Dai documenti dell’Archivio di Stato le tracce di un progetto della Repubblica (naufragato) per battere monete in oro e argento per due milioni di lire
di Roberto Ganganelli | Come i numismatici ben sanno, la prima emissione di monete in oro da parte della Repubblica di San Marinorisale al 1925 quando dalle presse della Regia Zecca escono 20.000 monete da 10 lire (di cui 16.000 poi rifuse) e 9334 pezzi da 20 lire su modelli dell’artista fanese Melchiorre Fucci e coni incisi da Attilio Silvio Motti.
Dopo la Convenzione di amicizia e buon vicinato col Regno d’Italia stipulata nel 1862, che all’articolo 24 recita “Le monete che la Repubblica di S. Marino credesse col tempo potranno aver corso nel Regno d’Italia , purché siano ragguagliate al sistema decimale, ed abbiano lo stesso titolo e peso di quelle Regie”, il Titano inaugura la propria monetazione con i 5 centesimi emessi nel 1864 e, in seguito, la prosegue sempre con monete in rame da 5 centesimi (nel 1869 e 1894) e da 10 centesimi (con date 1875, 1893 e 1894).
“Spiccioli”, per intenderci, sia per quanto riguarda il valore nominale che per i quantitativi emessi, di fatto ininfluenti nella massa monetaria complessiva circolante nella Penisola e dal valore più simbolico che funzionale per la stessa San Marino. Le monete d’argento arriveranno solo nel 1898 con valori da 50 centesimi, una, due e cinque lire (il magnifico “scudo” con la statua del Tadolini, leggi qui), quando la piccola Repubblica siede già da quasi un decennio tra i membri dell’Unione monetaria latina.
Le finanze pubbliche di San Marino a fine XIX secolo
In quei turbolenti anni di fine XIX secolo, con a capo del Governo italiano il coriaceo Francesco Crispi (1818-1901), San Marino vive una situazione economica complessa: il Palazzo Pubblico, inaugurato nel 1894, è costato l’astronomica cifra di 350.000 lire e, nonostante la regolare corresponsione del canone doganale annuo da parte dell’Italia, le finanze statali si trovano a dover fronteggiare un fabbisogno in continuo aumento.
Scrive Verter Casali in San Marino e l’unità d’italia: nuove istanze nuove finanze: “[…] le entrate registrate tra il 1862 e il 1872 furono di 994.000 lire, ovvero circa 99.000 all’anno; quelle tra il 1873 e il 1883 furono di 1.878.927; in seguito i bilanci continuarono a lievitare superando a fine secolo ormai le 300.000 lire annue” (cfr. Identità sammarinese, Dante Alighieri Repubblica di San Marino, San Marino 2012, p. 89).
Di quali strumenti può avvalersi la Repubblica di San Marino per tentare di tenere in equilibrio le proprie finanze? Come sempre, sono i documenti d’epoca conservati nell’Archivio di Stato di San Marino a illuminarci permettendoci di scoprire un’intrigante e inedita pagina di storia.
Un inedito progetto di coniazioni in oro e argento (1895)
Nella seduta della Congregazione economica del 12 giugno 1895 emerge, su indicazione del Congresso finanziario, la proposta – proveniente dal senatore Gaspare Finali (1829-1914), presidente della Corte dei Conti del Regno d’Italia – di far coniare un cospicuo quantitativo monete d’oro, dal momento che le convenzioni stipulate col Regno d’Italia nel 1862 e poi nel 1872 non sembrano porre espliciti vincoli al riguardo.
Si legge nel documento del 12 giugno 1895: “Considerando infine che i proventi doganali danno un 6:66 [lire] per individuo e che nulla si può pretendere più delle £ 60.000 che percepisce la Repubblica dal Regno d’Italia viene proposta la coniazione di un milione di moneta d’argento e di un milione di moneta d’oro incamerando un utile dalle monete d’argento al titolo di 900 e dal titolo di 835 per gli spezzati del 50 per cento”.
