Per i suoi simboli e le sue iscrizioni, quello coniato a Roma nel 62 a.C. è stato a lungo considerato un denario portafortuna: ecco la sua storia
di Antonio Castellani | Le monete, si sa, hanno da sempre non solo un uso primario di denaro, ma anche utilizzi “accessori” come oggetti decorativi, segni di riconoscimento, manufatti devozionali e e perfino portafortuna.
E’ quanto è accaduto ad un denario romano della gens Scribonia che è stato considerato per molto tempo come una delle coniazioni in grado di propiziare la buona sorte e, come tale, montato a ciondolo e indossato da uomini e donne.
Meno male che si tratta di una moneta abbastanza comune e quindi facilmente reperibile senza essere stata compromessa nella sua integrità da aggrappi o da un anello portativo. Ma a cosa deve la nostra moneta questa sua fama?
Furono circa ottanta le famiglie romane che, nella storia, espressero tra i loro membri dei magistrati monetari i quali apposero – durante la Repubblica – i propri nomi sulle monete.
Tra queste famiglie c’è la gens Scribonia che annovera ben due magistrati monetari: il primo fu C. Scribonius Curio (204 a.C.) e il secondo L. Scribonius Libo (62 a.C.).
La moneta in questione venne battuta a nome di quest’ultimo, collega di Paolo Emilio Lepido e suocero di Pompeo. Il console Libone Scribonio fu uno dei più allegri e fortunati uomini dell’epoca Repubblicana romana.
Quando ebbe l’onore di coniar moneta, sia perché riteneva la propria famiglia oriunda di Benevento, sia perché da buon pagano era devotissimo al Genio della Fortuna che si chiamava Bonus Eventus e che aveva un tempio a Roma presso il Pantheon, fece incidere sul suo denario d’argento la testa del Buon Evento con intorno il suo nome abbreviato BON EVENT. Nome che – per singolare combinazione – coincide esattamente con una beneaugurante frase in lingua francese.
Dietro la testa del Genio prediletto, che lo aveva sempre assistito, il magistrato pose poi la parola LIBO che era nient’altro che il suo nome ma che significava anche – e lui lo sapeva benissimo – “Io bevo!”.
Più fortunata di così: testa della Fortuna, nome della Fortuna e un nome che per fortunata combinazione suona come un brindisi di augurio. C’è da giurarci che Libone Scribonio festeggiò la coniazione della sua moneta con una coppa colma di Falerno.
Al rovescio del “denario portafortuna” appare nel campo un pozzo, ornato di lire e ghirlande, con sotto delle tenaglie o un martello o una incudine. E’ il pozzo della famiglia Scribonia, che si trovava nel tempio dedicato alla Fortuna; sopra c’è la scritta PVTEAL e sotto SCRIBON (abbreviazione per SCRIBONIARVM). PUTEAL in latino indica appunto un pozzo eretto in un luogo sacro.
Il pozzo venne restaurato da Libone e da lui prese il nome di PVTEAL LIBONIS. Secondo alcuni autori, invece, il pozzo va identificato con quello che si trovava nel Foro, vicino all’Arco di Fabio, sotto il quale era nascosto il famoso rasoio dell’augure Attonavio, presso cui i feneratores (coloro che prestavano denaro a prestito) si ritrovavano per concludere i loro affari. Affari propziati, chissà, anche dal nostro… denario portafortuna!