Quando amore, eros e potere si intrecciano, le regine e le cortigiane segnano la storia e la numismatica
di Luisa Valle (seconda parte) | Abbiamo parlato, nella prima parte di questo approfondimento, di come la storia delle cortigiane si perda nella notte dei tempi e di come questa storia – al pari di quella di regine e altri personaggi femminili – può essere letta in molti modi diversi, anche attraverso le monete.
Abbiamo conosciuto le cortigiane sacre di Ishtar, Astarte e Afrodite, le etére ateniesi e la “lupa” capitolina, Messalina e le auguste, la prostituzione nell’Impero Romano. Vedremo, ora, cosa accade a partire dall’introduzione di un elemento religioso culturale dall’effetto dirompente quale fu la dottrina cristiana e come monete e medaglie si legheranno per sempre al “carnal potere della seduzione”.
Il Cristianesimo
Con l’affermarsi del Cristianesimo come religione di Stato comincia la lotta dei Padri della Chiesa per la purificazione del corpo e la sua mortificazione al fine di elevare l’anima e raggiungere la salvezza.
Eliminare i peccati della carne significava astenersi da qualsiasi forma di piacere sessuale poiché, spiegavano sant’Ambrogio e san Girolamo, il piacere sessuale è peccato comunque, anche all’interno del matrimonio. La donna deve essere una riproduttrice fertile, una buona madre e una fedele moglie, ma la passione non deve esistere nella relazione col marito.
Secondo i grandi teologi il sesso doveva scomparire dalla vita umana, ma andò davvero così? Oggi sappiamo che era una battaglia persa in partenza. Il mondo romano così lascivo e sfrenato non poté essere cancellato con un colpo di spugna, e la prostituzione, seppur condannata, continuò a sopravvivere. Tanto che, in forme sempre diverse eppure simili, è arrivata fino a noi.
Le prostitute dei primi secoli del medioevo si ritrovarono a girovagare insieme alle bande di derelitti che percorrevano ciò che rimaneva delle strade romane, al seguito dei mercanti e degli eserciti, là dove era possibile trovare un po’ di denaro.
Dall’XI secolo la chiesa comincia a compiere uno sforzo di legittimazione del meretricio, che era stato impossibile estirpare. La meretrice diventa una lavoratrice che, seppur considerata alla stregua degli strati sociali più infimi, come i lebbrosi e i mendicanti, praticava un’attività necessaria.
Con la rinascita delle città ricominciano a comparire i bordelli, e la prostituzione torna ad articolarsi in vari livelli: occasionale, itinerante e istituzionalizzata. La prostituzione occasionale era praticata ai livelli più bassi della società da serve, contadine e cameriere che si vendevano in proprio o sotto la protezione di un uomo o del marito.
Queste donne potevano dedicarsi a tale attività in occasione di feste o nei giorni di mercato, quando le città si riempivano di forestieri con un po’ di soldi. La prostituzione itinerante invece era praticata da meretrici in proprio, che seguivano gli eserciti, i mercanti o le compagnie teatrali, spacciandosi per “attrici-girovaghe” che si vendevano di città in città, per solo due soldi.
Dal XIV secolo cominciò il processo di istituzionalizzazione del meretricio attraverso la gestione diretta dei bordelli da parte delle municipalità. Il termine “bordello” deriva dal francese bordeau, che stava ad indicare le case al bordo dell’acqua, come i mulini, dove gli amanti si davano gli appuntamenti galanti.
Essi erano considerati delle case chiuse, ma in realtà non lo erano affatto, poiché l’adescamento avveniva per le strade e in tutti i luoghi pubblici. Nelle città la prostituzione aveva un ruolo importantissimo: per i ragazzi ancora celibi era una forma di apprendistato mentre per gli uomini sposati uno sfogo nei giorni proibiti dalle regole religiose.
I rapporti erano infatti interdetti tutti i sabati, le domeniche, i giovedì e i venerdì, nonché nei periodi di quaranta giorni prima di Pasqua e di Natale e dopo la Pentecoste. Oltre a questi si consideravano proibiti i giorni in cui si celebravano gli apostoli e le principali festività religiose.
Naturalmente non si potevano avere rapporti nei giorni del ciclo, della gravidanza e dell’allattamento. A conti fatti i giorni dell’anno rimasti per poter avere dei normali rapporti sessuali variavano da ventuno a quarantaquattro. Per fortuna che il sabato e la domenica i bordelli erano aperti!
