Nel panorama dei ritratti rinascimentali presenti sulle monete italiane – spesso raffinatissimi – sembra proprio un po’ rozzo e sommario quello che appare su alcuni testoni di Filippo II di Savoia, detto “Senzaterra” e sul trono ducale nel breve periodo che va dall’aprile del 1496 al novembre del 1497.

Le circostanze storiche possono spiegare quello che doveva essere un dato oggettivo del duca, la sua durezza ed arroganza, causata dal fatto che, figlio cadetto di Lodovico (1413-1465), ambizioso e assetato di ricchezze (fu lasciato senza appannaggio fino all’età di ventuno anni), venne spesso a trovarsi a tramare contro i suoi parenti.

Filippo II di Savoia, conte di Bagé, duca di Savoia (Ginevra, 5 febbraio 1443 – Chambéry, 7 novembre 1497), capostipite della Branca di Bresse o Ramo della Bressa

Quello che sarebbe salito al trono come Filippo II di Savoia ordì numerose congiure contro il padre, contro il fratello Amedeo IX “il Beato” (1435-1472) e, soprattutto, cercò di scalzare dal trono il nipote Filiberto “il Cacciatore” (1472-1482), ragazzo debole, al trono per anni con la reggenza della madre Jolanda di Francia. Quando, nel 1482, sale al trono Carlo I, fratello di Filiberto, ma tanto diverso da meritarsi il soprannome di “Guerriero”, per diversi anni lo zio Filippo deve ritirarsi nella Contea di Bresse e non interferire con un parente decisamente determinato e capace.

Le monete ci mostrano Carlo a mezzo busto, con corazza e lunga spada nella mano destra, un’immagine che suggerisce autorità, quasi un programma politico (CNI 22-45). Ma le vicende dei Savoia sono molto travagliate in questi anni: anche Carlo I muore giovanissimo (ventuno anni), lasciando le redini del trono al neonato Carlo Giovanni Amedeo, con la reggenza della madre Bianca del Monferrato. Alla morte prematura del piccolo Savoia, ad appena sette anni, nel 1496, Filippo riesce finalmente a coronare le sue ambizioni frustrate e, all’età di 53 anni, riesce a farsi incoronare duca di Savoia.

Testone del duca Carlo I di Savoia (1482-1490): al dritto si noti il ritratto con lunga spada, un evidente messaggio politico e di propaganda

Durante i pochi mesi del regno di Filippo II di Savoia le zecche del Ducato hanno battuto principalmente testoni e mezzi testoni. Nel 1968, nella Gazette numismatique suisse è stato pubblicato anche un ducato che, ovviamente, non è descritto dal Corpus Nummorum Italicorum e che, con tipi di raffinatissima cura ed eleganza, colma un vuoto che pareva inconciliabile con l’ansia di prestigio e di riscatto sociale che facevano parte di Filippo: il bel ducato d’oro lo poneva alla stregua dei nobili suoi predecessori e lo poneva sulla scena politica internazionale, almeno nelle sue intenzioni.

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Un pezzo unico, il ducato d’oro di Filippo II di Savoia pubblicato dalla Gazette numismatique suisse: molto raffinato, si inserisce ad alto livello tra le monete con ritratto di fine XV secolo

Quanto elegante e curato appare il ducato, tanto sommari e di scarsa fattura appaiono alcuni testoni e mezzi testoni, come abbiamo anticipato. Molto probabilmente, visto il breve lasso di tempo di regno di Filippo II, si deve pensare alla presenza di diversi incisori alla corte dei Savoia, alcuni ancora legati alla ritrattistica medievale e locale, altri decisamente più “moderni” e sensibili, portatori delle istanze del ritratto rinascimentale.

Poco curata, sul testone in argento, risulta non solo la resa fisionomica del sovrano, ma anche la tecnica di battitura che si serviva evidentemente di punzoni dal rilievo poco plastico. Le zecche in cui venivano coniati i testoni si trovavano a Cornavin, vicino Ginevra, (sigla GG), presso la quale lavorava il maestro Nicola Gatti; a Chambéry, dove prestava la sua opera l’incisore Pietro Balligny (sigla PC); a Bourg (sigla B), sotto la guida di Peronetto Guillod, e a Torino (sigla CT), città che aveva da poco assunto le funzioni di capitale del regno, sancendo definitivamente la caratterizzazione italiana della casata.

