Mancante delle M gotiche agli angoli della croce, fu oggetto di una truffa e sarà proposto nell’incanto 78 della Numismatica Varesi il 30 settembre
di Renato Villoresi | La zecca di Massa Marittima, nel suo breve periodo di attività (1317-1319), emise grossi al tipo agontano dal valore di venti denari dal peso di g 1,60 sui quali troviamo rappresentati al D/ nel campo una croce patente con due piccole M gotiche nel primo e quarto angolo e nel giro della legenda DE MASSA, al R/ il patrono della città, san Cerbone, e la legenda S. CERBON’.
Uno di questi già rarissimi esemplari, unicum per la particolarità che su di esso le piccole M gotiche che accantonano la croce sono state abrase, o “obliterate”, già apparso in asta Ratto nel lontano 1959, sarà tra i pezzi forti dell’incanto Varesi n. 70 del 30 settembre prossimo di cui potete scoprire tutti i tesori in catalogo cliccando qui.
Toranando al contesto storico numismatico dell’esemplare, va ribadito innanzi tutto che non conosciamo il motivo per cui Massa di Maremma decise di battere il suo grosso d’argento ad imitazione di una tipologia “adriatica”, quella di Ancona, meglio conosciuta all’epoca come “agontano” e coniata per la prima volta da quella zecca a partire dalla fine del Duecento con valore di 24 denari e peso di circa g 2,35.
Un bell’esemplare di grosso agontano “leggero” di Massa Marittina
In Toscana, tuttavia, Massa non fu la sola a battere tale tipologia, perchè già le zecche di Arezzo e Volterra avevano cominciato ad utilizzarla nelle loro produzioni tra la fine del ‘200 e i primi del ‘300 al valore di 24 denari, come il prototipo di Ancona. A seguito di mutate esigenze di mercato, intorno agli anni 1317-1319, sempre Arezzo e Volterra e anche le zecche di Massa e Chiusi batterono quindi una nuova tipologia di agontano più “leggera” della precedente (g 1,60) e di minor valore, venti denari.
Il picciolo, l’unica altra tipologia di moneta coniata a Massa nel 1317-1319
Gli agontani toscani da 20 denari sono molto simili tra di loro, perciò nella massa del circolante non era semplice individuare la zecca che li aveva prodotti; solo quello di Massa era l’unico che si poteva distinguere con una certa facilità per la presenza delle piccole M gotiche negli angoli della croce, mentre tutti gli altri al loro posto hanno incise delle piccole stelle.
Nello stesso periodo anche le zecche di Firenze e Siena coniarono grossi da 20 denari, ma non alla tipologia agontana; quello fiorentino era contraddistinto dal giglio e san Giovanni, quello senese dall’iniziale del nome della città, una grande lettera S, ed una croce.
I grossi agontani toscani da venti denari non ricevettero l’apprezzamento dal mercato come gli addetti delle rispettive zecche avevano sperato, soprattutto a causa della lega non sempre rispondente ai bandi di emissione, per cui nel mercato si era venuta a creare una grande confusione sul reale valore a cui potevano essere spesi. Sottoposti a svariati saggi che ne decretarono pesanti svalutazioni la loro produzione nel volgere di un breve periodo cessò. Il grosso di Massa qui di seguito illustrato è figlio di tale confuso periodo.
Il grosso massetano abraso e mancante delle due M gotiche al dritto (esemplare in asta Varesi n. 70 del 30 settembre 2021, lotto n. 128)
Ad un primo esame notiamo subito che apparentemente le caratteristiche piccole M non sono presenti, ma, approfondendo, ci rendiamo conto che non è così, infatti si vedono ancora le loro tracce nel campo della moneta negli angoli della croce, perché in antico qualcuno ritenne opportuno eliminarle per rendere questa moneta simile ad un’altra. Escludendo una “damnatio memoriae” nei confronti della zecca di Massa o della stessa città (è del tutto improbabile), l’unico motivo valido che possiamo trovare per spiegare tale operazione è quello di un tentativo di truffa.
Possiamo, quindi, ipotizzare che l’idea della truffa sia venuta in mente a chi ricevette questa moneta in pagamento quando si rese conto che il suo reale valore era molto più basso di quello per cui era stata emessa e per il quale invece riteneva di essere stato pagato. La moneta, inoltre, è di peso calante, g 1,43, rispetto ad una media di 1,60, anche a causa delle evidenti tracce di usura da circolazione.
Il grosso agontano originario, quello della zecca marchigiana di Ancona
Per recuperare quello che non aveva percepito si può immaginare che al nostro ignoto ma scaltro personaggio sia venuta in mente l’idea di eliminare le piccole M, perché se avesse tentato di spenderla nuovamente integra non avrebbe recuperato nulla, anzi, probabilmente avrebbe continuato a perdere dell’altro. Dovette anche calcolare se il rischio di spendere o meglio spacciare la moneta dopo il trattamento di ablazione valesse la pena ed evidentemente la valutazione fu a favore di correrlo.
Alla decisione dovette contribuire anche una discreta conoscenza delle tipologie monetali circolanti, perché, fosse andato tutto nel modo sperato, ne avrebbe ricavato un doppio vantaggio, si sarebbe sbarazzato definitivamente della moneta e ne avrebbe anche ricavato un discreto beneficio economico.
Un altro grosso agontano di area toscana, quello di Arezzo con san Donato
Il grosso, infatti, se inserito in un nutrito gruzzolo di vari tipi di monete, avrebbe potuto essere confuso con un agontano di Ancona, anche se circolato, o più presumibilmente con uno dei primi tipi di grosso agontano aretino o, molto più difficilmente, volterrano e, quindi, essere accettato in pagamento per un valore addirittura superiore. Tali grossi, infatti, avevano un valore di 24 denari, che con il passare del tempo era anche aumentato, e soprattutto non hanno alcun segno particolare negli angoli della croce.
La truffa andò a buon fine? Nessuno potrà mai dircelo ma almeno, del tentativo, l’esemplare che sarà offerto in asta Varesi n. 70 al lotto n. 128 (conservazione Mb, base d’asta 2000 euro) ne è sia il silenzioso testimone che una prova evidente.