Dal museo che che esponeva parte dei solidi scoperti nel 2004 rubate 66 monete d’oro per 400 mila euro
di Roberto Ganganelli | Ricordo ancora l’emozione, quell’assolato 28 luglio del 2012, quando mi recai nel Grossetano, nel piccolo paese medievale di Sovana per assistere all’inaugurazione del piccolo, affascinante museo dedicato a quelle monete, 83 dei 498 preziosi solidi – per la maggior parte in eccellente conservazione – ritrovati nel 2004, casualmente, in un vaso sotto il pavimento della ex chiesa di San Mamiliano (il resto del tesoro era rimanto presso il Museo archeologico di Firenze).
Il tesoro di Sovana – ribattezzato scherzosamente “il tesoro del conte di Montecristo” anche se nulla lo legava, se non fantasiose interpretazioni letterarie, al romanzo di Dumas, tornava – anche se solo in parte – finalmente a casa.
La cronaca: il furto forse nella notte fra il 3 e il 4 novembre
Oggi, grran parte di quelle rare monete ritrovate e restituite alle loro origini storico geografiche non ci sono più.
E ciò che rattrista è che sono state rubate 66 monete d’oro non si sa nè da chi (ovvio, al momento) e nemmeno esattamente quando (il museo d’inverno è aperto solo sabato e domenica, e i server della videosorveglianza sono stati trafugati).
Così, ancora una volta, il nostro patrimonio numismatico pubblico ha subito uno sfregio, una mutilazione che sarà forse impossibile risanare.
Sì, perché quei magnifici solidi saranno già stati collocati sul mercato clandestino, dispersi per mille rivoli, oppure si troveranno presso qualche personaggio senza scrupoli che ha incaricato i “soliti ignoti” di agire su commissione.
In merito alla ricostruzione del crimine, i carabinieri non avrebbero riscontrato segni di effrazione sui due soli possibili ingressi al museo, la porta centrale che si affaccia sulla piazza e quella laterale, piuttosto piccola.
L’edificio, peraltro, non ha finestre e quindi si è fatta strada un’ulteriore, rocambolesca possibilità, ossia che qualcuno della banda si nascosto all’interno domenica 3 novembre e, con l’appoggio di complici dall’esterno, abbia portato a termine il furto.
I ladri, il cui operato è stato scoperto solo sabato 9 novembre – nell’impossibilità di far saltare i vetri anti sfondamento – hanno forse utilizzato un grimaldello per forzare le cerniere delle teche ma, non essendo riusciti ad aprirle completamente, hanno dovuto rinunciare ad impossessarsi di dell’intero bottino: solo per questo sono state rubate 66 monete d’oro mentre le altre sono state lasciate 17 al loro posto.
Resta un mistero il perché il sistema di allarme del museo, collegato alla stazione dei carabinieri, non sia entrato in funzione, ma anche questo fa pensare a criminali ben preparati, in grado di elaborare un piano complesso ed aggirare anche le tecnologie più avanzate.
Inoltre, secondo una prima, sommaria stima commerciale per le 66 monete trafugate si parla di 400 mila euro su un valore complessivo di circa 4 milioni relativi a tutti e 398 i solidi del tesoro di Sovana.
A questo punto non resta che confidare nelle indagini del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale della Toscana e in un vecchio proverbio di Sovana che recita: “Prega san Mamiliano e ritroverai un tesoro”.
La storia di un patrimonio numismatico mutilato
Il rinvenimento di Sovana era composto – che amarezza, nell’usare il passato – da solidi con una prevalenza di monete coniate sotto Leone I (457-474 d.C.) seguite da quelle coniate sotto l’imperatore Antemio che regnò tra il 467 e il 472 d. C.
L’arco cronologico rappresentato era compreso tra l’inizio del V secolo (regno di Onorio) e gli ultimi decenni del secolo (regno di Zenone, secondo regno dopo l’usurpazione di Basilisco nel 476 fino al 491 d.C.).
