Alla scoperta del blasone della famiglia che a lungo signoreggiò su Milano | Origine ed evoluzione dell’affascinante stemma Visconti
di Maurizio Carlo Alberto Gorra | La celebre e potente famiglia Visconti vanta una storia remota: le leggende la fanno discendere da Enea o da re Desiderio, le ipotesi li danno presenti dal VII secolo nel Varesotto, i fatti li pongono dal X secolo fra i maggiori feudatari dell’arcivescovo di Milano.
Ebbero grandi proprietà, castelli, diritti signorili, ampi benefici economici; rivestirono in forma ereditaria la carica di vicari del conte (latinamente “vicecomes“) tanto da ricavarne il cognome. La storia recente ne continua la fama grazie al regista Luchino, e li vede diramati nel nostro Paese ed oltreoceano.
Alle origini del blasone visconteo
Lo stemma Visconti è ugualmente antico: testimoniato da inizio XIV secolo, si caratterizza per le figure tipiche e particolari; ad Angera (Varese), Pandino (Cremona) e Milano già appare nella forma odierna. Ebbe ipotetiche versioni antiche, una corona aggiunta nel 1336 su concessione degli Asburgo, fu abbinato con l’aquila imperiale o i gigli di Francia o stemmi di altre famiglie (gli Sforza, ma non solo), e compare in una quarantina di odierni stemmi pubblici italiani. Dante, nell’ottava cantica del Purgatorio (r. 80), lo sintetizza nell’endecasillabo “la vipera che l’Melanese accampa”; la terminologia araldica lo blasona D’argento, al biscione d’azzurro, ondeggiante in palo ed ingollante l’uscente di carnagione.
I lemmi biscione e uscente sono peculiarità italiane: il primo definisce il serpeggiante mostro che acciambella la più ampia delle sue spire; il secondo riassume nella posa l’ospite delle sue fauci. Secondo logica, questo lemma è un assurdo: perché dirlo uscente quando sembra che il mostro lo stia ingoiando (il biscione è definito ingollante, oggi diremmo ingoiante)? Come se i brutti dovessero essere per forza cattivi…
Quell’omino tra le fauci del biscione
Ma chi è l’omino? E cosa può aver indotto i Visconti a usare due figure araldiche concatenate da un’assurdità? Secondo una leggenda, avrebbero ereditato dai Longobardi l’amuleto di un serpe azzurro. Altri si collegano al serpente bronzeo conservato a Milano, in Sant’Ambrogio, manufatto bizantino del X secolo ritenuto quello che Mosé eresse nel deserto: ne sarebbe derivata l’insegna della militia Sanctii Ambrosii usata dal vicecomes. Però nessuno ha mai visto un omino in bocca a serpi longobarde o bizantine, e neppure ha mai spiegato come ci sarebbe finito.
Ulteriori leggende nostrane parlano di Desiderio, vice-conte di Angera che, addormentatosi su un prato, avrebbe ricevuto la visita di una serpe che gli si mise pacifica in testa come una corona; la cosa, presa di buon auspicio (difatti divenne re), sarebbe stata trasformata in stemma dallo stesso Desiderio. Ancora: all’assedio di Milano, nel 1037, Eriprando vice-conte dell’arcivescovo e gigante di statura, avrebbe sfidato un assediante di pari stazza, vincendolo e prendendosi la vipera che questi avrebbe avuto nello scudo. Poi: Uberto Visconti avrebbe ammazzato una bestiaccia che nei dintorni di Milano uccideva la gente con l’alito, e la prese come insegna.
Si dice anche che Azzone Visconti, nel 1325, riposandosi da una battaglia sotto una quercia, non vide che nell’elmo posato gli era entrata una vipera. Calzato il copricapo, l’animale se ne andò tranquillamente, e Azzone commemorò lo scampato pericolo nella serpe che reca un giovinetto senza offenderlo.
In altri casi, invece, la leggenda nasce già completa della serpe e del suo ospite; lasciando perdere certi miti metropolitani odierni, Galvano Fiamma sosteneva che nel 1096 in Terrasanta (durante una spedizione storicamente ignota) Ottone Vicecomes avrebbe strappato l’insegna della vipera ad un infedele, il gigante Voluce che si diceva discendesse da Alessandro Magno, a sua volta ritenuto figlio di Giove e di una donna sedata da un serpe e, secondo l’antico uso, si sarebbe adornato delle spoglie del nemico vinto: ciò è all’origine di quel che Bonvesin de la Riva afferma in merito al Comune di Milano, il quale conferiva un vessillo (da anteporsi ad ogni altro) caricato della vipera azzurra che inghiotte il saraceno rosso.
L’ipotesi del duello con Voluce ebbe fama anche in araldica, ma a respinta, perché non regge al riscontro storico o al ragionamento logico, né spiega in modo compiuto lo stemma Visconti. La più carente è proprio quella che pretende che biscione ed uscente siano stati presi a Voluce, quando tale consuetudine d’epoca classica era cancellata dal senso medievale della sconfitta; e soprattutto dimentica che il vinto saraceno verosimilmente identificava nell’omino un cristiano o il Cristo stesso. Difficile che un un Visconti abbia aderito agli ideali della Crociata per poi, tornato dalla Terrasanta, usare come stemma un segno nato da una blasfemia.
