Impenitente libertino, sommerso dai debiti, ci ha lasciato alcune belle e rare monete dai retroscena ionteressanti
di Luciano Giannoni | Il principe di Piombino, Giovan Battista Ludovisi (1665-1699) è stato, senza ombra di dubbio, un personaggio non comune, e non solo per il suo tempo; donnaiolo, gran giocatore d’azzardo, dilapidatore di patrimoni.
Basti pensare che dopo aver venduto una serie di feudi ereditati dal padre e dalle tre mogli del padre (Isabella Gesualdo di Venosa, Polissena Mendoza Appiani Aragona e Costanza Pamphilij, madre di Giovan Battista efiglia della famosa Olimpia Maidalchini-Pamphilij detta la “Pimpaccia”) continuò ad essere indebitato fino ai proverbiali capelli ed oltre.
Alcuni dati: nel 1670, per tacitare i creditori, vende il Ducato di Zagarolo per 885.000 ducati, sei anni dopo vende il feudo di Frigento ed i feudi di Conza, Calitri e Teora, nell’Avellinese, per un totale di 58.200 ducati.
Quindi nel 1682 vende il feudo di Montefusco per 45.000 ducati mentre nel 1694 aveva pendenti presso la Collaterale di Napoli cause per debiti assommanti a un milione di ducati! Da tener presente che per una cifra simile il padre Niccolò aveva acquistato il principato di Piombino. Non a caso un cronista del suo tempo, disse di lui che “aveva avuto assai poco cervello”!
È naturale che avendo a disposizione una zecca – quella del Principato di Piombino – cercasse di approfittarne, specie nell’emissione incontrollatadi moneta “spicciola” come quattrini, duetti, soldi e crazie.
Va da sé che questa politica monetaria dissennata faceva il gioco dei Granduchi di Toscana che fin dalla sua creazione avevano tentato di annettersi il piccolo ma strategicamente importante Stato piombinese e le sue ricche miniere di ferro elbane; quindi, buone o cattive che fossero (ma più spesso cattive), regolarmente bandivano dal Granducato le monete “nere” piombinesi con conseguenze drammatiche sull’economia del Principato.
Essendo questo una enclave nel territorio di Firenze, infatti, è naturale che i traffici commerciali ed economici con i quali sopravviveva la popolazione passassero tutti attraverso i rapporti con il Granducato.
Tanto per citare un esempio, i lavoratori agricoli stagionali provenienti principalmente dai territori confinanti accettavano in pagamento solo valuta “pregiata”, così come i fornitori dei prodotti alimentari, dalla carne alle aringhe, dai fagioli alla farina.
Insomma il principe Giovan Battista Ludovisi, si è consegnato alla Storia, appunto, per aver avuto “assai poco cervello”.
Tuttavia, esaminandolo da un punto di vista strettamente numismatico e iconografico, il Ludovisi fu un innovatore, nel senso che alla monotonia della precedente monetazione paterna, basata essenzialmente su soli due tipi base: volto di profilo / stemma oppure stemma / Immacolata, pur proseguendo nella linea paterna, aggiunse alcune monete che rompevano lo schema consolidato.
Le prime monete che costituiscono una novità iconografica sono due mezzi giuli: uno presenta al D/ lo stemma semitroncato Ludovisi-d’Aytona ed al R/ il monogramma MA (Fig. 1a). Poiché la moglie Maria d’Aytona muore nel 1694, possiamo pensare che la coniazione di questa moneta sia antecedente a tale data. Il secondo presenta al D/ lo stemma Ludovisi e al R/ il monogramma JBL ed anche questo è senza data (Fig. 1b).
Tuttavia, le monete a nome del Ludovisi che rompono in maniera eclatante con la tradizione sono il tollero (Fig. 2) ed il mezzo tollero (Fig. 3).
Questa moneta, di indubbia bellezza, ha al D/ il profilo del Principe e presenta al R/ una veduta del porto di Piombino delineata con maestria, fin nei minimi dettagli.
In realtà, le ragioni per cui nel 1695 viene coniata questa moneta sono essenzialmente economiche. La sua emissione si inquadra infatti all’interno di un insieme di provvedimenti tesi a risollevare, nei fatti senza successo, l’economia malandata del Principato.
Riprendendo la tipologia del contemporaneo tollero granducale, la speranza non troppo celata era quella di inserirsi nel giro della monetazione per l’Oriente, cui appunto il tollero di Cosimo III era destinato, lucrando sul titolo più basso di questo tipo di monetazione.
Ma la moneta che probabilmente è un unicum nel panorama monetale italiano è un bel mezzo tollero, coniato due anni dopo il tollero (Fig. 3) e che presenta alcuni motivi particolari di interesse.
La moneta presenta al R/ lo stemma della Comunità di Piombino, cosa che, per quanto mi risulta, non trova molti esempi analoghi. In questo caso, così come nel precedente tollero, sembrerebbe esprimersi la volontà del Principe di confermare il proprio interesse e la sua “benevolenza” nei confronti della capitale del piccolo Stato e dei suoi abitanti.
Ma anche il D/ della moneta ha un suo particolare motivo di interesse. Come si può facilmente osservare, lo stemma è lo stesso che abbiamo visto nel mezzo giulio (Fig. 1a), ma nel 1697 la principessa Maria d’Aytona era morta già da tre anni e Giovan Battista nel 1696 si era risposato con Maria Arduino dei principi di Polizzi.
Poiché è poco convincente supporre il riutilizzo di un conio precedente – di cui peraltro non esiste traccia né documentazione in questo modulo – mi piace pensare che il Principe donnaiolo, dissipatore e con “poco cervello” abbia così voluto romanticamente omaggiare la consorte con cui aveva trascorso venticinque anni della propria vita, ponendo il loro stemma congiunto su una delle sue monete più prestigiose.
Bibliografia essenziale
Giannoni L. s.d., Le monete del Principato di Piombino e di Lucca e Piombino: appunti per un aggiornamento del Corpus Nummorum Italicorum, Nomisma.
Giannoni L. 2011, La Zecca di Piombino da Jacopo VII a Giovan Battista Ludovisi, Edinform.
Tondo L. e Vanni F. M. 1987, Le monete di Piombino dagli etruschi a Elisa Baciocchi, Pacini.
Referenze fotografiche
Le foto delle monete sono tratte dai seguenti testi menzionati in bibliografia: Fig. 1a – da Giannoni s.d.; Fig. 1b – Collezione privata; Fig. 2 – da Tondo-Vanni 1987; Fig. 3 – da Giannoni 2011.