nel calderone di Gundestrup (un recipiente d’argento piuttosto misterioso, ma generalmente datato I secolo a.C. e decorato con scene mitologiche) i suonatori di carnyx accompagnano una cerimonia militare che sembra avere a che fare con un’immersione rituale o una scena di rinascita dopo la morte (fig. 4).
Dunque, non una banale tromba da guerra per “suonare la carica”, ma un oggetto insieme sacro e simbolico della nobiltà guerriera, che trovava inevitabilmente nei campi di battaglia il contesto ideale per esprimere le proprie funzioni di magica protezione ed esibizione del rango.
Il carnyx nelle monete dei Celti compare quasi sempre abbinato agli attributi dell’élite militare preromana che governava i territori gallici e britannici, cioè il cavallo e il carro da guerra.
In una emissione argentea a nome del sovrano degli Edui Dumnorix (100-50 a.C. circa) il carnyx è in mano a un auriga che espone la testa del nemico decapitato secondo le usanze belliche dei barbari (fig. 5).
Lo ritroviamo poi, insieme al cavallo e nelle forme stilizzate tipiche dello stile celtico, sul rovescio dei denari degli Aulerci Cenomani (fig. 6) (80-50 a.C.), ma anche nella monetazione aurea (stateri) di Trasciovanus (25 a.C. – 10 d.C. circa), re dei Britanni Catuvellauni, quale prestigioso attributo del cavaliere, nonché abbinato al simbolo della ruota di carro (fig. 7).
Un emblema dei nemici di Roma
La monetazione romana considerò il carnyx uno strumento esclusivamente militare, adattandolo alle proprie esigenze propagandistiche come emblema del nemico di Roma e, in particolare, del nemico sconfitto.
Associato spesso ad altri simboli della tradizione guerriera celtica, come lo scudo oblungo e la ruota del carro da guerra, la tromba barbara divenne un elemento distintivo per caratterizzare i trofei celebranti le vittorie sui Galli.
Iconografie di questo tipo le possiamo riscontrare nei denari repubblicani degli anni 120, 119, 98, 97, 54 e 51 avanti Cristo, in prossimità di eventi particolari ai quali occorreva garantire il massimo risalto, come le vittorie di Gaio Mario contro i Cimbri agli inizi del I secolo a.C. e la campagna di Cesare contro i Galli negli anni cinquanta (figg. 8, 9 e 10).
Contestualmente ai trofei venivano spesso raffigurati i prigionieri celtici in catene, accovacciati e riconoscibili per la barba, i baffi e i capelli lunghi, ma anche le personificazioni di Roma o della Vittoria alata.
Entrato a far parte del repertorio iconografico monetale romano per indicare il trionfo sui barbari, il carnyx continuò a comparire periodicamente anche nei conii di piena età imperiale, come dimostrano le emissioni dell’augusto Marco Aurelio e del cesare Commodo, risalenti agli anni settanta di II secolo d.C. e dedicate alle campagne contro Sarmati e Germani, ormai considerate vinte (fig. 11).
La romanizzazione dei simboli celtici
C’è poi un terzo utilizzo iconografico del carnyx che vale la pena analizzare in maniera distinta poiché sembra collegarsi a quel raffinato percorso politico e culturale noto come “romanizzazione”.
Il processo inclusivo avviato da Roma nei confronti delle popolazioni sottomesse, infatti, non rappresentò un banale corollario alla conquista militare, come spesso tende ad essere derubricato, ma costituì una fase strategica ben definita, nonché fondamentale per la longevità e il successo dell’imperialismo romano fin dai suoi esordi.
In questo senso, infatti, può essere verosimilmente interpretato il denario serrato coniato presso la zecca di Narbo Martius (l’attuale francese Narbonne), a nome del magistrato Porcio Licinio, nel 118 a.C. e dunque poco dopo la fondazione della colonia stessa: la prima al di fuori della penisola italica (fig. 12).
Benché l’emissione, destinata alla circolazione locale coloniale, sia stata collegata alla vittoria di Gneo Domizio Enorbarbo sui Galli Allobrogi e sui loro alleati, risulta evidente un diverso approccio iconografico rispetto alle scene di sottomissione con trofeo.
Il rovescio, infatti, non raffigura un nemico sconfitto o in catene, ma un guerriero celtico sul carro, nudo e ben identificato etnicamente dal carnyx. E’ quindi una rappresentazione eroica che denota un’ambigua mescolanza fra elementi romani e barbari, in cui il protagonista, benché barbaro, assume un atteggiamento romanizzato e non sembra essere caratterizzato né da baffi, barba e capelli lunghi come ci si aspetterebbe nella caratterizzazione di un avversario gallico.
Verosimilmente, anche sulla scelta dei tipi monetali era in corso un processo di romanizzazione: il carnyx, simbolo della tradizione locale, veniva ora adottato dai vincitori impegnati a definire la nuova identità della colonia, celtica sì, ma subordinata alla civiltà e al potere di Roma.
Così, attraverso le monete, si andava promuovendo verosimilmente l’immagine di una Gallia “un po’ meno barbara”, o almeno libera da catene e favorita dai romani in quanto parte dell’impero e ad esso fedele.
L’adozione di immagini identitarie locali come strategia comunicativa per ribadire la romanizzazione (in corso o avvenuta) delle provincie galliche andrebbe considerata anche nell’interpretazione delle iconografie monetali successive alle campagne di Cesare, in cui un discreto numero di carnyx tornò a comparire sui denari romani.
In quest’ultimo caso la scelta dei conii potrebbe essere stata funzionale alla fazione cesariana, per rammentare le gesta militari del grande conquistatore in tempo di guerre civili.
Da strumento identitario a trofeo di conquista
Il carnyx, strumento sacro per i celti e da loro suonato in battaglia, impressionò a tal punto gli eserciti antichi da venire considerato un oggetto identitario delle popolazioni barbare.
Divenuto un simbolo culturale e politico venne riprodotto nella monetazione sia celtica, che romana. Emblema dell’élite guerriera e della difesa della propria civiltà per i Galli, venne sfruttato dai Romani nel raffinato gioco di costruzione dell’Impero: esibito come trofeo nemico per celebrare la conquista militare, ma anche adottato iconograficamente nell’intento di romanizzare quelle inquiete popolazioni.
La suggestione e il mistero di questo oggetto viene mantenuta viva attualmente dal musicista John Kenny che nel 1993, dopo duemila anni, è tornato a suonare una fedele riproduzione di un carnyx del II-III secolo d.C., ritrovato dagli archeologi in Scozia (fig. 13). Per riascoltare il suono del carnyx suonato dal musicista John Kenny clicca qui.