Quale verità per le 5 lire 1901, una delle massime rarità numismatiche italiane? | Dal mistero sui pezzi coniati a quello sugli esemplari delle collezioni pubbliche
di Roberto Ganganelli | “Caro direttore – ci scrive il nostro lettore Carmelo R. Crupi – ho letto con attenzione e interesse il suo articolo indicato in oggetto, pubblicato su www.cronacanumismatica.com il 20 maggio 2020 (clicca qui).
Non le nascondo che ogni qualvolta leggo delle 5 lire 1901, il mio buon umore di numismatico si offusca. E divento subito triste. Ed alla tristezza, con il passare dei minuti, subentra la rabbia. Il mio stato d’animo non discende, come molti potrebbero di primo acchito pensare, dall’aura di mistero che avvolge la storia del primo tondello monetato con l’effigie del novello re d’Italia Vittorio Emanuele III.
Proviene, invece, dal pensiero che il pezzo facente parte della Collezione reale è andato rubato in epoca ignota, perduto per sempre. E, come se non bastasse, anche quello conservato presso il Museo della Zecca (peraltro menzionato anche dal giornalista Matteo Pierotti nel lontano 1902..) ha preso, per così dire, il volo, probabilmente per mano di qualcuno che, con ogni probabilità, si spacciava per un cultore, per un amico della numismatica.
Questi sono fatti, come si sa, acclarati dalla triste vicenda giudiziaria che, a partire dall’alba del XXI secolo, ha coinvolto il Museo nazionale romano. Indagine che, poco dopo, ha coinvolto anche il Museo della Zecca.
Non sapremo mai chi e in quali circostanze abbia privato la collettività di queste testimonianze della maestria di Filippo Speranza, autentici documenti storici e numismatici di primaria importanza per la storia monetaria italiana. Così come, d’altro canto, non sapremo mai quanti scudi 1901 si salvarono dal crogiolo. Infatti, riallacciandomi alla gustosa notizia pubblicata da Il Secolo XX nel 1902, secondo cui questi pezzi furono 50, di certezze in tal senso ne abbiamo ben poche.
L’unico studioso che si è sbilanciato ufficialmente indicando un numero preciso, è stato Giovanni Carboneri nel suo La circolazione monetaria nei diversi stati, pubblicato nel 1915, che indica precisamente 114 scudi 1901 che sarebbero scampati alla rifusione ordinata dal ministro del Tesoro nel luglio 1901 per i noti fatti connessi all’appartenenza all’Unione Monetaria Latina.
E, per parafrasare l’ingegner Vico d’Incerti, non abbiamo motivo di dubitare dell’autorevolezza del Carboneri, posto che egli era, in quegli anni, il segretario della Regia Commissione Monetaria, dunque, per forza di cose, aggiornatissimo su argomenti di questo tipo.
Purtroppo, però, il Carboneri non esplicita la fonte di siffatta, importante, informazione. E poiché dai documenti ufficiali non è mai trapelata alcuna notizia in relazione al numero di scudi 1901 coniati e neppure sul numero degli esemplari effettivamente rifusi, siamo condannati a restare nel campo delle ipotesi, dei si dice e dei si narra.
Per non parlare, poi, della favoletta degli esemplari con finitura ‘fondo a specchio’ che, stando ai fatti accertati dagli inquirenti nel primo scorcio del nostro secolo, con ogni probabilità sono coniazioni postume eseguite fraudolentemente, illegalmente, nella Zecca negli anni Trenta e negli anni Sessanta del XX secolo.
Evidentemente ad uso e consumo di qualche ‘dottore’ o ‘cavaliere’ di turno che, oltre ad avere le influenze giuste (si badi, sia in epoca monarchica che repubblicana) aveva anche tanta voglia di truffare i collezionisti numismatici abbienti.
Per chi volesse approfondire questo argomento, suggerisco la lettura del capitolo Un caso particolare: le lire 5 del 1901 in Stato e collezionismo. Indagine sulla numismatica di Domenico Luppino, Edizioni Montenegro 2009.
Ulteriore riprova di ciò, a mio modestissimo avviso, è fornita dallo stesso re numismatico, nella lettera che scrisse all’ex tutore Egidio Osio in data 9 marzo 1901, resa nota dalla professoressa Travaini in Storia di una passione. Vittorio Emanuele III e le monete, Quasar, II edizione, 2005. Il re inviò, allegato alla lettera, un esemplare dello scudo in argomento, dichiarando di aver ricevuto i primi esemplari coniati il giorno prima ed esprimendo alcune indiscrezioni all’Osio: ebbene, non accennò nemmeno lontanamente ad una finitura speciale di tali monete.
