Nel 1731 il doge Alvise Mocenigo III ricorda nell’osella, la moneta donativo dell’anno, i cento anni dal voto di edificazione di Santa Maria della Salute
di Antonio Castellani | Nel passato, lo sappiamo, pestilenze ed epidemie erano eventi ricorrenti e che, un po’ ovunque, falcidiavano la popolazione mettendo in ginocchio interi paesi. È quanto accadde anche a Venezia nel 1630, quando la città fu colpita da una terribile epidemia di peste, portata in Italia dalle truppe spagnole: dal luglio 1630 al novembre 1631 morirono oltre 40.000 persone.
Stanti il livello della scienza medica, le precarie condizioni di salute e la quasi impossibilità di applicare efficaci strumenti di profilassi, per implorare la fine del flagello, il Senato della Serenissima fece voto di erigere una chiesa, alla bocca orientale del “Canalazzo”, dedicata alla Madonna della Salute, la cui prima pietra fu posta il 1° aprile 1630.
Un secolo più tardi, per ricordare il centenario del voto e un secolo dalla fine della terribile epidemia, il doge Alvise Mocenigo III decise di far imprimere le oselle da 6, 5 4 e 3 zecchini d’oro, e quella in argento, ricordando proprio quel voto di un secolo prima – ormai “sciolto” con la consacrazione di Santa Maria della Salute, avvenuta nel 1687 – dedicandone il rovescio ad una rielaborazione dell’icona che si venera nella basilica.
Si tratta di una Madonna con il Bimbo tra stelle, nubi e cherubini su luna falcata con serpente, e con sopra lo Spirito Santo in forma di colomba raggiante.
L’effigie della Vergine si ispira a quella che un tempo era venerata nella cattedrale di Candia e che venne sistemata – dopo la perdita di questa isola da parte dei Veneziani, altro “boccone amaro” del Seicento per la Repubblica – proprio sull’altare maggiore della basilica di Santa Maria della Salute.
AB IPSA SALVS, recita la legenda latina che circonda la bella raffigurazione sacra sull’osella e che significa “Da lei la salvezza”, in allusione alla Madonna che avrebbe interceduto affinché la misericordia divina allontanasse il flagello della peste dalla Laguna.
A proposito della venerata icona, si legge nel sito della basilica: “Da più di tre secoli i pellegrini che giungono alla Basilica della Salute venerano l’immagine della Madonna posta al centro dell’altare maggiore. Essa è giunta dall’isola di Candia il 26 febbraio 1670 portata dal doge Morosini. Il 21 novembre dello stesso anno essa venne collocata nelle nicchia dell’altare.
I candiotti la chiamavano ‘Madonna di san Tito’, perché ritenevano che fosse stata dipinta da san Luca che poi l’avrebbe donata al loro primo vescovo. Veniva chiamata anche ‘Mesopanditissa’ che significa ‘mediatrice di pace’ perché dinanzi alla sua immagine i veneziani e i candiotti, nel 1264, avevano posti fine alla guerra che li aveva visti coinvolti per un sessantennio.
Il suo appellativo forse deriva anche dal giorno in cui essa veniva festeggiata, giorno che cadeva a metà tra il Natale e la Presentazione del Signore, chiamata dai greci festa dell’Ipapante cioè ‘festa dell’incontro con Cristo’. Con Maria, la ‘Ipapantissa’, ci si incontrava prima, per essere poi guidati da lei a incontrarsi con Cristo”.