Correva l’anno 1996 quanto a Richard Meier, noto architetto statunitense, venne affidato l’incarico di dare all’Ara Pacis, una delle testimonianze più belle della Roma imperiale, un nuovo contenitore.
Nel 2005, non senza polemiche per il forte contrasto fra antico e moderno, la struttura venne inaugurata e ancora oggi fa da palcoscenico non solo per il famoso monumento ma anche ad eventi mondani, culturali e artistici.
Quasi dieci anni, dunque, per passare dal progetto alla sua realizzazione; purtroppo i tempi morti, le lungaggini, le incertezze non sono solo dei nostri giorni: il complesso dell’Ara Pacis ha subito un oblio di oltre 15 secoli. Già alla fine del I secolo d.C. il complesso era fortemente danneggiato e snaturato da un incendio (80 d.C.) oltre che da un cedimento del terreno che ne avevano fatto perdere le tracce e la memoria fino al Rinascimento.
L’Ara Pacis di Ottaviano Augusto nel moderno contenitore architettonico che ne rende possibile ogni anno la visita a migliaia di persone
La zona era stata caratterizzata da espansione edilizia durante l’epoca dei Severi e fino al 1536 (anno in cui abbiamo la riproduzione di una parte del fregio) e al 1566 (ritrovamento di un consistente nucleo dell’altare) non se ne seppe più nulla.
In realtà il monumento dedicato alla pax di Augusto era nato sotto i migliori auspici come parte di un progetto più ampio al quale partecipò anche Virgilio con la sua Eneide: dare visibilità, forma, dignità artistica e storica al nuovo assetto politico inaugurato da Ottaviano Augusto nel recupero della tradizione romana, degli eroi fondanti quella civiltà, del ripristino della pace dopo quasi un secolo di guerra civile.
Dettagli dell’altare, con la porta e le sculture a bassorilievo, su un asse neroniano coniato nel 65-66 forse a Roma o forse a Lugdunum
L’Ara Pacis (inaugurata il 30 gennaio del 9 a.C.), sorgeva vicino al mausoleo di Ottaviano Augusto nel Campo Marzio, un’ampia zona vicina al pomerium (uno spazio di terreno consacrato lungo le mura della città) che era stato urbanizzato da poco; in precedenza era zona di esercitazioni per la cavalleria e l’esercito e, viene fatto di pensare, non deve essere stato scelto a caso per questo tipo di monumento, dedicato alla Pace.
Del complesso faceva parte, sempre nell’ambito di un disegno propagandistico e simbolico di estrema complessità e raffinatezza, anche un horologium, una meridiana che aveva come gnomone un obelisco proveniente da Heliopolis, oggi in piazza Montecitorio.
Quando ci si trovò di fronte a ritrovamenti sparsi di elementi architettonici e decorativi dell’Ara Pacis molte furono le perplessità nell’assegnare figure e decorazioni ai giusti spazi originari, addirittura nel ricostruire l’architettura del tempo di Augusto.
L’esterno dell’edificio progettato dall’architetto Richard Meier per contenere l’altare inaugurato nell’anno 9 d.C. e voluto da Ottaviano Augusto
Tra i documenti sicuramente vanno citate le fonti scritte tra cui alcune molto famose ed autorevoli, quali Ovidio e Plinio, nonché il matematico e astronomo Facondo Novio che aveva progettato la meridiana; è comunque innegabile che tra i documenti più attendibili vadano ricordate alcune monete coniate al tempo di Nerone, che offrono la visione di come doveva essere la struttura del grande altare dedicato a quella fragile divinità, preziosa ancora oggi, che è la pace.
Chi si reca nel moderno edificio progettato da Meier vede oggi una costruzione quadrangolare con due entrate, una a oriente ed una a occidente; la struttura a recinto riproduce in muratura quello che era il modello del templum minus della tradizione arcaica locale alla quale la retorica augustea fa espresso riferimento.
Un altro asse in bronzo di Nerone risalente al 65-66 ci mostr l’Ara Pacis sul rovescio
Questi spazi consacrati avevano un recinto in legno, erano decorati con festoni e bucrani, patere o coppe rituali; l’interno dell’Ara Pacis, molto più ampio nelle dimensione e di materiale decisamente più nobile, marmo, vuole però riprodurre la stessa struttura e lo stesso tipo di decorazione e richiama l’arcaica simbologia della vita che si rinnova, del susseguirsi delle stagioni e del pacifico e produttivo lavoro dell’uomo.
Non c’è traccia, nella ricostruzione attuale, di una porta che chiudesse le due entrate al luogo sacro; troviamo però l’indicazione di questo particolare, non documentato da fonti scritte, proprio su alcune monete della seconda metà del I secolo d.C. e in particolare su nove coni a nome di Nerone ed uno da ascriversi all’impero di Domiziano, dell’86 d.C.
Sul rovescio dell’asse di Domiziano vediamo la riproduzione dell’Ara Pacis che testimonia la presenza delle porte che dovevano servire a proteggere la mensa sacra. Alcuni studiosi ritengono che le porte fossero presenti fin dalla costruzione del monumento, basando la loro affermazione su scanalature osservate sul pavimento; altri pensano invece che la chiusura ad ante sia stata successiva.
Anche Domiziano, nell’anno 86, fa coniare assi con l’Ara Pacis che hanno permesso agli archeologi di ricostruire dettagli mancanti del monumento
E’ comunque certo che le porte esistessero e questo lo affermano indiscutibilmente le monete. Inoltre si osserva che il conio presenta anche degli acroteri di decorazione sulla cornice superiore del recinto. E’ interessante vedere anche come l’autore di uno dei coni riproduca l’Ara Pacis durante un sacrificio: al suo interno si intravedono infatti gli uomini impegnati nel sacrificio, i victimarii.
Riguardo alle citate monete di Nerone va ricordato che non tutti i numismatici concordano sul fatto che l’immagine dell’edificio sia l’Ara Pacis di Roma (Mattingly e Meissonnier) e fanno riferimento a quello costruito nella località di Lugdunum all’incirca nel 65 d.C. Pur tenendo conto di questa indicazione, dal punto di vista della ricostruzione della struttura e dei particolari dell’Ara Pacis di Roma, la zecca di emissione risulta ininfluente.
Si è fatto accenno al particolare delle due entrate. Sulla parete occidentale del monumento romano troviamo un pannello in cui Enea sacrifica ai Penati e uno con una scena particolarmente significativa per il recupero della mitica fondazione di Roma: Romolo e Remo allattati dalla lupa mentre Faustolo, il pastore che li adotterà, e Marte, loro padre, osservano la scena.
Anche la figura della dea Roma di questo sesterzio di Nerone del 65 d.C. è stata utile per il restauro e la ricostruzione dell’Ara Pacis
Sul lato orientale troviamo la scena della Tellus, la madre Terra della tradizione latina anche identificata nella figura allegorica della pax (o forse Cerere, Roma o anche Venere, la madre di Enea altrimenti “assente”).
Per la lettura della figura del pannello di sinistra ci si è avvalsi ancora una volta della numismatica, in particolare della figura femminile presente su un rovescio di un sesterzio coniato a nome di Nerone nel 65 d.C. nella zecca di Roma.
Molto affine è infatti la ricostruzione che venne fatta, nel 1938, della dea Roma sull’Ara Pacis alla figura femminile che troviamo sulla moneta, seduta su armi accatastate sotto di lei. La fierezza dell’espressione, l’elmo, le armi, un seno scoperto testimoniano il recupero, in età augustea, di figure legata all’epoca e alla tradizione repubblicana.