Avere un rapporto sessuale con una prostituta nei giorni proibiti poi era un peccato minore che non farlo con la propria moglie: tutti gli ostacoli si potevano aggirare.
Un anonimo del XIII secolo ci racconta le parole di una donna di piacere: “Venditore, dammi il rossetto per fare rosse le mie gote, sì che io possa invitare i giovani a raccogliere l’Amore! Uomini galanti, amate le donne amabili! L’amore vi nobilita e vi dà grande onore. Salve, mondo pieno di gioie! Sarò sempre a te soggetto attraverso l’amore!”.
Così si arriva al Rinascimento, agli inizi del XV secolo, quando inizia l’epoca delle grandi cortigiane, bellissime donne che sapevano suonare l’arpa, ballare, cantare e recitare, ma soprattutto sapevano che cos’era il potere e come fare per ottenerlo.
Alla corte dei romani pontefici
Nella Roma del Rinascimento tutto ruotava intorno al papa, al suo immenso potere, alle sue ricchezze e alla sua corte. Il personaggio più famoso in quanto a vizi, intrighi e lussuria fu senza dubbio Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia.
Divenuto papa nel 1492 comprando i voti dei cardinali, era già noto ai suoi contemporanei per essere un uomo dedito all’adulterio e alla fornicazione. Più che della propria missione spirituale, Alessandro VI si preoccupò di accontentare i propri piaceri secolari.
Egli non nascose mai le innumerevoli amanti né si limitò nell’organizzazione di feste e banchetti, come quella passata alla storia come “Il balletto delle noci”. Giovanni Burcardo, maestro delle cerimonie della cappella papale, racconta che il 30 ottobre 1501 Alessandro VI diede una festa in onore del figlio Cesare, invitando 50 signore “della specie nota come cortigiane che non sono persone ordinarie”.
Secondo il racconto “danzarono con la corte e quanti erano presenti. Al principio della festa esse indossavano vesti, poi si spogliarono nude. Finito il banchetto, i candelieri accesi che erano sulla tavola furono messi sul pavimento, sul quale si gettarono delle noci che le cortigiane nude dovevano raccogliere carponi sul pavimento tra le candele.
Il papa, Cesare e sua sorella Lucrezia stavano a guardare. Infine esposta una profusione di mantelli di seta, di maniche, spille preziose ed altre cose, esse furono promesse a coloro che avessero rapporto col maggior numero di cortigiane. Ciò avvenne in pubblico”.
Così era la vita alla corte di Alessandro VI, dove si spendevano per le avventure con una cortigiana fino a 3.500 zecchini!
Di quel periodo ci sono giunte le avventure di alcune grandi donne, prima fra tutte la bellissima figlia di Rodrigo Borgia, Lucrezia. Bella e affascinante, amava ballare e divertirsi alle feste che si organizzavano in Vaticano. Aveva 12 anni quando il padre divenne papa, e l’anno successivo, nel 1493, fu data in sposa a Giovanni Sforza. Alla morte di questo sposò Alfonso d’Aragona ed infine Alfonso d’Este.
Lucrezia è passata alla storia come una donna libertina, che avvelenò i suoi mariti quando questi si opponevano al potere della sua famiglia. Forse fu così, o forse fu solo coinvolta da un padre ed un fratello senza scrupoli che eliminavano senza complimenti tutti i loro avversari politici. Vittima o carnefice, in ogni caso fu schiava dei giochi di forza e di potere della sua epoca.
Ma non ci furono soltanto intrighi e lussuria: alla corte di Alessandro VI si respirava anche quella ventata di novità e creatività che fu il rinascimento italiano. Molte cortigiane trovarono qui la possibilità di dare spazio alla loro fantasia dedicandosi alla letteratura, alla poesia, alla pittura.
Poetessa acuta e colta fu Tullia d’Aragona, molti poeti si innamorarono di lei e ne cantarono la raffinatezza e l’eleganza, fino a paragonare il suo fascino a quello di Cleopatra.
Anche Imperia Cognata, il cui vero nome era Lucrezia, fu, oltre che una cortigiana fra le più adulate della città per la sua bellezza, una poetessa colta e dotata. Imperia la Divina fu popolare ed amatissima e la sua bellezza fu resa immortale da Raffaello, che la ritrasse nei suoi quadri per i quali posava come modella.
