I falsi seicenteschi di monete da 3 cagliaresi, destinati al popolo analfabeta, raccontano di truffatori ben lontani dalle raffinatezze del Cavino e del Cigoi
di Enrico Piras | Diverse volte si è accennato al bagaglio culturale che il numismatico dovrebbe avere. Il possesso di un “arsenale di competenze” distingue gli specialisti dai semplici appassionati; tuttavia, sbaglierebbe chi pensasse che esse siano soltanto un “di più” derivante da propensioni intellettualistiche, ma del quale il dilettante può fare a meno.
Anche gli aficionados, infatti, come molti dei più seri studiosi, spesso sono dei collezionisti, e si dà il caso che il loro obiettivo, le monete, siano a memoria d’uomo l’oggetto che ha vantato i più numerosi tentativi di falsificazione.
Se si considera che la storia delle monete false è antica quasi come quella delle monete autentiche, si capisce come i numismatici siano fra i collezionisti che più rischiano di essere truffati. Quanto sia consigliabile farsi una cultura o affidarsi a mani esperte prima di darsi agli acquisti, ce lo ricorda la moneta di questo mese.
I falsi d’epoca da 3 cagliaresi di Filippo III, un caso esemplare
Si tratta di una moneta falsa di rame da tre cagliaresi risalente al regno di Filippo III di Spagna (1578-1621). Di questo falso sono note decine di esemplari con diametro irregolare e peso che oscilla fra g 0,60 e 2,35. Al D/, presentano il busto del sovrano, con tre globetti sul campo; al R/, una croce accantonata da quattro anellini.
Alcune di esse hanno delle tracce di legende, ma queste sono del tutto illeggibili perché i falsari, probabilmente analfabeti, non si sono curati di riprodurre le lettere dell’alfabeto, ma le hanno imitate con dei segni privi di significato.
D’altra parte, i nostri criminali d’antan erano forse ignoranti, ma certo non stupidi, e sapevano che i loro falsi avrebbero circolato tra persone a loro volta analfabete e incapaci di distinguerli dagli esemplari autentici. La qualità dell’incisione è molto bassa e il peso, come abbiamo visto, oscilla parecchio.
Tuttavia, anche i veri 3 cagliaresi erano monete grossolane e con un peso che, da una all’altra, poteva anche raddoppiare! Insomma: c’erano il ritratto da un lato e la croce e gli anellini dall’altro, e tanto bastava.
Da quanto si può capire dalla fattura dei falsi e dal fatto cheFilippo IV abbia adottato fra il 1644 e il 1651 misure d’urgenza contro le contraffazioni, si arguisce che i falsari di cui parliamo erano dilettanti che avevano la fortuna di operare in un luogo e in un periodo in cui la confusione e l’illegalità la facevano da padrone.
Giovanni Cavino e Giovanni Cigoi, artisti o falsari?
Non tutti i falsari hanno goduto di condizioni tanto favorevoli. Alcuni di loro sono stati persone d’ingegno che, impiegando il loro intelletto in una pur così poco lodevole attività, hanno creato veri e propri capolavori di perfezione.
È il caso di Giovanni Cavino (1500-1570), un medaglista creativo da essere annoverato dal Vasari fra le glorie della sua città, Padova. In realtà Cavino, più che un falsario, era un abilissimo riproduttore che assecondò la passione per gli oggetti d’epoca romana che allora si andava diffondendo. Alcune delle sue “monete” erano copie fedeli di esemplari autentici, mentre altre erano di sua invenzione e si ispiravano liberamente allo stile degli originali.
Quasi altrettanto artista, ma decisamente più venale, fu l’udinese Giovanni Cigoi (1811-1875). Conciatore di pelli con la passione per la numismatica, mise su una vera e propria banda che nel giro di alcuni anni coniò una considerevole quantità di monete false.
Gli esemplari prodotti erano copie di originali bizantini, ostrogoti, vandali e così via, anche se la specialità della ditta erano le monete medievali delle zecche del Nord Italia. Vero talento imprenditoriale, il Cigoi veniva incontro alle esigenze del mercato e assecondava la brama dei collezionisti creando dal nulla nuove varietà di tipi monetali esistenti; la sua faccia di bronzo non doveva essere inferiore alla sua abilità di contrafattore, se pensiamo che in questo modo riuscì a farsi la fama del grande studioso.
Il gioco andò avanti sino a quando, tradito dall’ingordigia, Cigoi vendette una gran quantità di falsi niente meno che a uno studio legale! Stavolta, però, il pesce non abboccò all’amo: le patacche furono rispedite al mittente, e il direttore del Museo di Trieste denunciò l’impostore. In seguito Cigoi, forse per farsi perdonare, lasciò la sua collezione (incluse alcune delle sue imitazioni) al Museo di Udine, dove si trova tuttora.
I falsari dei 3 cagliaresi, si capisce, avevano poco da spartire con Cavino o Cigoi: questi ingannavano i più grandi esperti, mentre quelli approfittavano del popolo analfabeta; questi si servivano di tecniche raffinate, mentre quelli non erano capaci di riprodurre una legenda.
Rozzi, insomma, ma efficienti e dotati di senso pratico: per ricavare i tondelli da incidere, utilizzavano paioli e padelle razziati nelle cucine, e gli scarti della lavorazione, caso assai raro, ci sono giunti insieme ai falsi.