Estro artistico e guadagni adeguati, si sa, non vanno sempre di pari passo ma se, da un lato, sappiamo di geniali mani come quelle di Vincent Van Gogh che, in vita, non portarono certo la ricchezza al pittore, dall’altro conosciamo esempi – come le statue di Canova – che fruttarono al loro creatore cifre enormi per l’epoca, rendendolo molto più che benestante.
Antonio Canova (1757-1822), infatti, a differenza di quanto accaduto a molti artisti, durante sua la vita ebbe un successo incredibile e vendette con lauti guadagni le sue magnifiche sculture a sovrani, principi, papi e imperatori.
Al netto delle spese per il pagamento dei collaboratori (gessini, lustratori, sgrossatori, modellatori, marmorari) e per la gestione del suo atelier aperto a Roma, Caput Mundi, le statue di Canova permisero al loro autore di accumulare una fortuna immensa, sia in contanti che in proprietà immobiliari.
Zecchino veneto a nome del doge Ludovico Manin (1789-1797)
Il Perseo trionfante, realizzato verso la fine del XVIII secolo, ebbe due versioni in marmo. La prima, scolpita per il tribuno francese Onorato Duveyriez, costò 2000 zecchini; il modello in gesso era già pronto nel 1797, poi per la rivoluzione giacobina a Roma Canova abbandonò il suo studio, se ne tornò a Venezia e a Possagno, nelle più sicure terre dell’Impero asburgico.
Quando rientrò a Roma, alla fine del 1799, Canova riprese il lavoro ma fu Pio VII, papa appena eletto a Venezia, a volere quell’opera per i Musei Vaticani, al posto lasciato libero dall’Apollo del Belvedere trafugato da Napoleone come bottino di guerra.
Nel 1796 Canova preparò anche il modello del Palamede. Nel 1803-1804 ne realizzò il marmo per Giambattista Sommariva, segretario generale della Repubblica Cisalpina dal giugno 1797 all’aprile 1798, per la sua Villa di Tremezzo sul Lago di Como.
Sappiamo che Sommariva pagò a Canova 5000 scudi. L’opera, nello studio dell’artista, tuttavia si ruppe per un cedimento della struttura che la sosteneva, nel 1805. Il Sommariva chiese perciò uno “sconto” sul pagamento effettuato, a cui Canova rispose: “Canova non ribassa i prezzi, farà un’altra statua”.
Tra le statue di Canova di cui conosciamo il costo vi è poi un’altra opera commissionata per riempire gli spazi lasciati dalle spoliazioni francesi in Vaticano, il Pugilatore Creugante. Il marmo fu acquistato infatti da papa Pio VII per 2500 zecchini.
Scudo romano in argento coniato nel 1780 a nome di papa Pio VII
Intorno al 1783 Canova ricevette invece l’incarico di realizzare il Monumento funebre a Clemente XIII, scomparso nel 1759. A richiedere l’opera fu il principe Abbondio Rezzonico, nipote del pontefice, e il lavoro fu pagato la bellezza di 22.000 scudi.
Tra le statue di Canova, questa risulta particolarmente importante perché permise al maestro di veder collocata una sua opera in San Pietro. Il monumento fu inaugurato il 6 aprile del 1792 e sappiamo che il giorno seguente Canova si mescolò alla folla, vestito da prete, per conoscerne le reazioni.
L’opera fu molto apprezzata, in particolare la figura di Clemente XIII. Questo lavoro, tuttavia, compromise la salute di Antonio Canova il quale, cesellando la criniera dei leoni, lavorò con il trapano che premeva sulle costole, compromettendole gravemente.
Zecchino romano del 1761 battuto a nome di papa Clemente XIII Rezzonico
A Canova venne anche assegnato l’incarico di realizzare il Monumento funebre a Clemente XIV Ganganelli. La commissione arrivò nel 1783 da Carlo Giorgi, facoltoso mercante che aveva ottenuto vari benefici dal pontefice e alla fine Canova ne ricavò ben 10.000 scudi, più altri 1000 di “gratifica”. L’opera, terminata nel 1787 e collocata nella Basilica dei Santi XII Apostoli a Roma, riscosse plausi soprattutto per il gesto della mano del pontefice.
Altre statue di Canova furono pagate “a peso d’oro” e ne conosciamo il prezzo: il gruppo dell’Ercole e Lica, commissionato dal banchiere Giovanni Torlonia, venne venduto per ben 18.000 scudi romani mentre le due versioni di Psiche, quella oggi è al museo di Brema e quella destinata a Ince Blundell, vennero vendute per 700 zecchini ognuna.
Zecchino papale dell’anno 1772 coniato a nome di Clemente XIV Ganganelli
Curiosa storia, quella della Psiche di Brema, dato che una volta terminata nel 1794 e destinata in dono all’ambasciatore veneto Gerolamo Zulian, alla morte di questi passò agli eredi che la riconsegnarono a Canova il quale, a sua volta, la vendette per 700 zecchini a tale Giuseppe Mangilli. Quei denari sarebbero lievitati fino a 3000 zecchini nel momento in cui Mangilli, era il 1807, cedette l’opera a Napoleone.
Chili e chili di monete d’oro e d’argento, dunque, affluirono nelle casse del maestro di Possagno e le statue di Canova, da allora in poi, non hanno fatto che aumentare il loro prezzo. Tuttavia, al di là di quanto pagherebbe oggi qualche miliardario, per accaparrarsele, il loro valore era e rimane inestimabile in quanto capolavori d’arte, segni eterni di un’epoca irripetibile e di un talento altrettanto unico.