Erano presenti i tipi consueti della monetazione aurea di V secolo d.C.: al D/ il busto dell’imperatore diademato e paludato di profilo a destra o a sinistra, oppure frontale con corazza, lancia e scudo. Al R/ i tipi sono quelli imperiali (uno o due imperatori stanti o in trono), quello della Vittoria alata e quello della personificazione di Costantinopoli in trono.
Da segnalare la presenza di materiali inediti al tempo della scoperta, come un esemplare attribuibile ad Ariadne, e materiali barbarizzati. Per quanto riguarda le zecche di emissione (ben 34) vi era prevalenza di monete di Costantinopoli, che era l’unica officina orientale rappresentata ad eccezione di Tessalonica, documentata da pochi esemplari.
Tra le zecche italiane spiccavano Roma e Ravenna seguite da Milano, mentre non compare Aquileia, che sotto Teodosio II e Valentiniano III non fu molto attiva, mentre è presente con pochi esemplari una zecca gallica, quella di Arles, poco documentata nella seconda metà del secolo al tempo di Giulio Nepote e Romolo Augustolo.
Un tesoro di V secolo unico in Italia
Il ripostiglio di Sovana era dunque molto significativo dal punto di vista storico e numismatico, per la netta prevalenza di monete battute a Costantinopoli, rispetto a quanto più spesso documentato dai tesoretti di V secolo finora rinvenuti in Italia, che invece attestano una prevalenza di monete di zecche occidentali.
Esso era inoltre di particolare rilevanza per la quantità dei pezzi rinvenuti e il numero degli imperatori rappresentati, superando i due soli ripostigli italiani di una certa consistenza, quello della Casa delle Vestali a Roma (397 pezzi) – che risale tuttavia ad un momento precedente ed è costituito in prevalenza da emissioni di un’unica zecca e di un unico imperatore – e il tesoretto di Comiso (423 pezzi conservati, anche se in origine composto di circa 1.100 monete).
A questi si può aggiungere il ripostiglio di Napoli, solo sommariamente noto, che è forse quello che può essere considerato più simile al tesoretto di San Mamiliano perché occultato negli anni 476-480 d.C. e costituito di 255 solidi databili tra i regni di Arcadio e Basilisco, di Onorio e Romolo Augustolo.
Un insieme eccezionale – per consistenza, integrità e varietà – quello della Chiesa di san Mamiliano, specie perché relativo ad un periodo – il V secolo d.C. – che fu per l’intera Penisola italica e per la Maremma in particolare un momento difficile, caratterizzato da guerre, invasioni, carestie ed epidemie, in particolare dovute alla malaria.
Il solido di Ariadne da Sovana: una rarità di grande bellezza
Uno degli esemplari più prestigiosi rinvenuti ed esposti a Sovana – non sappiamo ancora se sia tra quelli rubato o no – era un rarissimo solido di Aelia Ariadne (452-515), figlia dell’imperatore Leone I e di Aelia Verina. Sposò Zenone e, nel 475, Ariadne fuggì in Oriente con il marito.
Dopo la morte di Zenone, Ariadne fece pressioni sul Senato, l’aristocrazia e l’esercito, affinché la scelta del successore cadesse su Anastasio (491-518) che sposò una volta salito al trono.
Un ritratto di questa imperatrice, raro esempio di scultura ufficiale della prima età bizantina, è conservato ai Musei vaticani; un altro suo celebre ritratto, su tavoletta di avorio, si trova invece a Vienna, presso il Kunsthistorisches Museum.
Il solido a nome di Ariadne, in ottime condizioni, ritrovato nel tesoretto toscano reca al D/ il ritratto a destra, diademato e ammantato, con legenda inedita AELhARIA | DNAEAVG; al R/ la Vittoria stante a sinistra con asta crucigera nella destra e legenda VICTORI | AAVGGG, stella nel campo a destra e zecca CONOB, sigla della zecca di Costantinopoli