Prosegue il documento: “Questa coniazione, utile e necessaria, e per la quale non credo ci possa essere opposizione per parte del Regno d’Italia sia per la ragione della causa del diritto sovrano che ha la Repubblica di coniare moneta sia pel Trattato stipulato col Regno che per un aiuto alla circolazione italiana della moneta sammarinese possa facilmente fare ripristinare il fondo di riserva e aumentare l’annua rendita di bilancio.
Il Congresso approva pienamente la proposta congiuntamente incarica l’Ecc.ma Reggenza di ringraziare il Senatore Finali per i suoi amorevoli consigli e innanzi tempo di pregarlo fare i passi opportuni ufficiosi presso il Governo Italiano per sentire se alcun ostacolo potesse esservi da tale cognizione”.
Dalla proposta al decreto: il Titano ufficializza le emissioni
Nella seduta del Consiglio grande e generale, verbale del 3 agosto 1895, il Governo torna sulla questione, compiendo un ulteriore e importante passo normativo: “Per la coniazione della moneta d’Oro e d’argento – Passa in seguito l’Ecc.ma Reggenza a partecipare come la Commissione finanziaria ed il Congresso Economico di Stato riuniti abbiano aperto pratiche col senatore Finali pel riordinamento della nostra finanza ora in sbilancio; e dopo data lettura di tutta la corrispondenza espone il progetto per la coniazione della moneta di oro e d’argento per la quantità di un milione di ognuno delle due spece portando a cognizione che quanto alla seconda si avrebbe un guadagno del 50% e propone un decreto concepito nei seguenti termini:
Il Generale Consiglio Principe e Sovrano sulla proposta dell’Ecc.ma Reggenza ha decretato e decreta
Art. 1° Saranno coniate Monete d’oro per l’ammontare di un milione di lire, e monete d’argento per ugual somma a sistema decimale e dello stesso titolo e peso della moneta del Regno d’Italia.
Art. 2° Nel dritto di ciascuna moneta sarà impresso lo stemma della Repubblica colla leggenda “Repubblica di S. Marino” e nel rovescio il suo valore rispettivo.
Art. 3° Alla coniazione delle monete d’oro sarà premessa quella della moneta d’argento tanto del titolo di 900 di fino, quanto del titolo di 835, con riserva di stabilire in seguito la quantità di ciascuna specie.
Art. 4° L’Ecc.ma Reggenza coadiuvata dal Congresso Economico di Stato e dalla Commissione Fina[n]ziaria è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Il Consiglio Sovrano ha approvato in ogni sua parte il sovraproposto decreto”.
Un atto ufficiale, dunque, che intende mettere nero su bianco – almeno da parte sammarinese – la decisione di emettere in quantità nuove monete sia in argento che in oro; un decreto, che tuttavia non giunge affatto gradito in quel di Roma tanto che avrà conseguenze anche sulla successiva convenzione fra i due stati, quella siglata da Pasquale Villari per l’Italia e da Paolo Ottorino Vignali per San Marino il 28 giugno 1897. Ma andiamo con ordine.
Una trattativa diplomatica, tutta in salita, col Regno d’Italia
Alla data del 25 agosto 1895 si può leggere, nei verbali del Consiglio grande e generale, una nuova pagina della vicenda: “Per la coniazione della moneta d’oro e d’argento – Communica oltre che secondo la precedente risoluzione Consigliare diresse al Ministro Italiano degli Esteri per ottenere il permesso di coniare moneta d’oro e d’argento alla Zecca di Roma non senza partecipargli il decreto che stabiliva fino alla concorenza di un milione la coniazione della moneta di ciascuna delle suddette due qualità, e venuta che sia la risposta definitiva interpella se il Consiglio autorizza la Reggenza a poter trattare col Direttore della Zecca per sapere se potrà somministrare la materia per la suddetta coniazione o diversamente se può procurarla coi mezzi di cui può disporre. Il Consiglio Sovrano approva pienamente la proposta”.
