Del talento del maestro milanese Egidio Boninsegna (1859-1958) abbiamo già avuto modo di parlare (approfondisci qui), tuttavia la sua produzione in termini di medaglie, di monete e di progetti è stata talmente articolata che, tuttora, riserva spazi di riflessione e approfondimento.

Alle versioni dell’Italia aratrice uscite dalla matita e poi dalle mani di modellatore del Boninsegna, prima delle versioni definitive, ci sarebbe ad esempio da dedicare un’approfondita monografia; in questa sede, tuttavia, preferiamo approfondire una serie di creazioni risalenti all’alba del Novecento e che chiameremo – poi scoprirete il perché – “progetti di monete alla forestiera”.

Come ben noto, a differenza dei predecessori Vittorio Emanuele II e Umberto I, il “re numismatico” Vittorio Emanuele III salito al trono dopo il regicidio di Monza del 29 luglio 1900 fin da subito si pose il problema del rinnovamento estetico e tecnico della monetazione italiana, troppo ingabbiata negli schemi ottocenteschi di derivazione napoleonica.

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In lizza, assieme alla Regia Zecca, per rinnovare le monete d’Italia a inizio Novecento c’era lo Stabilimento Johnson di Milano, attivo già dal 1936 e all’avanguardia in Europa

Due furono gli stabilimenti incaricati di mettere al lavoro i rispettivi talenti per dare alle lire e ai centesimi un nuovo volto, all’altezza di un’Italia ormai consolidata come nazione unitaria e che – complice la politica giolittiana – ambiva ad un nuovo ruolo internazionale: la Regia Zecca di Roma, ancora ospitata nei locali dell’ex officina monetaria pontificia (approfondisci qui) e il moderno Stabilimento Johnson di Milano, fondato nel 1836 e ormai divenuto una realtà industriale di primo livello.

Tra i più raffinati artisti operativi nello stabilimento lombardo c’è per l’appunto Egidio Boninsegna il quale, fra le tante idee inviate a Roma, propone anche alcuni progetti di monete “alla forestiera” con valori da 100 e 20 lire  (per i tagli in oro), da 2 lire (per quelli in argento) e da 10 centesimi (per gli spiccioli in rame). Quattro creazioni che, già a prima vista, di distaccano in modo evidente non solo da quelle dei precedenti sovrani sabaudi ma anche dallo stile italiano in generale. A queste, è da aggiungere il celebre progetto da 5 lire 1903 con al rovescio lo stemma Savoia sagomato e ornato da elmo con “ceffo” di leone alato, e poi spiegheremo perché.

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Un rarissimo astuccio di presentazione dei progetti di Egidio Boninsegna del 1903 (100 e 20 lire da coniare in oro, 2 lire da coniare in argento, 10 centesimi in rame)

Iniziamo analizzando il ritratto di Vittorio Emanuele III, modellato in due versioni: la prima è a collo nudo, rivolta a destra e con i baffi dalle punte rivolte all’insù; stesso aspetto gi sovrano giovane ma già pienamente maturo per governare, ritratto a mezzo busto di tre quarti, in uniforme e con decorazioni, per la seconda. Entrambe danno al re un aspetto marziale, di gusto vagamente teutonico, specie nella versione in uniforme militare mentre quella a collo nudo si mantiene più vicina ai canoni precedenti.

Per quanto riguarda i rovesci, invece, iniziamo soffermandoci su quello del progetto da 2 lire (destinato idealmente anche alla lira e, forse, alle 5 lire): l’aquila sabauda ad ali spiegate richiama in modo evidente coniazioni di area tedesca, ad esempio quelle in oro e argento del kaiser Guglielmo II, sebbene nel progetto di Boninsegna il rapace italiano poggi gli artigli su due rami d’ulivo e la sua figura sia composta con un collare dell’Annunziata di forma circolare, decorato in basso del pendente del Supremo ordine dinastico.

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Il progetto da 2 lire: il re in uniforme col pendente dell’Annunziata che finisce sul bordo del tondello, al rovescio con un’aqula coronata che ricorda quelle delle monete prussiane

Elementi simili – il collare e i rami d’ulivo – si ritrovano nel rovescio del progetto da 10 centesimi, come pure la corona sulla quale è bene spendere qualche parola. Nel Regno d’Italia, infatti, non è mai esistita una formale cerimonia di incoronazione e, quindi, non si è mai provveduto alla realizzazione di una “corona di Stato” essendo considerata “corona d’Italia” la Corona ferrea, usata però soltanto come emblema e mai indossata dai re d’Italia di Casa Savoia.

