Lo scrisse il “fante del Piave” e divenne motto su una moneta da 20 lire: “Meglio vivere un giorno da leone…”
a cura della redazione | MEGLIO VIVERE UN GIORNO DA LEONE CHE CENTO ANNI DAPECORA è il motto che si legge sulle 20 lire in argento del 1928, coniate dalla Regia Zecca di Roma e celebrative del primo decennale della vittoria nella guerra 1915-1918, nonché sulla prova in oro delle 20 lire e sulla prova in argento della medesima moneta.
L’iscrizione è su sette righe, accanto al fascio con testa leonina tra scure e verghe (20 lire), mentre è su sei righe sulle prove. Al dritto campeggia il profilo con elmetto del “re soldato” Vittorio Emanuele III, con le stellette ben in vista sul collo dell’uniforme e l’iscrizione VITT . EM . III . RE.
La moneta è nota anche come “Cappellone”, pesa 25 grammi d’argento a titolo 600 millesimi per 35,5 millimetri di diametro, ha il bordo rigato ed ebbe una tiratura di ben 3.536,250 esemplari.
Le caratteristiche dell’emissione si trovano definite negli articoli del Regio decreto n. 1031 promulgato il 24 maggio 1928, ricorrenza dell’entrata in guerra; la modellazione di drittoe rovescio venne affidata a Giuseppe Romagnoli e l’incisione dei conii all’indiscussa abilità di Attilio Silvio Motti.
Un “Cappellone” per propaganda
Appare evidente come, nel decennale della Vittoria, il governo di Mussolini abbia sfruttato questa moneta – il contingente, per l’epoca, fu altissimo – come veicolo di propaganda imponendo, ad esempio, la doppia data in numeri romani (MCMXXVII e A. VI) a sottolineare l’ormai consolidata “era fascista”.
E ancora, il solo nome ITALIA (e non REGNO D’ITALIA), quell’enorme fascio con protome leonina al rovescio, così evidente nella sua forza simbolica anche a confronto del ritratto regio, posto sì al dritto ma già “agé“, vuoi nei tratti vuoi nell’uniforme e nell’elmetto tipo Adrian che facevano pensare già ad un passato lontano.
Tornando al motto oggetto di queste righe, notiamo come sulla prova in argento, sulle prove di punzone sempre in argento e su quella in oro (in realtà monete campione omaggiate al sovrano, ai marescialli d’Italia e a poche altre personalità) si legge la variante È MEGLIO VIVERE UN GIORNO DA LEONE CHE CENTO ANNI DA PECORA.
Dopo Caporetto, il Regio Esercito si risolleva
Un motto – quello inciso sulle 20 lire del 1928 – divenuto proverbiale e che riprende l’iscrizione – attribuita all’ignoto “fante del Piave” – che era ancora leggibile, insieme all’altra “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!”, sui ruderi del paese di Fagarè della Battaglia, in provincia di Treviso, quando il 24 maggio 1920 vi si inaugurò il monumento ai caduti nell’eroica resistenza sul Piave dopo la rotta di Caporetto.
A chi dubitava della autenticità dell’iscrizione, il capitano Antonio Fazio testimoniò il 2 luglio 1926 che a scriverla era stato il capitano Vincenzo Marchese, in forza all’11° Battaglione d’Assalto, caduto pochi giorni dopo la battaglia del Piave.
Dalle trincee alla saggezza partenopea… o viceversa?
Un proverbio napoletano, non molto dissimile ma meno solenne, recita: “Meglio toro due anni che bove cento anni” ed è citato niente meno che da Benedetto Croce nella sua Storia del Regno di Napoli.
La moneta da 20 lire “Cappellone” – quale che sia l’origine del suo motto – ebbe in seguito un destino non proprio brillante, dal momento che venne prima ampiamente falsificata e poi “storpiata”, in tutti i metalli e le misure possibili, con o senza segno di valore, con il profilo elmato del duce al posto di quello del re.