Il successivo documento riguarda l’assemblea di Consiglio del 24 ottobre 1895 e ci rivela che nei due mesi precedenti, sull’ipotesi di coniazione di monete in oro e argento, fra il Regno d’Italia e San Marino qualcosa si è incrinato: “Denuncia della Convenzione d’amicizia e buon vicinato per parte del Ministero Italiano – L’Ecc.ma Reggenza partecipa che dopo il carteggio col Ministero del Regno d’Italia per la coniazione della moneta d’oro e d’argento lo stesso Ministero con analogo dispaccio ha denunciato la Convenzione di amicizia e di buon vicinato tra questa Repubblica e S. M. il Re d’Italia che fu stipulato nel marzo del 1872 dichiarando però di essere disposto a devenire ad una nuova convenzione. Quindi diede communicazione relativa alla cognazione della moneta ed alla disdetta del trattato e propone la nomina del plenipotenziario.
Girati gli arringhi il Consiglio Sovrano dichiara di accettare siccome accetta la data denuncia della Convenzione e per la stipulazione della nuova nomina in suo plenipotenziario il Senatore Paolo Onorato Vigliani”.
Crispi scende in campo e “denuncia” la Convenzion
Il Governo italiano, dunque, decide bruscamente di “denunciare la Convenzione” del 1872, ossia di dichiarare l’avvio di un ritiro unilaterale del Regno dall’accordo, non sancendone l’immediato decadimento, ma costringendo di fatto San Marino a bloccare tutte le iniziative “sensibili” sul piano bilaterale, tra le quali la richiesta di coniazione delle monete, in attesa della ratifica di un nuovo trattato.
A quanto pare, è Crispi in persona a forzare la “denuncia” e per la stipula di un nuovo accordo col Titano occorreranno quasi due anni, fino al 28 giugno 1897. Tutto il tempo necessario, insomma, per far sì che il progetto di monetazione in metalli preziosi venga accantonato dalla Repubblica, che il potente statista – su questa richiesta in particolare, e nel suo rapporto con l’Italia più in generale – vorrebbe ridurre a “più miti consigli”.
Il caso approda sulla stampa italiana e internazionale
È forte, tuttavia, l’eco della decisione italiana nei confronti di San Marino e in merito a questo aspetto appaiono interessanti le parole di Giovanni Spadolini nel saggio San Marino. L’idea della Repubblica (Quaderni della Nuova antologia, XXXVIII, Le Monnier, Firenze 1989): “Immediatamente San Marino diventa la bandiera della democrazia radicale e cavallottiana. «Il Secolo», il giornale di Carlo Romussi, il giornale della democrazia lombarda che sarà coinvolto nelle repressioni del ’98, scrive testualmente, il 28 ottobre 1895: ‘Quel piccolo Stato ha anche agli occhi suoi [di Crispi] il grave torlo di far consistere la vera grandezza nelle virtù pubbliche e private, in un governo senza fasto, senza grossi appannaggi, senza clientele pagate coi denari dei contribuenti, governo che non ha altro scopo che il bene della comunità e il rispetto dei diritti e della dignità di ogni cittadino […] Crispi vorrebbe ma non osa distruggere la gloriosa repubblichetta, perché tutto il mondo civile si solleverebbe contro di lui […] vuole almeno impedire che le monete d’oro coll’impronta del Titano e il conio della repubblica di San Marino circolino in Italia’.
E di rimbalzo «La Liberté», a Parigi, che riflette tutti gli ambienti anticrispini paralleli alla francofobia dello statista misogallo, insinua che ‘il sig. Crispi non potendo annettere Trieste vuole annettere San Marino’. Che è battuta spietata ripensando a quello che è stato pochi anni prima il sacrificio di Oberdan, proveniente dalle stesse fila della democrazia mazziniana e garibaldina, le fila di Crispi.
Adua rimise tutto a posto. A liquidare la politica crispina fu appunto chiamato Pasquale Villari, vicepresidente del Senato, maestro dell’Ateneo fiorentino, noto per la sua sagacia, equilibrio e ponderatezza (il precedente negoziatore, tutto intriso di fedeltà crispina, Luigi Guglielmo Cambray Digny si era fatto da parte). E la convenzione sarà firmata a Firenze in omaggio a Villari, lo storico di Savonarola e di Machiavelli, il 28 giugno 1897” (pp. 17-18).
