Un eliotropio campeggia sulle barbarine, monete in argento coniate a Mantova tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo a nome di Vincenzo I Gonzaga
di Roberto Ganganelli | Alla scoperta di motti e legende latine sulle monete italiane, questa volta facciamo tappa nei domini dei Gonzaga. IAM NVLLA FVGA, oppure IIAM NVLLA FVGAT (Più nessuno scampo”) si legge infatti sulle barbarine anonime per Mantova fatte coniare da Vincenzo I, IV duca di Mantova e II del Monferrato dal 1587 al 1612.
Queste monete – coniate in argento al peso di poco meno di due grammi – prendono il loro nome dall’effigie di santa Barbara raffigurata al dritto, mentre al rovescio campeggia un girasole con le foglie abbassate o spiegate verso il sole. Una legenda misteriosa, sulla cui origine sono state formulate varie ipotesi senza mai giungere ad una conclusione definitiva.
A proposito del motto sulle barbarine Mario Traina ne Il linguaggio delle monete riporta che (impropriamente) Signorini cita Virgilio (Eneide, 10, 592): “Lucage, nulla tuos currus fuga segnis equorum / prodidit” (“Lúcago, nessuna fuga dei cavalli ha tradito il tuo cocchio”); tuttavia, non c’è alcun riscontro sia letterale che referenziale con la moneta.
Sempre Signorini ricorda la metamorfosi di Clizia narrata da Ovidio (Metamorfosi, 4, 206-270), fanciulla innamorata del Sole e trasformata in fiore che sempre si volge verso l’astro a testimoniare il suo eterno amore.
Per Magnaguti, invece, la legenda deriva dall’Eneide (9, 131 e 10,121): “Nec spes ulla fugae”. Ruscelli, nel 1556, parla non di un girasole bensì di un “tulipano” e cita il motto spagnolo “Syn sus rayos mys desmayos” (“Senza i suoi raggi perdo ogni bellezza”), non escludendo un risvolto amoroso (il Gonzaga sarebbe il fiore, la donna amata il sole).
Anche Picinelli nel 1653 parla di tulipano: “Senza i suoi raggi, i miei svenimenti: s’io non lo vedo, mi svengo, effetti ed affetti cagionati da vehemenza amorosa, la quale quando è priva dell’oggetto amato languendo si sente condotta a morte”.
Signorini, citando il motto “Vt unum sequar”, che Picinelli riporta alla voce Girasole (“Un’anima che, nauseando tutti gli oggetti inferiori, non perfetti, viver vuole totalmente affetionata al Sole eterno, all’immortale Iddio”), indica nel sole l’immagine di Dio e nel fiore l’allegoria del principe committente: “Come l’eliotropio si volge sempre all’astro regolatore della sua vita né sa ad esso sottrarsi, così il principe dichiara di non poter evadere dalla volontà divina dalla quale si sente ineluttabilmente attratto”.