Dal sito archeologico di un’antica caserma in Gran Bretagna riemerge una suggestiva falera, simbolo del valore di uno sconosciuto legionario romano
a cura della redazione | Oggi le chiameremmo “medaglie al valore” ma con il termine falera, in riferimento all’epoca romana – e pure nel mondo etrusco e celtico – intendiamo dei manufatti metallici, spesso di forma circolare, utilizzati per l’appunto come ricompense per componenti dell’esercito che si fossero particolarmente distinti in servizio o in battaglia.
Le falere erano utilizzate già dagli Etruschi e furono introdotte a Roma, non a caso, dal re Tarquinio Prisco. Al tempo di Polibio, in età repubblicana, questa decorazione era concessa ad un cavaliere che avesse riportato le spoglie di un nemico, mentre in età imperiale anche alla truppa, legionari e ausiliari che si fossero distinti sui campi di battaglia.
La falera poteva essere concessa anche ad ali e coorti: una sorta, insomma, di onorificenza “alla bandiera”, ad un intero reparto militare. Sull’abbigliamento dei soldati le falere erano disposte di solito su tre linee, legate con corregge a formare un pettorale, indossato poi sulla corazza, in modo da essere agganciate. La falera veniva inoltre apposta, in caso di riconoscimento collettivo di valore, sulle insegne (vexilla e signa) dei reparti.
E, a proposito di falere, The Vindolanda Trust ha comunicato, pochi giorni fa, una scoperta di rilievo, avvenuta durante gli scavi archeologici in corso nei resti della caserma romana del forte di Vindolanda, nei pressi del Vallo di Adriano, in Gran Bretagna.
“Il nostro team – hanno dichiarato alla stampa gli archeologi – ha portato alla luce una falera d’argento (decorazione militare) raffigurante la testa di Medusa. La falera è stata scoperta sul pavimento di quella che era una caserma risalente al periodo di occupazione romana coincidente con l’impero di Adriano”.
Sulla falera il volto terrificante di Medusa, personaggio mitologico destinato, col suo sguardo, a intimorire gli avversari: uno sguardo che, del resto, compare anche in molti casi nella monetazione antica come abbiamo avuto modo di raccontarvi in un ampio studio che potete leggere cliccando qui.
Nella produzione monetale romana, in particolare, durante il periodo della Repubblica spiccano un rarissimo aureo e un denario del 43 a.C. a nome di Marcus Arrius Secundus che al rovescio mostrano al centro una lancia (hasta pura) e ai lati una corona d’alloro ed una falera rettangolare, intesa come insieme di decorazioni con la loro intelaiatura in cuoio. Sul dritto del denario un volto giovanile, spesso identificato come quello di Ottaviano; sull’aureo, invece, il profilo femminile della Fortuna Populi Romani.
Interessante anche un’altra falera che appare direttamente collegata alla monetazione di Roma antica: si tratta di un disco di 49 millimetri, in oricalco argentato al dritto, su cui campeggia la testa laureata di Augusto a destra, incoronato dalla Vittoria; al retro notiamo un gancio in ottone fissato al centro con due grandi fori.
Nel Roman Imperial Coinage – al n. 429 – è pubblicato un dupondio di tipo affine. Questa falera sembrerebbe essere direttamente correlata, dunque, alla serie di monete coniata nel 7 a.C. per celebrare il trionfo accordato quell’anno al figliastro di Augusto, il futuro imperatore Tiberio, per le sue vittorie sui Germani. Il distintivo, molto probabilmente, venne utilizzato al pari delle classiche falere come decorazione su una corazza.
Naturalmente, ad un militare che avesse dimostrato particolare valore poteva essere concessa anche più di una falera: celebre è la stele funebre in pietra del centurione Marco Celio, pluridecorato, caduto eroicamente nella selva di Teutoburgo – correva l’anno 9 dopo Cristo – assieme alla XVIII Legio; il centurione è raffigurato con le sue decorazioni: la corona civica, due torques e cinque phalerae.