La Convenzione del 1897 e, finalmente, le prime monete d’argento
La Convenzione di amicizia e buon vicinato tra l’Italia e la Repubblica di San Marino pubblicata nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 24 agosto 1897 porterà effettivamente, l’anno seguente, al debutto di San Marino nella monetazione in argento con le tipologie cui accennavamo all’inizio di queste righe.
Alla Regia Zecca di Roma vengono prodotte 40.000 monete da 50 centesimi, 20.000 da una lira, 10.000 da due lire e 18.000 da cinque lire, tutte su coni incisi da Filippo Speranza. Appena 150.000 lire il valore nominale complessivo, dunque ben lontano da quei due milioni di lire ipotizzati tre anni prima. E niente monete d’oro, nemmeno parlarne, con buona pace dell’idea sostenuta dal senatore e ministro Finali.
Le autorità di San Marino si accontentano del signoraggio su queste 88.000 monete – dai documenti emerge la cifra complessiva di 75.469 lire; meglio di niente, si saranno detti a Palazzo Pubblico -, l’Italia umbertina mantiene ancor saldo quell’ambiguo concetto di “amicizia protettrice” tanto mal digerito dai Sammarinesi e l’idea di dare alla Repubblica una moneta d’oro ritorna nel cassetto, dove rimarrà fino agli anni Venti secolo seguente.
Un divertissement: quale valore e aspetto per quelle monete mai nate?
A conclusione di questa ricerca, anche la storia e la numismatica non si fanno certo con i “se”, lasciamo correre per un istante la fantasia ipotizzando, o meglio immaginando, quali tipi di monete auree – e con quale aspetto – San Marino avrebbe coniato se il progetto del 1895 fosse andato in porto, approvato dal Regno d’Italia.
Innanzi tutto, sappiamo bene che in Italia, a fine XIX secolo, la coniazione di monete da 10 lire oro è già stata abbandonata da decenni e che anche la battitura dei nominali più elevati, da 50 e 100 lire, appare sporadica nelle date di emissione e limitatissima nei contingenti (quasi un’emissione di ostentazione, tanto per completare la serie monetaria).
Resta solo il taglio da 20 lire, il celebre “marengo” di 21 millimetri di diametro, al peso di 6,451 grammi di oro al fino di 900 millesimi; moneta maneggevole, apprezzata in tutta l’Unione monetaria latina e nei canali commerciali globali, sarebbe stata questa – con ogni probabilità – la prima moneta d’oro sammarinese.
Battuta in 50.000 esemplari, tanti quanti ne permetteva il milione di lire di plafond complessivo, avrebbe avuto un aspetto che si può desumere per sommi capi dal decreto approvato il 3 agosto 1985 dal Consiglio grande e generale: “Art. 2° Nel dritto di ciascuna moneta sarà impresso lo stemma della Repubblica colla leggenda ‘Repubblica di S. Marino’ e nel rovescio il suo valore rispettivo”.
Alla Regia Zecca di Roma avrebbe inciso i coni, in vista di un’emissione con data 1896, l’ormai anziano ma sempre affidabile Filippo Speranza, quasi certamente nello stesso stile delle monete d’argento sammarinesi del 1898, rendendo ben visibile il valore 20 LIRE nel campo del rovescio e declinando al dritto il nome del paese emittente in latino, nella forma RESPVBLICA S. MARINI. Così ci piace immaginare quel marengo sammarinese che mai vide la luce; così sarebbe apparso, probabilmente, se Crispi non ci avesse messo lo zampino!
Ringraziamenti
L’autore ringrazia la dott.ssa Francesca Giorgetti, dell’Archivio di Stato di San Marino, per l’aiuto fornito nelle ricerche documentarie, e la dott.ssa Elisabetta Bucci, della Segreteria di Stato Affari Esteri, per i chiarimenti in merito alla terminologia diplomatica.