Detto ciò, Boninsegna si “inventa” una nuova corona italiana da porre in capo alle composizioni araldico simboliche che, tuttavia, risulta piuttosto simile ad altre che appaiono su monete estere, ad esempio quella delle mezze corone britanniche del periodo coniate per Edoardo VII. Come se non bastasse, il maestro Boninsegna pone il tutto – con uno piccolo scudo di Savoia di foggia non certo elegantissima – al centro di una composizione in cui prevale il vuoto del campo della moneta, con il valore espresso in un modo del tutto inedito “Cmi | 10” e le scritte, in caratteri sottili: REGNO | D’ITALIA (spezzata in alto) e 1903 (in basso).

Non felice, l’idea del Boninsegna per i 10 centesimi: troppo piccolo lo stemma sabaudo con i due rami d’ulivo “in palo” e troppo “britannica” la corona pensata dall’artista

Ce n’è abbastanza per far storcere il naso, immaginiamo, sia a Vittorio Emanuele III che alla Commissione incaricata di vagliare questi progetti di monete “alla forestiera”, anche perché sembra che Boninsegna non abbia tenuto conto che lo stesso modello sarebbe stato da ridurre (dai 30 millimetri della moneta da 10 centesimi) a diametri di 25 millimetri (per i 5 centesimi) e addirittura ad appena 20 e 15 millimetri per gli spiccioli da 2 e 1 centesimo, risultando probabilmente illeggibile.

Quale ragione può invece aver portato a scartare il progetto da 5 lire con al rovescio lo stemma con elmo e mantellina, cimato da un “ceffo” di leone alato, resta meno semplice da ipotizzare. Difatti, questa espressione araldica è genuinamente propria di Casa Savoia e la troviamo, ad esempio, nei ducati d’oro di Carlo I, detto “il Guerriero” (1492-1500) e usato già in precedenza. E la proposta del Boninsegna appare forte nei rilievi come equilibrata nella composizione.

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Molto sabauda la proposta per le 5 lire che richiama monete dell’epoca dei duchi, come il ducato di Carlo I “il Guerriero”, con tanto di “ceffo” di leone alato sullo stemma

Per quanto riguarda, infine, il rovescio destinato alle monete in oro, le due figure non hanno nemmeno una chiarezza interpretativa, dal momento che vengono viste come l’Italia e Roma, oppure come Minerva e l’Agricoltura a seconda dei testi. La lettura più coerente, considerato l’elmo a tre creste e l’asta (forse una lancia?) della figura di sinistra, farebbe pensare a una Roma guerriera, città capitale che, con fermezza, guida l’Italia (agricola) nel suo percorso.

Una composizione elegante, senza dubbio, ma che forse non convinse sia per la leggerezza dei rilievi – che, una volta impressi, erano quasi “evanescenti” – sia per quei caratteri troppo sottili usati per le iscrizioni, il valore e la data in numeri romani che potevano risultare poco agevoli da leggere, specie sul pezzo da 20 lire.

Liberty e raffinato, il peogetto per le pezzature in oro noto in esemplari di prova con valori da 100 e 20 lire e basato sulle personificazioni di Roma guerriera e dell’Italia agricola

Insomma, quelli che in modo un po’ spregiudicato abbiamo definito dei progetti di monete “alla forestiera” di Egidio Boninsegna non convinsero il sovrano e la Commissione monetaria, probabilmente per un eccesso di ricercatezza; troppo “sperimentali”, specie se messi a confronto con le monete tipo Aquila araldica, poi con quelle tipo Aratrice, Quadriga e Italia su prora che finirono nelle tasche degli Italiani

Quei quattro (più uno) esperimenti creativi del grande scultore milanese, bulinati in acciaio da Angelo Cappuccio, che finirono per rimanere lettera morta, ma sono entrati a pieno titolo nell’Olimpo della numismatica italiana del Novecento e nelle mire di tanti appassionati collezionisti.