La grazia della rosa, il suo naturale modo di difendersi: un simbolo della natura assurto a impresa dai Medici e da un gran maestro dell’Ordine di Malta
a cura della redazione | I collezionisti di monete italiane, e non solo, ben conoscono le pezze della rosa battute a nome della città di Livorno dai granduchi Ferdinando II (1621-1670), Cosimo III (1670-1723) e Gian Gastone I de’ Medici (1723-1737).
Monete di grande eleganza e impatto estetico, sono caratterizzate dall’arma medicea coronata al dritto e da due piante di rosa intrecciate fra loro al rovescio e furono coniate sia in oro (doppia, singola, mezza e quarto di pezza della rosa) che in argento (la pezza della rosa “semplice”).
Monete battute a Firenze, dato che la città di Livorno non aveva un’officina monetaria, le pezze della rosa granducali riportano attorno alle due piante intrecciate e fiorite la legenda latina GRATIA OBVIA VLTIO QVAESITA che, ci spiega Mario Traina ne Il linguaggio delle monete, significa “La benevolenza [è] spontanea, la punizione [è] ricercata”.
Secondo Traina, con questa “impresa”, Ferdinando II volle lanciare – con una finezza tutta toscana – un chiaro messaggio ai suoi nemici: come la rosa, nonostante la sua grazia e bellezza (GRATIA OBVIA), ha le spine che la proteggono contro chi vuole rovinarla (VLTIO QVAESITA), così il granduca, pur essendo di animo buono e indole pacifica, non avrebbe esitato a rintuzzare qualsiasi offesa.
Il motto venne introdotto per la prima volta in moneta da Ferdinando II l’8 maggio del 1665. La nuova moneta, conosciuta anche come “livornina” perché comparsa all’epoca dell’emanazione delle “leggi livornine”, vede dietro le quinte – per quanto riguarda l’invenzione del soggetto e del motto – il bibliotecario del granduca Francesco Rondinelli e, secondo Arrigo Galeotti, doveva esaltare la casata medicea per i benefici concessi a Livorno.
Se esaminiamo il motto dividendolo in due parti, GRATIA OBVIA e VLTIO QVAESITA, il significato letterale della prima parte deve infatti tradursi come “chiedere/richiedere”, mentre la seconda parte può essere tradotta con “vendetta/punizione”.
Coordinando tra loro queste le parti si dedurrebbe il concetto riferito alle immunità concesse dai granduchi alla città di Livorno: “[La casa medicea] è facile a concedere il perdono [anche se la colpa commessa] meriti/richieda una punizione”.
Due possibili significati, dunque, per “l’impresa della rosa”: chissà a quale dei due voleva far riferimento il gran maestro dell’Ordine di san Giovanni di Gerusalemme Marcantonio Zondadari (1720-1722) quando fece imprimere una piccola pianta di rose, con le stesse parole, sui carlini a suo nome battuti nella zecca della Valletta?
La risposta potrebbe essere più semplice di quanto si immagini: lo Zondadari era nato nel 1658 a Siena, florida città del Granducato di Toscana, e il gran maestro dell’Ordine di Malta ben conosceva le pezze della rosa che, del resto, circolavano in tutto il Mediterraneo. Chissà che non si sia trattato di un “omaggio numismatico” alla sua terra d’origine?
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