L’arma viscontea e l’arte medievale
É preferibile ricercare l’origine dell’arma viscontea nella realtà dell’arte medievale in cui nacque, nel filone del mostro ingoiatore fonte di terrore e tremore ma strumento che dà nuova vita al fedele: tali sono i leoni scolpiti a coppie all’ingresso delle chiese, uno che ingoia un uomo, l’altro che lo difende dopo averlo rigettato.
Nella medesima categoria potrebbe ricadere il biscione dei Visconti, coetaneo dei leoni guardiani, e tenendo conto che un altro stemma medievale lombardo, quello dei Trivulzio, deriva certamente da un antico simbolo religioso cristiano: lecito quindi pensare che biscione e uscente non nascono da chissà cosa, ma da un simbolo religioso a suo tempo noto e diffuso. E qui ci soccorrono le evidenze visive di cui il Medioevo fu maestro: l’epoca di Dante coincide col periodo monumentale di un simbolo religioso, quello del profeta biblico Giona, nato in epoca proto cristiana, oggi quasi dimenticato, ma capace di influenzare la letteratura odierna: Pinocchio ne è un lontano nipote, e Collodi la spedisce nel ventre della balena.
Non abbiamo prove della volontaria scelta araldica di questa figura da parte dei Visconti, ma le coincidenze sono tante: i Visconti s’impongono fra XII e XIII secolo, quando Giona viene effigiato con evidenza. E s’impongono su Milano, che ha per stemma la Croce, senza essere milanesi: per volersi far credere anteriori alla città, e quindi ribadire una precedenza, cosa meglio d’un simbolo anteriore alla Croce? Giona viene prima del Cristo, prima d’uscire dal pistrice passano tre giorni (gli stessi della Resurrezione), e nei primi secoli fu preferito alla Croce la quale era ancora usata come strumento infamante di morte.
Giona e la balena, il Cristo e la Croce
Sia Giona che e la Croce sono simboli di resurrezione; e Giona emerge dal pistrice a braccia aperte come il Cristo, e come l’uscente. Le pitture delle catacombe romane lo mostrano uscire dal pistrice serpentiforme, acciambellato su di sé e con lunghe orecchie: proprio come, un millennio dopo, l’araldica fisserà l’aspetto dell’uscente e del biscione.
Il profeta e il mostro compaiono anche in sculture e mosaici, e per tutto l’Alto Medioevo; ne troviamo in tutt’Europa, e il gran numero ancora visibile in Italia basta a renderci conto di quanto fosse facile per i contemporanei averli davanti agli occhi. Ed è verosimile che un Giona uscente dal pistrice fosse ornamento visibile e vistoso anche nella chiesa milanese di San Giovanni in Conca, forse del V secolo, rifatta nell’XI, ampliata nel XIII, e scelta dai Visconti come mausoleo di famiglia: la statua equestre di Bernabò Visconti (tuttora al Castello Sforzesco) viene da lì.
Oggi, purtroppo, ne restano solo l’abside e la cripta, perché nel 1879 ci fecero passare sopra l’attuale via Mazzini; se si potesse avere la prova che l’antica chiesa aveva una pittura, una scultura o un mosaico dedicato a lui, rimarrebbe ancora da dimostrare che la famiglia l’abbia preso come fonte araldica, ma l’ipotesi si rafforzerebbe.
Non rimane che menzionare una certezza: la buonistica fine che il biscione visconteo fa, ogni giorno e davanti a tutti, da quando è in televisione perdendo ogni cruenza, e diventando il quasi pirandelliano serpe dal fiore in bocca del logo Mediaset. Un altro uso recente è stato più corretto nel preservarne l’abbinamento con l’uscente, nel biscione che è la prima metà del marchio Alfa Romeo.
Il nostro esperto di araldica
Maurizio Carlo Alberto Gorra, studioso di livello internazionale, è perito in araldica (Collegio Periti Italiani n. 1034) e membre associé de l’Académie Internationale d’Héraldique (AIH). Per maggiori informazioni blasone.italiano@gmail.com.
Per saperne di più
Aa.vv., L’araldica, fonti e metodi, Firenze 1989, contributo di F. Cardini, Araldica e crociata
G. C. Bascapè / M. del Piazzo (con la cooperazione di L. Borgia), Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma-Firenze, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali 1983
G. C. de Beatiano, L’araldo veneto, Venezia 1680 (ristampa Bologna 1970)
E. Galli, Sulle origini araldiche della biscia viscontea, in Archivio storico lombardo, III, 1919
M. C. A. Gorra, Signorie delle zecche minori: i Trivulzio, in Cronaca numismatica, aprile 1994
M. C. A. Gorra, Il biscione e l’uscente: la storia di un mito, in Cronaca numismatica, aprile 2005
P. Litta, Famiglie celebri italiane, Visconti di Milano, Milano 1825, tavola I
P. Pacca, Le grandi famiglie d’Europa. I Visconti, Milano 1972
V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1932, volume VI
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