Ma la musa ispiratrice del grande pittore fu un’altra cortigiana, Margherita Luti, chiamata La Fornarina perché figlia di un fornaio senese.
Il suo viso è quello della più celebre Madonna di Raffaello, chiamata Sistina, e anche quello della sublime Madonna della seggiola.
Fu davvero un grande amore quello che Margherita visse con Raffaello, che la dipinse a seno nudo in una tela considerata uno dei primi e un po’ scandalosi ritratti dedicati da un pittore alla sua modella-amante. Ritraendo i suoi occhi scuri e profondi, e il suo viso timido dal sorriso dolce e un po’ imbarazzato lui le fece il più grande di tutti i doni, l’immortalità.
Le bellezze della Serenissima
“Le putte veneziane son un tesoro che no se acquista così facilmente, perché le son onorate come l’oro […] Roma vanta per gloria una Lucrezia, chi vol prove d’onor venga a Venezia!”.
Goldoni non nasconde l’orgoglio che da veneziano prova nel raccontare le gesta delle cortigiane sue concittadine, che dal Rinascimento in poi furono vanto e gloria della città, di cui, senza dubbio, costituirono una delle principali e irresistibili attrattive.
All’inizio del 1500 Venezia è una città cosmopolita con un gran passaggio di forestieri. Per attrarre visitatori e trattenere i mercanti e gli uomini d’affari di passaggio in città, la Serenissima si era accaparrata un gran numero di reliquie preziose, tanto da riempire le sue chiese.
Ma, si sa, né i pellegrini, né i mercanti, né tanto meno gli uomini d’affari vivevano di solo spirito, così ci si era attrezzati per prestare soccorso ad un altro tipo di bisogno, un po’ meno elevato ma certo molto, molto redditizio. Le prostitute veneziane erano dette mamole, ed erano divise in due categorie: quelle di basso rango, che vivevano in case chiuse un po’ malsane frequentate dal popolino, e le cortigiane, donne libere, ricche e intelligenti.
Esse si riconoscevano dal colore dei capelli, tinti del famoso rosso Tiziano, e dai vestiti sfarzosi ed elegantissimi. Portavano soprabiti con pellicce di scoiattolo, e poi, ci dicono le cronache del tempo “sottane di raso e ormisino lunghe fino in terra, zimarre di velluto tutte ornate di bottoni d’oro, con busti scollati che lasciano vedere tutto il petto”. Portavano preziosi monili e si acconciavano “con cordelline di seta entro una rete d’oro”.
Le mamole esercitavano in un quartiere vicino a Rialto chiamato “il Castelletto”, e un po’ più in là, “alle Carampane”, da cui l’usanza di chiamare “vecchia carampana”, la prostituta un po’ datata. Esse erano obbligate a risiedere in questa zona per questioni di ordine pubblico. Il quartiere delle meretrici si estendeva fino al “Ponte delle tette”, che univa il sestiere Santa Croce con quello di San Polo.
Da questo ponte si affacciavano le signorine a seno nudo, che attiravano i clienti mostrando tutte le loro grazie. Si narra che potessero tranquillamente gironzolare senza veli grazie ad un’ordinanza del XV secolo, che le incoraggiava a mostrarsi per attirare gli uomini e distoglierli “dal peccare contro natura”.
Anche Venezia immortalò le sue splendide cortigiane in dipinti sublimi: nude, maliziose, opulente e voluttuose esse ci guardano dai dipinti di Giorgione, Tintoretto, Veronese, Tiziano Vecellio. Ah! Venezia lasciva, dove nemmeno il clero si scandalizzava! “Venezia puttana”, come la chiamavano i forestieri del tempo. Sicuramente, come scrisse Alain Buisine, professore dell’Università di Lille, “la Serenissima è dal lato delle donne!”.
Ancora sulle “audaci venexiane”
Una famosissima commedia di autore ignoto del Cinquecento, La venexiana, ci illustra senza pudore e senza pregiudizi la vita di due cortigiane, appartenenti ad una élite privilegiata, il ceto borghese ormai lontano dalle difficoltà economiche di un tempo, che può permettersi di passare la sua esistenza nell’esercizio della sessualità.
