“Sociale bellum vocetur licet, ut extenuemus invidiam; si verum tamen volumus, illud civile bellum fuit”: con questo commento Anneo Floro, storico latino vissuto nel II secolo d.C., apriva la narrazione, nella sua Epitomae de Tito Livio bellorum omnium annorum septingentorum libri duo, della guerra, scoppiata tra gli insorti italici e i Romani nel 91 a.C. e durato fino all’87, sottolineando come quella guerra avesse avuto più il carattere di una guerra civile e quanto fosse improprio l’aggettivo “sociale” ad essa riferita.
Con l’estendersi del suo dominio sulla Penisola italica, Roma aveva stipulato con le popolazioni italiche un foedus vantaggioso per i Romani, ma non per l’altra parte contraente, cui spettava sì l’onere di aiutare Roma in guerra, partecipando, quindi, all’espansione e al consolidamento dell’egemonia della città, ma cui non era riconosciuto, in virtù della fedeltà prestata, il diritto di cittadinanza.
Con il passare del tempo, i socii italici cominciarono a lamentare questa condizione di inferiorità, soprattutto a partire dalla riforma agraria di Tiberio Gracco, e a chiedere di partecipare alla vita politica e alla spartizione degli utili derivati dalle conquiste.
Le proteste degli alleati trovarono a Roma un benevolo portavoce, intorno al 129 a.C., nella persona di Scipione Emiliano, reduce dall’assedio di Numanzia, il quale ben conosceva l’importanza dell’aiuto italico nell’esercito della res publica.
La sua posizione provocò all’interno del partito graccano e anche in Senato violente discussioni che si protrassero fino alla sua morte, riconosciuta ufficialmente come provocata da cause naturali.
Nel 125 a.C. ci riprovò Fulvio Flacco, il quale propose di concedere agli Italici la cittadinanza romana e il diritto di appellarsi all’assemblea popolare contro eventuali abusi di autorità da parte dei magistrati romani.
Le proposte del console furono bloccate e questo provocò grande agitazione tra gli alleati della colonia latina di Fregellae, che fu rasa al suolo. Nel 122 a.C., Caio Gracco presentò la proposta di legge sulla concessione della cittadinanza romana ai Latini e del diritto latino agli alleati italici, ma il tribuno non aveva considerato quanto fosse geloso del privilegio della cittadinanza il cittadino romano e non aveva immaginato la reazione che sarebbe scaturita dalla sua proposta.
Un altro tentativo fu portato avanti da Livio Druso, eletto tribuno nel 92 a.C., ma l’ostilità che si sollevò nei suoi confronti aprì gli occhi agli Italici, i quali capirono che non avrebbero mai ottenuto da Roma il riconoscimento dei propri diritti.
Dopo l’assassinio del tribuno, scrive Appiano, gli Italici cominciarono a inviarsi tra di loro ambascerie segrete, e come segno di fedeltà alla comune causa, si scambiavano ostaggi, fino a quando, venuti a conoscenza delle trame ordite dai socii ai danni di Roma, il pretore Servilio e il legato Fonteio furono trucidati ad Ascoli.
Nei territori degli Italici iniziò la “caccia al Romano” e la rivolta, dapprima limitata alla città alleata di Ascoli, si estese a macchia d’olio, coinvolgendo Marsi, Peligni, Vestini, Marrucini, Picentini, Frentani, popoli di lingua latina, e Irpini, Nolani, Venusini, Iapigi, Lucani e Sanniti, popoli di lingua osca.
I ribelli stabilirono la loro capitale a Corfinium, cui fu cambiato il nome in Italia e dove essi organizzarono un governo confederato, la cui struttura fu mutuata da Roma. I Romani misero alla testa dei loro eserciti i migliori condottieri: C. Mario, L. Giulio Cesare, M. Valerio Messalla, Cornelio Silla e Pompeo Strabone, al quale fu affidato il comando della spedizione punitiva della strage di Ascoli.
L’attacco della cittadina fallì e a questo fatto si aggiunsero le numerose sconfitte dei legati e dei consoli romani che resero la situazione difficile. Solo l’abilità di Mario e le vittorie riportate da Sesto Giulio Cesare, che nel frattempo aveva sostituito Valerio Messalla, e da Servio Sulpicio Galba, ristabilirono un certo equilibrio nella guerra. Per questo Roma concesse il diritto di cittadinanza a quei socii che le erano rimasti fedeli.
Non solo; nell’89, mentre la capitale dei ribelli veniva trasferita, in seguito ad un’azione di Pompeo Strabone e Sulpicio Galba, da Corfinium a Bovianum e infine ad Aesernia, un’altra legge concedeva la cittadinanza romana a chiunque fosse iscritto nel registro di una delle comunità confederate e risiedesse in Italia, mentre i consoli combattevano con varia fortuna contro i ribelli, riuscendo a domare in gran parte l’insurrezione, che fu sedata, ma solo formalmente nell’87, dato che confluì nella guerra civile che scoppiò nell’83 a.C.