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Di tutt’altro stile, anzi “senza stile” i ritratti di Filippo II di Savoia che appaiono sui suoi testoni e mezzi testoni: la fisionomia del duca è approssimativa e quasi caricaturale

Il testone sabaudo era basato sul marco, l’unità ponderale d’origine tedesca, e più precisamente sul peso del marco di Troyes o di Parigi (grammi 224,753); in base aal taglio, il peso era fissato a 9,60 grammi. Il diametro medio dei testoni è di 27 millimetri.

Se al dritto troviamo il ritratto di Filippo II di Savoia con berretto, al rovescio troviamo lo stemma sormontato dal nodo d’amore entro cornice quadrilobata. La letteratura sui Savoia è ricca d’indagini e interpretazioni di questi particolari araldici che hanno caratterizzato un po’ tutta la “comunicazione” dei Savoia diventandone simboli inequivocabili. Lo stemma del testone è quello adottato da Amedeo V “il Grande” (1285-1323), costituito da croce bianca su campo rosso (lo scudo moderno porta una croce d’argento su campo rosso).

Medaglia dedicata al duca Filippo II (serie Storia metallica della Real Casa di Savoia, bronzo, mm 52) realizzata nel 1828: al rovescio l’ingresso trionfale del duca a Torino per l’accesso al trono

I lacci d’amore, o nodi d’amore, fanno riferimento alla totale dedizione che i cavalieri devono alla Vergine Maria, di cui sono umili e devoti servitori, come si evince dalla presenza di questi simboli anche sulla collana Supremo Ordine della SS. Annunziata, massima onorificenza sabauda, istituita con questo titolo nel 1518, ma già ambita a partire dal 1362 quando Amedeo VI, il “Conte Verde”, fondò l’ordine per premiare e riconoscere la devozione dei cavalieri che dovevano sopportare ogni avversità e patimento nel nome della Vergine Maria (e, ovviamente, a favore dei Savoia).

La leggenda vuole che i lacci d’amore vogliano richiamare un abito indossato nel 1390 da Amedeo VII ad un ballo di corte dei Savoia in vesti moresche, dove il suo corsetto era tutto ricamato a fiori e nodi in filo d’oro. Ma, per l’appunto, di leggenda si tratta e non vi sono documenti certi al riguardo.

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Forte coniato in mistura durante il regno di Filippo II: al dritto il motto sabaudo FERT

La spiegazione del motto FERT è sempre stata la più complessa: si pensava ad un acrostico dove le iniziali delle singole parole ne costituissero un’altra, per cui richiami a frasi in lingua francese (Frappez, Entrez, Rompez Tout, cioè “Bussate, entrate, rompete tutto”), a molte in lingua latina (Fortitudo Eius Rhodum Tenuit, che ricorda la liberazione di Rodi dai Saraceni da parte del Conte Verde), o ancora a carattere religioso (Fortitudinis E Religionis Titulus, Foedere Et Religione Tenemur, cioè “Siamo uniti da un patto e dalla religione”, come recita anche la legenda sui 10 scudi d’oro di Vittorio Amedeo I del 1635).

Altri ancora pensano a “Fama, Eternità, Religione Trionfo”. Ma non sempre le lettere separate da punti sottintendono che si tratta di iniziali di parole in sequenza, l’epigrafia medievale comprende l’utilizzo di segni frapposti anche per scrivere una parola di senso compiuto, così è più accreditata la spiegazione che vede FERT come la coniugazione del verbo latino ferre alla terza persona singolare con il significato di “sopporta, soffre”, come è nello spirito dell’onorificenza della SS. Annunziata, e dove appunto si legge questo motto, alternato ai nodi d’amore.

Un cofanetto con medaglie e un prestigioso volume del Galeani Napione, ricco di tavole illustrate, per la Storia metallica della Real Casa di Savoia

Il rovescio dei testoni “senza stile” di Filippo II di Savoia “Senzaterra” è completato dalla legenda A DNO FACTVM EST ISTVD vale a dire “Ciò è fatto per volere di Dio”, un passo estratto dal Libro dei Santi, come era in uso alla corte francese già da tempo. Su questi testoni di Filippo II si può trovare anche la leggenda, sempre a carattere religioso, che recita XPS VINCIT XPS REGNAT XPS INPERA col trionfalistico significato di “Cristo vince, Cristo regna, Cristo comanda”.