Forse la percezione del “fisco rapace” insita in parte degli italiani è anche retaggio suo, dell’odiata tassa sul macinato che fu istituita il 7 luglio 1868 sotto il governo di Luigi Menabrea, presidente del Consiglio dei dell’epoca, e che entrò in vigore il 1° gennaio del 1869. Pochi anni dopo la sofferta unificazione, dunque, ma già abbastanza per capire che al dissesto nel bilancio del neonato Regno d’Italia andava messo un argine, “whatever it takes” (parafrasando Mario Draghi).
La legge sul macinato fu promulgata il 7 luglio 1868 ed entrò in vigore il 1° gennaio dell’anno seguente generando malumori in tutto il Regno
“L’Italia – si legge nel sito del MEF, sezione I tributi nella storia d’Italia – essenzialmente era basata su una economia di tipo agricolo e il gettito garantito da questo tipo d’imposizione fu rilevante, smentendo così alcune pessimistiche previsioni.
La tassa sul macinato era un’imposta indiretta, e il relativo importo veniva calcolato in base alla quantità di cereale macinato. All’interno di ogni mulino era applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. La tassa era così calcolata in proporzione al numero dei giri, che dovevano corrispondere alla quantità di cereale macinata.
Il capo del Governo Luigi Menabrea, in questa vignetta del 1868, si accinge a “far farina” dell’Italia da poco unificata con l’applicazione del nuovo tributo
Il tributo doveva essere pagato in contanti, ma l’avventore poteva saldare anche con parte del prodotto che portava a macinare. Il mugnaio aveva l’obbligo di pagare all’esattore nei modi e tempi stabiliti. Il contatore dei giri veniva installato a spese dello Stato. Alla fine del 1869 furono istallati centottantasei contatori su altrettanti mulini, nel 1870 trentamila e nel 1871 cinquantaduemila”.
Col passare del tempo, il prelievo fu progressivamente ridotto finché la tassa sul macinato fu abolita dal governo della sinistra guidato da Agostino Depretis a decorrere dal 1° gennaio 1884. Al momento della sua abrogazione la tassa sul macinato garantiva un gettito di ben 80 milioni di lire l’anno e, dunque, dalla fine di questo tributo il bilancio dello Stato subì un duro contraccolpo.
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La medaglia risalente al carnevale del 1869 che venne prodotta a Torino: su di essa Gianduia si fa beffe, per quanto possibile, della tassa sul macinato
Proprio all’anno di entrata in vigore della tassa risale un oggetto numismatico davvero curioso, una medaglia carnevalesca in metallo bianco (mm 44 di diametro, g 26,5 di peso) con anello portativo e nastro con i colori della bandiera; una medaglia satirica che torna all’incanto da InAsta e che è riferita alla città di Torino.
Al dritto Gianduia, maschera simbolo del capoluogo piemontese, è chino in ginocchio, il tricorno in mano e un gotto da vino ai suoi piedi, schiacciato da una enorme pietra da mulino su cui campeggia la parola MACINATO. Attorno la legenda in dialetto MALGRE’ D’ COUST PEIS DESMENTIO NEN LA DOUJA (“Malgrado questo peso non dimentico il boccale”), chiara allusione al fatto che – nonostante le preoccupazioni per il nuovo tributo imposto dalle autorità – nulla avrebbe potuto guastare l’atmosfera del carnevale con le sue abbondanti libagioni e bevute. In basso la firma G. GIANI dell’autore.
Video di un altro esemplare della curiosa medaglia satirica (courtesy Artemide Aste)
Al rovescio della medaglia satirica contro la tassa sul macinato troviamo invece due fronde di spighe e canne lacustri legate in basso da un fiocco e nel campo CARLEVÈ | D’ GAINDUJA | (linea ornata) | FIERA FANTASTICA | 1869. In quel Carnevale dedicato a Gianduia, dunque, nell’ambito di una “fiera fantastica” di cui quasi non resta memoria alcuni buontemponi trovarono tempo e denari per far incidere a Giuseppe Giani i coni per questa “onorificenza goliardica” arrivata fino a noi.
Per approfondire la figura simbolica di Gianduia ci piace suggerirvi un video curato da Giorgio Enrico Cavallo, “uomo di lettere, amante della cultura umanistica” e curatore del canale YouTube Ottocento. Della ditta Giani sappiamo invece che aprì i battenti nel 1864 e che si specializzò nell’incisione e nella coniazione di medaglie realizzando fra le altre una – non certo la più bella, piuttosto un souvenir popolare – per le nozze di Umberto e Margherita del 1868. E poco dopo, come abbiamo visto, la curiosa satirica contro la tassa sul macinato al centro di queste righe.
La ditta di Giuseppe Giani incisore aveva realizzato già, nel 1868, una delle tante medaglie per le nozze tra il principe Umberto, futuro re, e Margherita
Nello stesso anno a Firenze – in quel momento ancora capitale del Regno veniva realizzata un’altra coniazione carnevalesca, con protagonisti invece Stenterello e un curioso “marenghino”: se volete scoprirne la storia cliccate qui.