Gli insorti Italici non mutuarono dai Romani soltanto le strutture organizzative del loro stato, ma anche tipi monetali Romani di cui si servirono per le loro emissioni. Se batter moneta è espressione della sovranità di uno stato, i socii italici non mancarono di affermare la propria attraverso i denari d’argento, con leggende sia in lingua osca sia latina, che emisero durante il loro tentativo di rivalsa.
È difficile delineare una successione cronologica di tali emissioni, più facile riscontrare le somiglianze con i modelli romani e soprattutto individuare l’ambito nel quale furono realizzate, cioè della propaganda antiromana portata avanti dagli insorti.
Denario a nome di Q. Fufius Calenus e Mucius Scaevola Cordus raffigurante, al D/, i busti affiancati di Onore e Valore, e, al R/ le personificazioni dell’Italia e di Roma che si stringono la mano; emesso per celebrare la fine del bellum sociale (mm 19-20)
La prima serie, che generalmente viene citata, è quella che reca, al dritto anepigrafo, la testa di Italia elmata, mentre, al rovescio, appaiono i Dioscuri al galoppo e la leggenda VITELIV (Italia in lingua osca), con chiaro riferimento al tipo del primo denario romano.
La seconda serie, emessa a nome del console sannita C. Papio Mutilo, invece, presenta, al dritto, la testa di Italia elmata e, al rovescio, i Dioscuri su cavalli impennati in direzioni opposte e con le leggende che distinguono tre varianti: una reca MVTIL al dritto e C. PAAPI. C al rovescio; un’altra ITALIA al dritto e C.PAAPI.C al rovescio, con una evidente combinazione bilingue delle leggende; la terza la leggenda ITALIA sia al dritto (ma illeggibile) sia al rovescio.
Denario a nome di C. Publicius Malleolus con la testa laureata di Apollo al D/ e con la personificazione di Roma seduta su scudi e la Vittoria che la incorona (mm 19)
Questa serie italica ricorda il denario romano di C. Servilius M. f., battuto nel 136 a. C. Diversi potrebbero essere i motivi di tale scelta: forse con questo rovescio, gli Italici volevano ricordare C. Servilio Glaucia, che durante il sesto consolato di Mario era intervenuto attivamente a favore dell’uguaglianza tra Italici e Romani, oppure, secondo Campana, esso fu imitato perché battuto in tempi vicini all’insurrezione.
Denario a nome di C. Servilius M. f. con la testa elmata di Roma al D/ e Dioscuri su cavalli impennati in direzioni opposte al R/ (mm 18)
La terza serie è quella, famosa, del giuramento fra gli otto o sei guerrieri: gli esemplari di questa serie presentano la testa laureata di Italia con la leggenda ITALIA al dritto (tranne alcuni esemplari che sono anepigrafi) e sono caratterizzati dalla presenza, all’esergo del rovescio, di un numerale, di una lettera o della leggenda Q. SILO; l’esemplare che reca quest’ultima leggenda è l’unica emissione che riporta il nome del console marso Quinto Silone, il principale condottiero della congiura antiromana.
Questa serie raffigura il giuramento che nel 90 a. C. sancì l’alleanza italica contro i raptores Italicae libertatis lupos: al centro della scena un soldato seduto sulle ginocchia (o forse un sacerdote) che tiene un maialino e attorno a lui gli otto soldati, quattro per parte, con le spade puntate sull’animale nell’atto del giuramento che, secondo la canonica formula, prevedeva che il primo popolo che fosse venuto meno al foedus stipulato, sarebbe stato colpito da Giove così come essi tutti insieme si apprestavano a colpire il maiale.
Denario a nome di Ti. Veturius con Marte al D/ e scena di giuramento con guerrieri al R/ (mm 18)
Il giuramento tra quattro soldati con la leggenda C. PAAPI. C costituisce una serie separata rispetto alla precedente perché presenta, al dritto, il busto di Marte elmato e la leggenda VITELIV. La tipologia utilizzata è stata ispirata dal denario romano emesso da Ti. Veturius nel 137 a.C., con differenze nella raffigurazione di due soldati anziché quattro e nella leggenda, e dal cosiddetto “oro del giuramento”.
Denario italico con la testa elmata al D/ e i Dioscuri su cavalli impennati in direzioni opposte al R/ (mm 18), zecca di Corfinium, 90 a.C. (Serie due). Ex asta Nac 61, 2011, 1217
Dipendente dallo stesso modello, anche se con alcune differenze, appare anche la serie che presenta, al rovescio, il giuramento tra due soldati, scena assai legata alla guerra, caratterizzata dalla testa di Italia con galea crestata e leggenda MVTIL EMBRATVR al dritto (Mutilo imperatore) e con leggenda C. PAAPI. C oppure C. PAAPI al rovescio, celebrativa delle prime vittorie del console osco in Campania.
La sesta serie della Guerra sociale è quella caratterizzata, al dritto, dalla testa di Bacco con corona d’edera e leggenda MVTIL EMBRATVR e, al rovescio, dal toro, ora verso destra ora verso sinistra, che assale la lupa romana con leggenda C. PAAPI (ma esiste anche una variante anepigrafe al dritto e con leggenda VITELIV al rovescio).
