Tommaso di Villanova, al secolo Tomás García Martínez (1486-1555) è stato un eremita agostiniano spagnolo, asceta e predicatore, divenuto arcivescovo di Valencia. Scelto da Carlo V come consigliere spirituale e confessore, Tommaso si vide offrire dall’imperatore l’Arcivescovado di Granada, ma rifiutò per umiltà.
Durante gli anni come arcivescovo metropolita di Valencia – ruolo quasi “impostogli” da papa Paolo III Farnese nel 1544 – divenne celebre per le sue elemosine ai poveri e, dopo la morte sopravvenuta per malattia cardiaca, venne beatificato il 7 ottobre 1618 da Paolo V mentre papa Alessandro VII lo proclamò santo il 1° novembre del 1658.
A sinistra una stampa raffigurante san Tommaso di Villanova in vesti di arcivescovo; a destra, un ritratto di papa Alessandro VII che al santo spagnolo dedicò una chiesa a Castel Gandolfo
Nello stesso anno, papa Chigi commissionò a Gian Lorenzo Bernini la costruzione di una chiesa a Castel Gandolfo, che avrebbe dovuto fungere da cappella palatina al complesso del Palazzo pontificio. Originariamente la chiesa doveva essere dedicata a san Nicola di Bari, a nome del quale esisteva già sul posto un oratorio ma, in seguito, il papa decise che fosse intitolata a Tommaso di Villanova, appena canonizzato.
La chiesa venne consacrata nel 1661 e tanto ci teneva, papa Chigi, sia al nuovo santo che alla nuova creazione berniniana, che nel 1658 – come accaduto per altre opere architettoniche – venne dedicata una medaglia “di fondazione” su coni di Gaspare Morone Mola con al dritto il mezzo busto del pontefice e al rovescio la facciata della chiesa con le iscrizioni DILEXI DOMINE DE | COREM DOMVS TVAE con * S. NICOLAO * in esergo.
La medaglia di Gaspare Morone Mola del 1658 che segna l’inizio dei lavori per la chiesa dedicata a san Tommaso diVillanova su progetto del Bernini
L’anno dopo, 1659, seguì una seconda coniazione opera del medesimo incisore, nota sia con il busto del papa rivolto a sinistra che a destra e al rovescio, a circondare la facciata della nuova chiesa dedicata a san Tommaso di Villanova, la legenda THOMAE . VALENT . | INTER SANCT . RELATO e MDCLIX in esergo.
Per quanto riguarda le monete, fin dal volume di Saverio Scilla del 1715 dal titolo Breve notizia delle monete pontificie antiche, e moderne sino alle ultime dell’Anno XV del regnante pontefice Clemente XI, proseguendo poi con Cinagli, Martinori e Muntoni Tommaso da Villanova viene accreditato anche di figurare sulla piastra di Alessandro VII senza data, famosissima e tanto apprezzata dai collezionisti, sul cui rovescio sarebbe immortalato mentre fa la carità ad uno storpio (Muntoni 4).
Il condizionale è tuttavia d’obbligo, a proposito di chi sia l’effettivo soggetto di questa moneta, a dispetto del fatto che la coniazione di Alessandro VII è considerata una fra le più note piastre papali in assoluto e viene datata, in modo presunto, al 1658 proprio per la contemporanea canonizzazione dell’arcivescovo spagnolo.
L’unica piastra nella monetazione di Alessandro VII è questa, senza data, sempre descritta come raffigurante al rovescio Tommaso diVillanova che fa l’elemosina a uno storpio
Lorenzo Bellesia ha dedicato anni fa a questa moneta un ampio e interessante articolo, con puntuale censimento delle tante varianti di conio, dal titolo La piastra di Alessandro VII (in Panorama numismatico 204, febbraio 2006, pp. 13-20) in cui scrive: “Certamente la scelta quale soggetto della piastra dipendeva dalla fama acquisita da san Tommaso come benefattore dei poveri diventando, per così dire, il testimonial della campagna di sensibilizzazione alla carità inaugurata dal papa nella sua monetazione”.
