Gli scudi del 1826 e 1827 e alcune medaglie di Leone XII recano il simbolo dell’occhio divino, da secoli “conteso” fra massoneria e Chiesa
a cura della redazione | Il conte Annibale Sermattei della Genga nacque il 22 agosto 1760 presso Genga (Ancona) nel castello ove risiedeva la famiglia, marchigiana di origine. Educato nel Seminario dell’Accademia ecclesiastica di Roma, venne ordinato sacerdote nel 1783. La sua carriera fu rapida: Pio VI lo nominò vescovo di Tiro nel 1784 e quindi fu Nunzio apostolico a Lucerna e a Colonia, inviato alla Dieta germanica del 1805 e nel 1808 fu a Parigi.
All’epoca della Restaurazione post-napoleonica ritornò nella capitale francese a portare il messaggio augurale del pontefice Pio VII al nuovo sovrano, Luigi XVIII. Nel Concistoro di Roma del 1816 venne nominato cardinale soprintendente della Basilica di santa Maria Maggiore e nel 1820 cardinale vicario.
Durante questo periodo entrò in conflitto con il cardinale Ettore Consalvi propugnatore di una politica moderatamente progressista, alla quale era decisamente contrario. Alla morte di Pio VII, nel 1823, venne eletto papa col nome di Leone XII dopo un tormentato conclave ostile al Consalvi. Come primo provvedimento destituì il Consalvi da segretario di Stato nominando al suo posto il vecchio e retrivo Della Somaglia.
Nel 1824 Leone XII promulgò l’enciclica Ubi primum dal contenuto programmatico: “Restaurazione della fede religiosa, lotta all’indifferentismo in materia di religione; condanna del liberalismo e delle sette in particolare Carboneria e Massoneria”. Con l’altra enciclica, Quo graviora, la sua tendenza conservatrice fu rivolta a riordinare lo Stato e a riformare l’amministrazione, escludendone i laici e ridando potere alle congregazioni. Fu attento nel contenere le spese e ridusse tasse e gabelle.
La sua paura delle novità gli fece benedire il ritorno dell’assolutismo in Spagna e il suo atteggiamento antiliberale lo portò a reprimere le sette, dapprima in Romagna, per mezzo del già menzionato Rivarola prima e dell’Invernizzi poi, e a Roma con la condanna dei carbonari Angelo Targhini e Carlo Montanari, vicenda narrata sul grande schermo da Luigi Magni nel 1969 (Nell’anno del Signore con Nino Manfredi).
Nel 1825, Leone XII indisse il Giubileo nonostante molte cassandre presagissero attentati e cospirazioni e tolse dall’Indice le opere di Galileo Galilei; contemporaneamente, restituì ai Gesuiti, già riabilitati da Pio VII, il Collegio Romano. Si spense a Roma il 10 Febbraio 1829.
Ma veniamo ora all’origine delle sette in Italia ed in particolare della Massoneria. Nel Settecento essa veniva definita “un composto di cittadini i più benemeriti della religione e dello Stato, uniti in benefizio dell’umanità col più stretto legame di virtuosa amicizia in una sola e ben regolata famiglia”. Le vicende posteriori e le affinità culturali la avvicinarono invece agli ideali della Francia rivoluzionaria imprimendole un carattere marcatamente politico e anticlericale. La società “dei Liberi Muratori o Frammassoni” si diffuse così anche in tutta Italia.
Proibita ovunque, anche in conseguenza delle condanne papali (vedi quella di Leone XII) e della repressione, non cessò di operare, divenendo oggetto di ironia da parte dei moderati. Scarsamente operosa durante la Restaurazione, non scomparve mai completamente.
L’argomentazione secondo cui essa non prese parte alle lotte del Risorgimento nazionale, in particolare, deve essere in parte confutata. Esaminando ad esempio i processi politici dello Stato Pontificio si troverà come i carbonari giudicati dalla Santa Consulta siano quasi sempre adepti alla massoneria e accomunati ad essa dai giudici dei tribunali ecclesiastici.
Ma occupiamoci ora di argomenti numismatici per un’osservazione a dir poco stupefacente che riguarda la monetazione di Leone XII, il pontefice di cui si è appena parlato. Durante il suo pontificato erano attive due zecche, Roma e Bologna.
Nel 1825 e nel 1826 vennero coniati scudi romani con le seguenti caratteristiche: Ag, mm 40, g 26,50 circa; D/ LEO XII PON MAX ANNO II (o ANNO III), busto a sinistra del pontefice con berrettino, mozzetta e stola ricamata con lo stemma della Genga e una croce radiante; sotto il busto G. CERBARA F. in caratteri minuti; R/ AVXILIVM DE SANCTO, la Chiesa, su nubi velata e diademata con nimbo di nove grossi raggi o senza, tiene la sinistra su una grande croce mentre con la destra, si volge verso un tempietto; nel mezzo una tiara. In alto l’occhio di Dio entro un triangolo radiante con raggi minuti o molto grandi; all’esergo la data: 1825 o 1826, il segno di zecca R (per Roma) o B (per Bologna) e CERBARA(l’incisore). I coni per Bologna presentano qualche differenza.
E’ la prima ed unica volta che su monete papali compare l’Occhio di Dio, noto simbolo massonico (oltre che religioso), anziché la colomba dello Spirito Santo. Questo simbolo, con un significato soltanto religioso, è invece frequente nella medaglistica, anche papale.
Ora sappiamo che i papi, noblesse oblige, non hanno contatto diretto col denaro, considerato “lo sterco del diavolo” ma è altrettanto vero che, se qualche ministro dei suoi Stati, avesse sospettato una tresca dell’incisore con la massoneria, Leone XII, sempre pronto a esorcizzare quello che poteva emanare “odore zolfino”, avrebbe come minimo licenziato e magari fatto incarcerare il Cerbara nonché ordinato il ritiro di tutti gli scudi incriminati. Al limite, un simile affronto – oltre a far perdere la testa ai disattenti censori – avrebbe potuto, fuor di metafora, farla perdere anche all’incisore e agli eventuali suoi ispiratori!
Ma, a quanto pare, questo tiro burlone – se di ciò si è trattato, non lo possiamo certo affermare – deve essere passato inosservato, con buona pace di tutti. D’altra parte, per non voler vedere la cospirazione a tutti i costi, si potrebbe pensare che l’uso dell’Occhio di Dio sia stato autorizzato proprio con lo scopo di ricondurre in ambito religioso un simbolo di cui si erano appropriati coloro che, all’epoca, erano considerati tra i “nemici” della Chiesa di Roma, ossia i membri della massoneria. Ciò sarebbe provato anche dalla presenza dello stesso simbolo su alcune medaglie pontificie del periodo, in primo luogo quella coniata per l’elezione al pontificato dello stesso Leone XII.
Per quanto riguarda il buon Giuseppe Cerbara, sappiamo di lui che, nato il 15 luglio 1770 a Roma, fu incisore di gemme presso la bottega del padre Giovanni Battista e che si dedicò ben presto all’incisione su acciaio riportando tale considerazione per i suoi lavori da essere nominato, nel 1812, membro dell’Accademia di san Luca. La sua produzione numismatica e medaglistica è cospicua e di grande livello. Lavorò infatti per più di 25 anni alla zecca di Roma per i papi Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX. Morì nel 1856.