Denario italico con testa laureata di Italia al D/ e scena di giuramento con otto guerrieri al R/ (mm 19), zecca di Corfinium, 90 a.C. (Serie tre)
La settima serie è quella che presenta, al dritto, la testa laureata di Italia e, al rovescio, l’Italia seduta su scudi, con la lancia in mano e coronata dalla Vittoria e che si articola in diverse varianti, a seconda della presenza della leggenda ITALIA al dritto e al rovescio combinata ora con lettere ora con numerali, con chiaro riferimento al rovescio dei denari romani emessi da C. Publicius Malleolus oppure a quello emesso da M. Nonius Sufenas.
Denario italico con Marte elmato al D/ e giuramento tra quattro guerrieri al R/ (mm 20), zecca itinerante con C. Papio, forse in Campania, 90 a.C. (Serie quattro). Ex asta Nac 61, 2011, 1218
L’ottava serie raffigura, al rovescio, la Vittoria seduta con ramo di palma in mano e la leggenda ITALIA all’esergo, mentre il dritto è anepigrafe ed è occupato dal busto diademato di Italia. La scelta tipologica di questa emissione, nota in un unico esemplare, richiama il denario di M. Porcio Catone, battuto nell’89 a.C., con l’unica differenza nella leggenda ITALIA.
Denario italico con testa di Italia al D/ e scena di giuramento con due guerrieri al R/ (mm 18), zecca itinerante con C. Papio, forse in Campania, 90 a. C. (Serie cinque)
La nona serie raffigura, al dritto, la testa laureata di Italia e al rovescio, il guerriero stante di fronte con lancia e toro accanto e presenta due varianti nella leggenda del rovescio: Il dritto di questa serie presenta sempre VITELIV, mentre al rovescio si trova ora la leggenda NI. LOVKI. MR (Numerio Lucilio Marcio, forse uno dei confederati di lingua osca) ora una lettera.
La decima serie ripropone, al dritto, la testa elmata di Italia e al rovescio il guerriero, con la testa elmata, corazza e mantello che si appoggia alla lancia con la mano destra e il toro accosciato di fronte così come anche la undicesima: queste due ultime emissioni si differenziano per le leggende che sono rispettivamente C. PAAPI. C. MVTIL al dritto e VITELIV al rovescio e C. MVTIL al dritto e SAFINVM al rovescio.
Denario italico con testa di Bacco al D/ e toro che assale la lupa al R/ (mm 19), zecca itinerante con C. Papio, forse in Campania, 90 a.C. (Serie sei)
Esistono anche quattro serie della Guerra sociale (dalla dodicesima alla quindicesima) che sono anepigrafi. Interessante è la quindicesima serie caratterizzata, al dritto, dal busto di Minerva elmata, coronata dalla Vittoria alle sue spalle e, al rovescio, da una scena cosiddetta “di incontro”, nella quale un soldato appena sbarcato (si vede un’imbarcazione alle sue spalle) si accinge a stringere la mano ad un altro che lo attende a terra.
Denario italico della Guerra sociale con busto di Italia al D/ e Italia seduta su scudi, incoronata dalla Vittoria al R/ (mm 18), zecca di Corfinium, 89 a.C. (Serie sette)
Molti hanno voluto vedere in questa emissione l’arrivo tanto atteso di Mitridate che avrebbe dovuto prestare soccorso agli insorti italici, cosa che mai avvenne; forse si potrebbe leggere nel tipo lo sbarco di Mario a Talamone, dal quale sarebbe scaturita un’alleanza tra il partito mariano e gli insorti, all’epoca degli scontri tra questi e l’ormai rivale Silla.
Denario italico con testa di Italia al D/ e guerriero stante con toro accosciato al R/ (mm 27), zecca di Aesernia? 89 a.C. (Serie nove). Ex asta Nac 61, 2011, 1213
Dibattuta ancora oggi l’autenticità del famoso statere d’oro, conservato a Parigi, che reca al dritto il busto di Bacco e al rovescio i suoi attributi. Pur sconfitti alla fine della guerra, gli Italici ottennero quello per cui avevano lottato e la fine delle ostilità venne celebrata dal denario firmato da Q. Fufius Calenus e Mucius Scaevola Cordus.
Al dritto, appaiono i busti affiancati di Onore e Valore, individuabili dalle abbreviazioni HO e VIRT; al rovescio, troviamo due figure, identificate dalle leggende ITAL[ia] e RO[ma], di prospetto che si guardano e si stringono le destre: l’Italia, a sinistra è a testa nuda, con lunga veste e cornucopia, mentre Roma diademata indossa una veste corta, appoggia il piede destro sul globo e regge con la sinistra lo scettro.
Denario italico con busto di Minerva, incoronato da Vittoria al D/ e due guerrieri affrontati che si stringono la mano al R/ (mm 19), zecca itinerante, forse in Campania, 87 a.C. (Serie quindici)
Gli Italici, quindi, nella Guerra sociale osarono sfidare Roma, non solo sul campo di battaglia ma anche nel campo della monetazione, sostituendo la bella testa di Roma con la testa di Italia e affidando al musecolare toro italico il compito, non semplice, di tentare di soggiogare l’astuta lupa romana.