La vedova Angela e la nubile Valeria, si contendono l’amore del giovane forestiero Julio, grazie all’aiuto delle due serve e del facchino Bernardo. Sono personaggi autentici e veri, che parlano il linguaggio del tempo senza filtri e coperture. Bernardo ringrazia il Salvatore per avergli offerto l’occasione di lauti guadagni con il suo mestiere di mezzano: Angela pagherà dieci ducati perché lui le porti Julio in gondola fino a casa, e per il suo silenzio “Mocenighi nuovi ti voglio dare, di zecca!”. E quando Julio si troverà nel letto di Angela, i due amanti si scateneranno in una grande passione!
Dirompente come la Venexiana della commedia si ricorda Veronica Franco, tra le cortigiane del secondo ‘500 sicuramente la più famosa. Fu audace e spregiudicata quando, ad un banchetto in onore del futuro re di Francia Enrico III si presentò nuda su di un enorme piatto da portata, mentre si dimostrò sensibile e colta quando aprì la sua casa ad artisti e letterati, e si cimentò con la poesia.
A quarant’anni, dopo aver subito un processo per stregoneria, cambiò vita e si dedicò alle lettere. Ed anche in questo fu audace, autentica veneziana, che non fa mistero delle sue avventure erotiche.
Con queste parole si descrive: “Così dolce e gustevole divento, quando mi trovo con persona in letto, da cui amata e gradita mi sento, che quel mio piacer vince ogni diletto, sì che quel, che strettissimo parea, nodo de l’altrui amor divien più stretto”.
Uno sguardo Oltremanica: Hampton Court
All’inizio del 1500 anche l’austera e fredda Inghilterra fu scossa da un terremoto di portata vastissima provocato dagli intrighi e dai complotti delle sue cortigiane, magistralmente manovrate da quel grande regista che fu Enrico VIII Tudor.
Il re era sposato con Caterina d’Aragona, per la quale non provava un grande amore, ma una certa insofferenza, aggravata dal fatto che la povera non gli dava un erede maschio. Comunque al palazzo di Hampton, sede della sua corte, non mancavano le distrazioni, e trovare un amore non fu un problema per il re, che si invaghì della giovane e bella Anna Bolena.
Anna però non si accontentava di un rapporto fugace che la relegasse al marginale ruolo di passatempo di lusso: lei voleva la corona di Caterina. Enrico, che di Anna si era veramente innamorato, per il desiderio di sposarla si mise contro la chiesa, che non gli concedeva la possibilità di divorziare dalla moglie.
Alla fine di una lunga lotta con Roma, Enrico VIII ottenne dall’Arcivescovo di Canterbury, di inclinazioni luterane, l’annullamento del matrimonio, la rottura di tutti i vincoli di dipendenza da Roma e l’approvazione dell’Atto di Supremazia, che lo nominava capo supremo della Chiesa d’Inghilterra.
Purtroppo neppure Anna, dopo aver partorito una figlia di nome Elisabetta, riuscì a dare al re un erede maschio, così fu accusata di infedeltà e rinchiusa nella Torre di Londra, condannata alla decapitazione. Si racconta che la testa di Anna cadde nel momento in cui Enrico sposava un’altra cortigiana, Jane Seymour.
Dalla nuova moglie il re ebbe finalmente il tanto desiderato figlio maschio, Edward. La madre morì dopo 15 giorni dal parto, così Enrico organizzò nuove nozze, con Anna di Cleve, che si dimostrò una donna senza grazia e fu presto ripudiata.
Fu allora il turno di Catherine Howard, che ben presto però venne tacciata di infedeltà e giustiziata. Ancora oggi, nel castello di Hampton, ella appare come un fantasma nel lungo corridoio che collega il palazzo alla torre dove fu rinchiusa.
L’ultima delle sei mogli di Enrico VIII fu Catherine Parr, l’unica che seppe comprenderlo ed amarlo veramente.
Il tanto desiderato erede maschio di Enrico, Edward, morì all’età di 15 anni, così, per ironia della sorte, la corona d’Inghilterra toccò ad Elisabetta, la figlia della cortigiana Anna Bolena. Proprio per aver dato alla luce questa figlia femmina Anna era stata accusata di adulterio e messa a morte, e la bambina dichiarata illegittima, imprigionata e poi esiliata.
