Alle origini del dupondi della zecca di Nîmes coniati in età augustea con raffigurato il coccodrillo, esotico animale non certo consueto in Francia
di Maurizio C. A. Gorra | Trovare un coccodrillo in moneta era più facile ai tempi di Augusto che oggi: a noi tocca cercarlo su coniazioni tropicali spesso non circolanti, mentre ai Romani bastava arrivare in Francia meridionale, a Nîmes.
Odierno capoluogo del Gard e già capitale dei Volci Arecomici col nome di Nemausus (forse per Nemausios figlio di Ercole, o per il concetto di “luogo sacro”), vi venne dedotta la Colonia Augusta Nemausus, subito diventata quella Rome Gauloise che conserva ancor oggi un’identità particolarmente spiccata.
La coniazione dei celebri assi o dupondi di Nîmes iniziò intorno al 28 a.C.: l’incertezza sul ponderale è uno dei dubbi che avvolgono questa moneta, ibrida perché a cavallo fra il sistema monetario repubblicano e la riforma augustea, e soprattutto perché municipale nella forma ma, di fatto, imperiale.
É la moneta gallo-romana più comune, ritrovata un po’ ovunque. Ne sono noti tre (per alcuni, quattro) tipi diversi, oggetto di imitazioni coeve, diversi per stile ma con aspetto fisso (e riconiato con molta fantasia su una medaglia francese del 2011).
Al dritto, addossati, i busti di Agrippa e Augusto fra le legende IMP[erator] DIVI F[ilius], il primo con la corona navale che gli spettava dal 36 a.C. per la vittoria su Sesto Pompeo; al rovescio, una palma con un coccodrillo rivolto e incatenato al tronco, e le sigle COL[onia] NEM[ausensium]. Le tre tipologie differiscono per la testa di Augusto (nuda o coronata d’alloro) e per la sigla P[ater] P[atriæ] ai lati dei busti.
Queste monete sono ritenute la dimostrazione che veterani egizi fondarono Nîmes; le esotiche figure nello stemma abbinano alla città la nomea di costola gallica dell’Egitto, nazione che effettivamente Augusto conquistò in quegli anni col contributo di Agrippa; però coccodrillo e palma sono (più semplicemente) il segno dell’incatenamento dell’Egitto all’Impero romano.
Più la storia si fa lontana, più acquisisce una prospettiva tale da appiattire il rilievo dei singoli eventi: per questo oggi si ha una sminuita percezione di quella conquista la quale, coronando i tentativi fin’allora attuati, riuscì ai due trionfatori.
In quest’ottica l’allegoria diventa chiara, e cancella ogni allusione a realtà galliche. Con minor vigore estetico, in quegli anni Augusto coniava monete col solo coccodrillo e la scritta ÆGYPTO CAPTA, formula standard per le nazioni asservite a Roma con le armi.
La palma, indiretto pendant esotico al rettile, segue un simbolismo noto da fine Repubblica, e amplificato a inizio Impero per ribadire l’auspicio di una nuova era. Si trattava difatti di un albero sacro ad Apollo, ritenuto propiziatore della trionfale battaglia di Azio e nunzio dell’ordine armonioso conseguente alla riconciliazione dell’Impero. Sacra ad Apollo era anche la corona d’alloro posata sui rami, sigillo della vittoria ottenuta.
L’ampia diffusione della moneta di Nîmes ne conferma l’uso come strumento iconografico di respiro ampio e non locale: circolante per quasi un secolo, era accettata e stimata come segno imperiale di prim’ordine benché fosse atipica sotto più punti di vista.
Le sue impronte trasmettevano un messaggio discreto ma forte, favorevole al potere e alla legittimità di Augusto, e conferma che la situazione creatasi con la presa dell’Egitto era anche dovuta a Apollo Sauronico (“vincitore sul rettile”).
Azio segnò la fine di quattordici anni di guerra civile e di incertezza nella successione a Giulio Cesare, nonché l’inizio di una pace duratura e foriera di progresso e commerci, per favorire i quali Augusto curò una riforma monetaria atta ad armonizzare i diversi sistemi pregressi ed amalgamare il suo vasto impero.
La moneta di Nîmes “al coccodrillo” accompagna e sottolinea l’esordio di quest’età nuova, assurgendo a prototipo dei migliori strumenti di comunicazione giacché trasmette ritratto e messaggio dell’imperatore quando ben pochi altri mezzi ci riuscivano, e nessuno con un’analoga diffusione fra la gente.
Non è chiaro perché Augusto scelse proprio Nîmes e Efeso per queste emissioni, ergendo in particolare la Colonia Nemausensis a simbolo della nuova condizione sociale, ma è proprio grazie a ciò se il rovescio di questi bronzi è successivamente divenuto stemma.
In epoca bassa il ricordo di queste figure andò perduto, e pare che la città avesse fatto proprio il colore rosso pieno dei visconti di Narbona: il sigillo civico medievale mostrava invece quattro consoli schierati fianco a fianco.
Nel 1516 Francesco I assecondò gli abitanti concedendo come stemma “un toro d’oro passante in campo rosso” (secondo alcuni “in campo azzurro”, ossia nella bicromia regale di Francia): in zona il toro era (ed è tuttora) protagonista di tauromachie incruente.
Ma caso volle che nello stesso 1516 fu trovata una “medaglia” augustea col coccodrillo, testimonianza del passato che entusiasmò e piacque molto più della recente concessione sovrana.
Lo stesso Francesco I ritenne di dare alla città il “suo vero titolo di nobiltà” coerente con la civilizzazione romana, ponendo sul tradizionale campo di rosso la palma e il coccodrillo delle “antiche medaglie di rame”.
Erano simboli che tanto appagavano la sua passione per le antichità e dei quali volle conoscere il significato; gli dissero che il rettile era il colubro indicato dalla scritta COL NEM, sciolta in Coluber Nemausensis, voli pindarici poi riportati nelle lettere patenti dello stemma datate giugno 1535.
Un altro parallelo di fantasia fu applicato alla Tarasca, leggendario mostro delle paludi della Francia mediterranea talora raffigurato in forma di coccodrillo e che, incatenato, ben s’adattava a simbolo della salubrità acquisita tramite le bonifiche e l’acquedotto di Agrippa (funzionante fino al medioevo).
Ma il picco della meraviglia fantastica lo si visse nella Nîmes del 1597, quando si fece arrivare un coccodrillo vero per esporlo nel municipio; altri tre lo seguirono nel 1671, 1692 e 1702, e ora impagliati li si ammirano tutti insieme all’interno dell’edificio.