E ancora, a proposito dell’iconografia del santo che fa l’elemosina al povero storpio – dipinta fra gli altri da Mateo Cerezo e Bartolomé Esteban Murillo – Bellesia scrive: “La stessa scena venne presa dall’ignoto incisore della zecca papale che però disegnò in modo completamente diverso il santo, raffigurato, indubbiamente, come un soldato romano che indossa una lunga tunica e senza alcun copricapo. Non si direbbe un santo ma un semplice uomo, immagine che meglio si adattava alla propaganda papale”.
Di ignoto incisore, la piastra è barocca a tutti gli effetti, di una formidabile raffinatezza compositiva: si noti il dettaglio delle monete che passando di mano tra le due figure
A nostro avviso, tuttavia, una simile “licenza iconografica” – rappresentare un arcivescovo agostiniano sotto le spoglie di un centurione romano – non era allora e non appare oggi ragionevole, con buona pace della prima lettura di questa piastra da parte di Saverio Scilla (sulla base di quali fonti?) e di quanti, in seguito, hanno ripreso pedissequamente (in mancanza altri di documenti noti) la medesima descrizione.
In un’epoca – il Seicento– in cui gran parte della popolazione era analfabeta e di cultura pressoché nulla, inoltre, erano proprio la chiarezza e la riconoscibilità delle iconografie a rendere gradite, “leggibili” e quindi utili anche alla catechesi delle masse le monete, comprese quelle di medio alto valore come la piastra d’argento.
Che ogni santo doveva essere “percepito” attraverso un’iconografia inequivocabile ce lo confermano anche gli studi sul lessico iconografico monetale (Lexicon iconographicum numismaticae) condotti a partire dal 2000 da grandi nomi come Lucia Travaini e Maria Caccamo Caltabilano e che hanno portato all’edizione di volumi fondamentali.
Limitandoci alle monete di papa Chigi, ad esempio, san Giorgio sul giulio del 1655 per Ferrara è (ovviamente) corazzato, a cavallo e intento a trafiggere il drago; la donna raggiante in piedi sul crescente lunare del giulio e del grosso per Roma senza data è senza dubbio l’Immacolata, soggetto della costituzione apostolica Sollicitudo omnium dell’8 dicembre 1661; per non parlare dei santi Pietro e Paolo sui quattrini, raffigurati l’uno col libro e le chiavi e l’altro con il libro e la spada, come prassi.
Due esempi di monete di papa Chigi: il giulio del 1655 per Ferrara con san Giorgio e il grosso in argento per Roma con l’Immacolata. Le due iconografie sono immediatamente riconoscibili
Tommaso di Villanova non fu, a differenza di altri santi, un militare o un soldato prima di ricevere la vocazione; e – almeno, fra quelli che si avuto modo di censire – nessun dipinto o stampa lo raffigura mai con armatura, tunica, mantello drappeggiato, spallacci e calzari, proprio come un soldato dell’Impero romano.
Piuttosto, nell’iconografia sacra ci appare con il semplice saio nero degli agostiniani, talvolta ornato dei paramenti arcivescovili (la mitria, il pastorale, la mantellina liturgica) che sono il corretto corredo – e riconoscibile – di questo personaggio, peraltro vissuto tra XV e XVI secolo e non certo ai tempi di Nerone o di Diocleziano.
in termini di iconografie monetali “non sacre” valgono considerazioni analoghe: la bilancia con destrocherio sul testone senza data o l’altrettanto famoso tavolo coperto di monete del giulio evocano in modo diretto, rispettivamente, la giustizia e il denaro. Perché, dunque, si sarebbe voluto introdurre nella piastra un livello di astrazione iconografica tanto marcato (e ingiustificato) da trasformare un monaco in soldato, un arcivescovo spagnolo in un militare dell’antica Roma?