Ma ci vuole ben altro per fermare una grande donna, ed Elisabetta lo era, come lo era stata Anna: nel 1558, Elisabetta I si prese la corona che le spettava di diritto e salì al trono d’Inghilterra. La prigione e l’esilio l’avevano resa maestra della dissimulazione e del calcolo politico: fu determinata come sua madre, forte e collerica come suo padre.
Con lei il paese conobbe una grande espansione marittima e culturale, sconfisse l’Invincibile armada di Filippo II di Spagna e si preparò alla futura ascesa a grande potenza europea. Non male per la figlia indesiderata di un re e di una umile cortigiana!
Nella spensierata Francia dei Borbone
Se l’Inghilterra, si sa, è un paese serio ed austero, la Francia invece è il paese dell’amore, e mai nella storia questa fama le è venuta meno.
La sua dinastia più celebre, quella dei Borbone, non si risparmiò in quanto a scandali e vizi privati, a cominciare dal suo capostipite, Enrico IV.
Ancora prima di diventare re di Francia, quando era solo principe di Navarra, Enrico ebbe un numero incalcolabile di amanti, cortigiane con le quali non intrattenne che fugaci rapporti.
Anche dopo il matrimonio con Margherita di Valois le cose non cambiarono, anzi, dopo qualche anno i due affiatati sposini, stanchi dei rispettivi eccessi ed infedeltà, chiesero il divorzio alla Santa Sede.
Per convincere gli ispettori del Vaticano della propria ignobile condotta Enrico fece scrivere ad Agrippa d’Aubignè il Divorzio satirico nel quale raccontava, con un’ironia sferzante, tutti i suoi amori presenti e passati, senza trascurare i dettagli più imbarazzanti.
L’autore della biografia di Enrico ci spiega che il re non poteva vivere senza un’amante fissa, così come non poteva fare a meno delle giovanissime cortigiane, delle quali amava cogliere il fiore della verginità. Per la virtù di madamigella d’Entragues Enrico promise alla madre di lei la bellezza di centomila scudi d’oro!
A causa dell’opposizione degli amministratori di corte il prezzo fu contrattato a cinquanta mila scudi e il pagamento dilazionato.
Si racconta che quando Enrico vide davanti a sé il forziere pieno di monete sonanti esclamò: “Per Dio, ecco una bella notte pagata bene!”.
Anche la regina Margherita offrì agli ispettori inviati dal papa materiale interessante a favore del divorzio: nelle sue Memorie raccontò di come all’età di undici anni fosse stata avviata al mestiere di cortigiana “quando i signori d’Entragues e Charins ebbero le primizie del suo calore”.
Da allora la donna racconta di non aver più avuto freni in fatto di uomini, anche dopo esser divenuta la regina di Francia. Il Vaticano non poté che invalidare tale peccaminosa unione ponendo fine ai continui scandali, ma non era finita: nel 1600 Enrico si lasciò trascinare dal calcolo politico e sposò Maria de’ Medici, nipote del granduca di Toscana.
La donna, che giunse in Francia all’età di 27 anni, si adeguò subito ai costumi della sua nuova patria, e si adattò così bene alla vita di corte che il marito, scandalizzato per la sua condotta immorale, minacciò più volte di rispedirla a Firenze.
Maria però aveva dato alla Francia un erede, Luigi XIII, ed essere la madre del delfino la rendeva intoccabile. Alla morte di Enrico ella assunse la reggenza in nome del figlio ancora minorenne, e governò il paese insieme al suo amante: l’abile, ambizioso ed astutissimo cardinale Richelieu.
Se di Luigi XIII si diceva fosse un uomo freddo e impotente, per tutt’altri motivi passò alla storia il suo successore, Luigi XIV. Il re Sole cominciò la sua carriera amorosa giovanissimo.
La sua prima passione fu Enrichetta d’Inghilterra, moglie di suo fratello, il duca d’Angiò, poi fu la volta di Luisa de La Vallière, che all’età di 17 anni divenne la sua favorita, ovvero una regale prostituta, e poi la marchesa di Navailles, per la quale si calò da un camino che giungeva direttamente nella sua camera da letto.
Ma il giovane Luigi non disdegnava neppure le signore più mature, come la marchesa di Montespan, il cui povero marito fu rinchiuso alla Bastiglia, affinché non fosse un ostacolo per i due amanti. Infine la più famosa, Francesca d’Aubignè, marchesa di Maintenon, che dopo un passato di libertina si convertì ad una vita casta e nel 1684 divenne la moglie morganatica del re, dopo la morte della prima consorte Maria Teresa d’Asburgo.
