Non solo armi, gadget mortali e codici cifrati, ma anche monete nel kit delle spie di ieri e di oggi: scopriamo una pagina di storia poco nota
di Roberto Ganganelli | Pistole in miniatura, ricetrasmittenti e macchine fotografiche nascoste dentro oggetti d’uso comune, esplosivi e veleno mimetizzati sotto sembianze innocue, alloggiamenti ricavati nei tacchi delle calzature e doppifondi destinati a celare documenti o microfilm: la narrativa ed il cinema ci hanno fatto scoprire, nel tempo, una serie di “kit delle spie” – alcuni reali, altri di fantasia – destinati all’uso da parte di agenti sotto copertura, informatori, spie e sabotatori infiltrati dietro le linee nemiche o in paesi ostili.
Tutti questi dispositivi hanno in comune due caratteristiche: la prima, che riguarda il loro aspetto esteriore, è data dal fatto di dissimulare la reale natura dell’oggetto; la seconda, funzionale, è data invece dal fornire al loro proprietario il modo di svolgere al meglio la propria missione o affrontare situazioni impreviste e potenzialmente rischiose.
Monete nel kit delle spie: il “caso” di James Bond
Anche la moneta, una delle invenzioni umane più antiche, diffusa in modo capillare a livello globale, non poteva dunque sfuggire – prima o poi – al destino di venir “arruolata” per giocare una parte, tutt’altro che marginale in certi casi, nel mondo delle operazioni speciali e dell’intelligence.
All’inizio del film Dalla Russia con amore Sean Conney, alias James Bond, riceve per esempio da Q – il vulcanico inventore che lo rifornisce dei più sofisticati gadget – una valigetta con armi, munizioni, altri dispositivi speciali e due nastri, occultati nelle pareti e contenenti ciascuno 25 sovrane d’oro.
Verso la fine della pellicola, 007 rivela l’esistenza di quelle monete ad uno dei sicari della Spectre il quale, tentando di impadronirsene, rimane ucciso dall’esplosione della valigetta. Quando si dice la cupidigia…
Le sovrane “d’emergenza” di RAF e SOE nel Golfo
Come altri dettagli presenti nei film tratti dai romanzi di Ian Fleming, anche quello delle sovrane d’oro ha un riscontro reale nella storia delle operazioni di intelligence.
Già nel corso della II Guerra Mondiale, infatti, agli agenti britannici del SOE (Special Operations Executive) destinati a compiere sabotaggi dietro le linee tedesche venivano fornite monete in oro – non solo sterline, ma anche di altri tipi in uso nei paesi occupati – perché potessero impiegarle in caso di bisogno per approvvigionarsi di cibo o medicine, armi e abiti, trovare riparo e nascondiglio presso la popolazione civile, corrompere possibili collaborazionisti e pagare gli informatori.
Una consuetudine durata a lungo ed estesa, in molti paesi, anche agli equipaggi dei velivoli militari destinati a compiere azioni su territori ostili. Durante la Guerra del Golfo, nel 1991, le forze armate britanniche – in special modo i piloti della Royal Air Force e i soldati del SAS, lo Special Air Service – si videro consegnare un fornito kit di sopravvivenza nel quale erano contenute anche 20 sterline in oro.
Monete speciali, prodotte per questo scopo dalla Royal Mint, la zecca di sua maestà, usando conii con il ritratto di re Giorgio V e la data 1925 e riconoscibili da quelle originali per il bordo più spesso.
Non è mai stato reso noto quante di queste sterline siano state distribuite e quante effettivamente “spese” durante l’operazione Granby; con ogni probabilità, una parte è effettivamente servita a salvare la vita di qualche militare in difficoltà, finito nelle mani degli iracheni oppure ferito.
L’unico dato certo è che, alla fine del conflitto, sono state 16.289 le monete restituite al Ministry of Defense.
Uno sguardo nel Risorgimento italiano tra propaganda e cospirazioni
Oltre che per il loro ruolo primario di riserva di valore, tuttavia, le monete sono entrate in scenari bellici, insurrezionali o di intelligence anche con funzioni diverse, ad esempio come segni di riconoscimento o per propaganda politica. Negli anni del Risorgimento italiano, specie nel Regno Lombardo Veneto sotto dominio austriaco vennero realizzate monete contenitore con all’interno dagherrotipi dell’imperatore Francesco Giuseppe, del feldmaresciallo Radetzky e perfino di papa Pio IX.