A questo punto non ce ne vogliano i “mostri sacri” degli studi sulla monetazione pontificia, da Saverio Scilla in poi, ma riteniamo di poter proporre un’ identificazione alternativa del personaggio sul rovescio della piastra chigiana. Sempre di un santo si tratta e nella fattispecie, a nostro avviso, di san Cornelio centurione la cui figura calza alla perfezione rispetto alla raffigurazione e al messaggio propagandistico della moneta.
Le tipiche raffigurazioni di san Tommaso di Villanova: col saio nero degli agostiniani o con i paramenti da arcivescovo. In entrambi i quadri è presente lo storpio
Cornelio, vissuto nel I secolo (non si hanno riferimenti più precisi) appare nel Nuovo testamento (At 10, 1-11, 18) come uomo pio e dedito alle elemosite e, fatto non secondario, come primo cittadino non ebreo a convertirsi al Cristianesimo. Abitava a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano ed era in servizio presso la Coorte Italica, fatto da cui si suppone che la sua origine fosse la nostra Penisola.
Cornelio è importante anche perché fu uno tra i primi non ebrei (forse il primo) a ricevere lo Spirito Santo e ad essere battezzato. Secondo gli Atti degli Apostoli, gli fu inviato dal Signore un angelo che lo invitò a mandare a chiamare Simon Pietro. E questi, sentendo la necessità di accogliere nella comunità tutti gli uomini, anche quelli non osservanti la legge di Mosè, rispose all’appello dell’ufficiale romano ed evangelizzò Cornelio e i suoi.
Questi ricevettero lo Spirito Santo che si manifestò in loro – “parlavano lingue e glorificavano Dio” – e Pietro ordinò che Cornelio e i presenti fossero battezzati. Un evento che ebbe grande importanza nella storia della Chiesa, simboleggiandone l’apertura ai non circoncisi e quindi a tutti i popoli, non solo a quanti erano nati e cresciuti nella legge di Mosè.
A sinistra, incisione con l’apparizione dell’angelo al centurione Cornelio; a destra, il suo Battesimo da parte di Simon Pietro in un bel dipinto di Filippo Zuccari
Poche altre notizie si hanno sulla vita di san Cornelio centurione. Secondo alcune fonti sarebbe diventato vescovo a Skepsi, nella Misia, dove fu imprigionato dal prefetto della città, quel Demetrio che poi si convertì grazie ai miracoli compiuti da Cornelio. In questa città sarebbe morto, mentre altre fonti lo vogliono vescovo di Cesarea di Palestina e infine martire.
Quale che sia la verità su Cornelio, la piastra di Alessando VII – l’unica a nome di questo pontefice, peraltro – appare ora, a nostro avviso, davvero chiara nella sua lettura e anche quella legenda latina (DISPERSIT DEDIT PAVPERIBVS IVSTITIA EIVS MANET IN SAECVLA SAECVLORVM, ossia “Distribuì donando ai poveri, la sua giustizia resterà nei secoli dei secoli”) tratta dal Salmo 111 e dalla Seconda lettera ai Corinzi è del tutto coerente con la pietas del personaggio raffigurato, san Cornelio centurione.
San Cornelio centurione si festeggia il 20 ottobre e, sebbene non sia tra i santi più conosciuti dello sterminato Martirologio romano, il suo esser stato “primizia” fra i pagani convertiti al Cristianesimo, sia da un punto di vista teologico che propagandistico (“Dio non fa preferenze di persone”), lo rende certamente meritevole di figurare su una moneta.
Lo storpio, infine, che pure viene raffigurato anche in alcuni dipinti accanto a san Tommaso di Villanova, altro non rappresenta che il paradigma dell’essere umano sofferente, bisognoso spiritualmente e materialmente povero, dunque una figura familiare, di immediata riconoscibilità anche da parte della gente del XVII secolo per la sua gamba atrofizzata, la schiena ricurva e la stampella ben in vista.