E poiché conosciamo la pignoleria del sovrano in argomento di monete, per di più tenuto conto del contesto in cui egli parla per la prima volta del ‘suo’ primo scudo con la propria effigie e con al rovescio l’aquila ‘savoiarda’ che egli stesso volle in quel modo, è davvero difficile pensare che avesse tra le mani esemplari fondo a specchio e che abbia omesso di specificare all’Osio siffatta, importante e innovativa, caratteristica monetale. Mi piacerebbe conoscere il suo parere in merito”.
Certo che il signor Crupi ne ha messa, di carne al fuoco, in questa lettera sulla 5 lire 1901, l’eccelsa rarità ambita da tutti i collezionisti di monete del Regno d’Italia, sia dai pochi che possono permettersela che da quanti, al tipo dell’aquila “savoiarda”, riescono al massimo ad accaparrarsi qualche lira fior di conio.
Partiamo dal contingente: 114 pezzi come sostiene il Carboneri? 50 come dice Pierotti? Poco cambia, a livello di mercato, ma vale la pena ricordare – citando lo stesso Luppino menzionato dal nostro attento lettore e ricordando quanto scrive Vittorio Emanuele III nella sua corrispondenza – che alla fin fine le 5 lire 1901 furono moneta non emessa, una sorta di prova tecnica per verificare l’effetto dell’impressione delle impronte su un tondello largo e pesante come quello dello “scudo” (mm 37 per g 25).
Il centinaio di esemplari (forse) prodotti non figurano nella documentazione della Regia Zecca, come pure non si parla mai di vendite né di relativi introiti ma – realisticamente parlando – se per primo il sovrano trattenne per sé alcune 5 lire millesimate 1901 e ne fece dono a personaggi di riguardo e amici – e soprattutto considerando gli italici costumi di un secolo fa – non stupisce affatto che uno o due chili d’argento possano essere stati “camuffati” in altre lavorazioni e che le operazioni di rconiazione delle 5 lire 1901 si siano svolte a seguito di ordini esclusivamente verbali.
Per quanto riguarda l’esistenza di esemplari fondo specchio, invece, in passato si è anche detto che probabilmente erano i primi della produzione, realizzati per presentazione al sovrano su tondelli lucidati e battuti con conii “freschi”; personalmente, non escludo l’ipotesi del signor Crupi, ossia che eventuali riconiazioni “brillanti” siano state effettuate in seguito, sempre per quei rapporti tra Regia Zecca e personalità appassionate di monete che ci è nota.
Siamo realistici: se negli anni Trenta si fosse rivolto alla Regia Zecca – di persona o per lettera, magari – un sottosegretario o un senatore, pensate che di fronte alla “cortese richiesta” di qualche moneta, magari sbandierando fede monarchica, amor patrio e fervente passione collezionistica i dirigenti dell’officina non avrebbero trovato modo di accontentarlo?
Fin qui le speculazioni sulla storia “antica”, che in fondo ciascuno può concedersi; concludiamo però con l’immancabile nota dolente: dove sono gli esemplari ex Collezione reale o destinati al Museo della Zecca, come da antiche prescrizioni di legge?
Ebbene, anche se una visita di persona è impossibile causa limitazioni Covid-19, basta accedere online al Museo della Zecca per accorgersi di come la moneta da 5 lire 1901 Aquila araldica brilli per la sua assenza dalle vetrine (clicca qui e seleziona i filtri per estrarre tutte le 5 lire in vetrina); un fatto strano, per lo meno, e non serve certo un museografo per includere questa moneta fra i tesori di un simile percorso. Idem per quanto riguarda Palazzo Massimo, sede della raccolta che fu la passione di tutta la vita del terzo re d’Italia e che questi, alla partenza per l’esilio, donò “al popolo italiano”.
Quel popolo italiano fatto anche di persone che vedono nella moneta una testimonianza della storia, della cultura, dell’identità di un paese e che – se talvolta pur bramerebbero, è naturale, il possesso personale di simili,preziosi reperti – per la maggior parte si sentirebbero già soddisfatte, come cittadini, di saperli ben conservati nei nostri musei, esposti e pubblicati, e di poterli ammirare e condividere con il resto del mondo.