Sul fronte opposto, si conoscono invece esemplari che celano al loro interno ritratti del Conte di Cavour, di Vittorio Emanuele II e perfino del carbonaro e letterato Giovanni Berchet.+
In occasione delle Cinque Giornate del 1848, il Governo Provvisorio di Lombardia fece coniare, fra le altre, monete da 5 lire in argento al motto di ITALIA LIBERA DIO LO VUOLE. Ebbene, alcuni di questi “scudi” vennero trasformati dai patrioti lombardi in contenitori per trasportare in modo discreto messaggi segreti e dispacci mentre, chiusa l’effimera parentesi di libertà, furono i sostenitori dell’Austria a riutilizzare le medesime monete collocandovi dentro ritratti in miniatura del feldmaresciallo Radetzky con slogan tipo DIO LO VUOLE MA RADETZKY NO.
Il caso del nichelino cavo, una storia da manuale
Dal Risorgimento alla Guerra Fredda, le cose non sono cambiate molto.
Le monete, infatti, hanno continuato ad essere usate come contenitori – maneggevoli e poco appariscenti – per messaggi cifrati, microfilm e, in tempi più recenti, per celare schede di memoria digitale in grado di contenere grandi quantità di informazioni. Non sempre con esiti fortunati, va detto, come testimonia quello che è noto come The Hollow Nickel Case ossia “Il caso del nichelino cavo”.
Il 22 giugno 1953, a New York, un garzone ricevette in pagamento per una copia di giornale, da un abitante di Brooklyn, una moneta da 5 centesimi tipo Jefferson, ma stranamente leggera.
Quando lo lasciò cadere a terra il “nichelino” si aprì rivelando al suo interno un microfilm con sequenze di numeri. Il ragazzo raccontò il fatto ad un’amica, figlia di un agente di polizia, e così si mise in movimento l’FBI.
Dalle indagini si scoprì che lo stratagemma della monetina cava era usato dalla spia sovietica Rudolph Ivanovich Abel, pseudonimo di Vilyam Genrikhovich Fisher, per scambiare informazioni con i suoi contatti, tra i quali l’agente “Mikhail” (Mikhail Nikolaevich Svirin) e l’agente “Victor” (Reino Häyhänen).
Fisher, catturato e processato, venne condannato nel 1957 a quarantacinque anni di reclusione.
Ne avrebbe scontati, tuttavia, soltanto cinque dal momento che il 10 febbraio 1962 la spia di Mosca divenne l’oggetto di scambio con cui gli USA riuscirono a farsi restituire il capitano Francis Gary Powers, pilota di un aereo spia U-2 della CIA abbattuto nel 1960 sopra l’Unione Sovietica.
Anche questa vicenda è nota per essere approdata al grande schermo nel 2015 in Bridge of Spies (Il ponte delle spie), pellicola in cui si può ammirare Fischer preparare la moneta porta-microfilm, come pure un’altra “citazione numismatica” legata al mondo dello spionaggio.
Un dollaro, estrema via di scampo nella Guerra fredda
Nell’equipaggiamento personale dei piloti di U-2, infatti, si trovava anche un dollaro d’argento tipo Peace, coniato negli Stati Uniti tra il 1921 e il 1928 e nel 1934-1935.
Una moneta con cui “comprare”, tuttavia, solo un’estrema e tragica via di fuga, in caso di cattura da parte del nemico: al suo interno, infatti, i tecnici della Central Intelligence Agency avevano sistemato un meccanismo a scatto dotato di un ago letale imbevuto di saxitoxina e in grado di dare la morte in pochi secondi.
I Poppy quarter canadesi: un caso di pseudo-spionaggio e disinformazione
Uno tra i più recenti casi che lega numismatica e intelligence riguarda, infine, le monete da 25 centesimi coniate dal Canada e caratterizzate al rovescio da un papavero colorato simbolo del ricordo dei caduti in guerra.
Per vari anni, dal 2007 in poi, in rete si sono susseguite teorie complottiste ed articoli sulla presunta presenza, all’interno di queste monete, di inserti realizzati con nanotecnologie in grado di “spiare” i possessori, specie i “frontalieri” che ogni giorno fanno la spola tra gli USA e il Canada.
Si trattava di una bufala, ma da allora i Poppy quarter canadesi sono stati a lungo guardati con sospetto.