Da Gian Giacomo “il Magno” agli epigoni della famiglia Trivulzio, “Non ti smagare” si ritrova su monete minori come su rarissime emissioni d’ostentazione in oro
di Roberto Ganganelli | Anche le dinastie “minori” che hanno regnato su piccole parti della Penisola, lo sappiamo, ci riservano con le loro produzioni monetarie dei veri e propri capolavori, sia in termini di bellezza e di rarità che di contenuto storico.
È il caso dei Trivulzio e, ad esempio, del testone a tema mariano a nome di Gian Giacomo Trivulzio di cui abbiamo parlato in un precedente approfondimento; a nome dello stesso, celebre personaggio e di due dei suoi successori – Antonio Gaetano e Antonio Teodoro – sono invece le monete protagoniste di queste righe.
Si tratta, di fatto, di tre tipologie di monete quasi agli estremi della serie trivulziana: un bel cavallotto in argento, una modesta trillina in mistura e due eccezionali (e pressoché unici) esemplari da 10 zecchini in oro. Cosa le accomuna? Un motto misterioso – NE TE SMAI – che potremmo liberamente tradurre come “Non ti smagare”.
Troppo semplice? Forse, anche se tale versione è opera niente meno che del grande Ludovico Antonio Muratori. Sta di fatto che quelle parole si abbinano, sulle monete, a un’impresa intrigante e a una raffigurazione araldica di grande finezza, che meritano di essere svelate. Ma andiamo con ordine.
Fu coniata nell’officina monetaria di Roveredo (oggi comune in terriotiro svizzero, nel cantone dei Grigioni) e a nome di Gian Giacomo Trivulzio “il Magno” (1487-1518) una trillina con al dritto una croce fiorata e il nome del famoso condottiero (col titolo di maresciallo di Francia) e, al rovescio, un anello con diamante sormontato da una lima spezzata, il tutto circondato dalle parole NE TE SMAI.
L’impresa – adottata proprio dal condottiero – allude con tutta probabilità alle fortunose vicende vissute da Gian Giacomo Trivulzio che la scelse quando, sconfitto da Ludovico il Moro, fu costretto a ritirarsi da Milano o, secondo un’altra possibile interpretazione, quando nel 1513, battuto sonoramente a Novara, dovette abbandonare l’Italia.
“Non ti meravigliare”, “Non ti scoraggiare” dicono quelle parole derivate dal francese arcaico ne t’esmayer che, abbinate alla raffigurazione, insegnano che come il diamante ha rotto la lima, verrà un tempo in cui la lima, anche rotta, spezzerà il diamante. L’impresa sembra quasi assumere il valore di una vera e propria minaccia e fa tornare alla mente altri motti celebri in moneta come MIT ZAIT oppure MERITO ET TEMPORE.
È poi su due ratità in oro da 10 zecchini a nome dei Trivulzio – non monete di circolazione, ma ostentazione – che ricompare quel “Non ti smagare”: si tratta di due coni di eccezionale rarità a nome di Antonio Gaetano (1676-1678) e Antonio Gaetano (1679-1705).
Coniate dalla zecca di Retegno, le due monete ci mostrano infatti sui rovesci lo stemma trivulziano con i tre pali sormontato da una sfinge con anello, lima e nastro con su è scritto il motto. Quasi invisibile, in verità, per i piccolissimi caratteri, ma ben chiaro nel suo significato in abbinamento agli altri elementi della composizione araldica.
La mitologica sfinge – dal corpo di donna, le ali di pipistrello, la coda di drago e i piedi di uccello – rappresenta infatti, simbolicamente, l’ineluttabile, l’insondabile di fronte a cui il motto “Non ti smagare” rappresenta un invito alla fermezza e alla razionalità.
Quel diamante, invece, resta il simbolo per eccellenza della limpidezza, dell’incorruttibilità, della perfezione e della durezza, con il potere di scalfire e tagliare ogni altro materiale (come avrebbero dovuto fare i Trivulzio nei confronti di nemici e avversità).
La sfinge, l’anello con diamante, il motto tentano qui di rinverdire – almeno nei simboli esteriori – il fasto dell’epoca di Gian Giacomo il quale, un simile e raffinato stemma, lo aveva ideato per primo e fatto incidere sui propri cavallotti in argento coniati a Mesocco, in abbinamento al san Giorgio che trafigge il drago.
In realtà, alla fine del XVII secolo, la casata dei Trivulzio non aveva più da tempo né il potere militare né l’influenza politica dei tempi del “Magno”, tanto è vero che con Antonio Tolomeo (1708-1767) sarebbe calato il sipario sia sulla storia della dinastia che sulla zecca di Mesocco. Le monete, invece, come sempre vincono sui secoli e, con la loro bellezza, ci riaprono ancora oggi le porte di un passato affascinante.