Luigi XIV per la sua corte fece costruire addirittura un nuovo palazzo, la magnifica reggia di Versailles. Qui tutto era possibile, ogni follia ed ogni lussuria: lo sperimentò Cristina di Svezia, che, ospite alla corte di Francia, visse una travolgente storia d’amore con Ninon de Lenclos, una cortigiana che si dedicava alla poesia ed era conosciuta come la moderna Saffo, per la sua raffinatezza e per i suoi amori femminili.
Delle meraviglie di Versailles approfittò naturalmente Luigi XV, che amò perdutamente una bellissima cortigiana, la signora d’Etiolles. Con lei si intratteneva nel Parco de’ Cervi, ed il suo gioco prediletto era portarla sul posto senza che lei sapesse a quale amante era destinata. L’istrionica signora, premiata dall’amore del re, diverrà la marchesa di Pompadour.
Le cortigiane francesi si intrattenevano anche al di fuori delle mura dei palazzi. Spesso non disdegnavano recarsi in un bordello di lusso, dove lauti guadagni erano assicurati. Un uomo facoltoso poteva pagare fino a dodici scudi per essere ricevuto da una signora del bel mondo, una cifra consistente. Se poi aveva qualche piccola perversione da soddisfare, il prezzo saliva: chi amava farsi frustare per risvegliare i sensi un po’ annebbiati doveva pagare uno scudo extra per le verghe!
Nel 1789 la Rivoluzione travolse questo mondo incantato e intoccabile e spazzò via le sue frivolezze, i suoi ardori, le sue follie. I nobili di Francia si trovarono improvvisamente ad essere distolti dai loro passatempi e divertimenti e catapultati, per la prima volta dopo molti anni, in una realtà da incubo.
Niente era più garantito ed inviolabile: ora si doveva lottare per sopravvivere, per far valere i propri diritti,per mantenere le proprie terre, per esigere le proprie rendite e per non finire al patibolo. Niente veniva dato più per scontato, nemmeno l’origine divina della monarchia: Luigi XVI, dopo essere stato dichiarato re per volontà della nazione, dovette difendersi dall’accusa di tradimento e finì sulla ghigliottina.
Sua moglie Maria Antonietta, regina di tutte le cortigiane, lo seguì a breve, travolta dal disprezzo dei francesi, capro espiatorio di tutte le loro miserie e disgrazie.
E, per concludere, le sorelle di Napoleone
Le società e i loro costumi cambiano, ma certe cose rimangono, magari latenti, fino a riesplodere in tutta la loro forza.
Questo successe a Napoleone, virtuosissimo condottiero figlio della Rivoluzione e dell’austerità che tuttavia, all’apice del potere, volle circondarsi solo delle persone più fidate, quelle della sua famiglia, per non correre il rischio di essere deluso e tradito.
Purtroppo, però, i suoi fratelli non avevano nemmeno la millesima parte delle sue qualità, e le sue sorelle non brillarono certo per virtù.
Paolina Borghese, bellissima e seducente, cominciò ad amoreggiare all’età di 14 anni e la lista delle sue conquiste fu infinita. Il suo amante più celebre, lo scultore Antonio Canova, la immortalò in tutto il suo splendore in un’opera unica che ci ha tramandato per intero il suo fascino magnetico. Carolina, sposa di Murat, fu l’amante del giovane Flahaut, figlio naturale di Talleyrand. La sua passione fu però il gioco delle carte, per il quale dissipò più di una fortuna.
La maggiore delle sorelle, Elisa, fu quella forse più simile al fratello per carattere e temperamento, ed infatti si distinse nel governo della Toscana al posto del marito, l’incapace Felice Baciocchi.
L’autore della Famille Bonaparte descrisse Elisa addirittura come una Messalina, che raccolse alla sua corte nel fastoso palazzo del centro di Lucca “donne corrotte e cortigiane sfrontate, perché la signora, aveva tutti i gusti”.
Essa rivaleggiò con la sorella Paolina in quanto ad amanti e fugaci passioni, ma fu un’amministratrice intelligente, una condottiera coraggiosa, ed infine, capace ed illuminata sovrana. Ed è forse il complimento migliore che si può fare ad una signora!