Unica moneta firmata da Renato Brozzi, i 10 centesimi 1919-1937 celano simbolismi e dettagli spesso trascurati da una lettura superficiale

 

di Roberto Ganganelli | Tutti i collezionisti di monete conoscono i 10 centesimi in rame del Regno d’Italia, quelli del periodo 1919-1937 che i numismatici identificano come tipo Ape. Coniata dalla Regia Zecca di Roma, per l’appunto, in rame a 950 millesimi, diametro di 22,50-22,60 millimetri e di 5,30-5,50 grammi, la monetina ha il bordo liscio e, complessivamente, è stata prodotta in ben 405.918.487 pezzi.

Al dritto, i 10 centesimi del 1919-1937 mostrano la testa del re a collo nudo, rivolta a sinistra, con intorno VITTORIO EMANUELE II RE D’ITALIA. In basso, lungo il bordo, il nome dell’autore del dritto A. MOTTI. Al rovescio, tutti i cataloghi indicano semplicemente “ape su fiore”, a destra l’indicazione del valore su due righe leggermente sfalsate (C. 10). Sotto la data, a sinistra segno di zecca R e lungo il bordo il nome dell’autore R. BROZZI.

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Inizia nel 1919 e termina solo nel 1937 la parabola dei 10 centesimi Ape di Vittorio Emanuele III

Un “eccelso animaliere” al servizio di D’Annunzio

Tra i due autori della moneta, a proposito di Attilio Silvio Motti (Alessandria 1867 – Roma 1935) molto si sa e molto si è scritto; meno noto, almeno nel mondo numismatico, è invece Renato Brozzi (Traversetolo, 1885-1963) anche perché il rovescio dei 10 centesimi 1919-1937 rappresenta l’unica sua opera a essere stata trasformata in moneta.

Tuttavia lo scultore, orafo e medaglista emiliano rappresenta un esempio creativo di altissimo livello che si è espresso, in modo particolare, attraverso soggetti del mondo animale tanto che Gabriele D’Annunzio, non a caso, definì Brozzi “il più grande animaliere italiano dopo il Pisanello”.

Due immagini dell’artista Renato Brozzi, “eccelso animaliere” e autore del rovescio

Brozzi apprese il mestiere di cesellatore e si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Parma in soli tre anni contro i cinque di durata del corso. Trasferitosi a Roma nel 1907, frequentò la Scuola dell’Arte della Medaglia. Nel 1915 si distinse alla Mostra Internazionale di Belle Arti di San Francisco mentre nel 1917, alla Permanente di Milano, espose 54 opere tra pastelli, targhe in rame e piatti d’argento.

Nel 1920 il Vate lo chiamò come scultore e orafo personale e Renato Brozzi lavorò alle della residenza del poeta a Cargnacco di Gardone Riviera – il Vittoriale degli Italiani – realizzando inoltre una serie di sculture e altre opere che spesso D’Annunzio usata come donativo particolare agli amici.

Dopo una carriera costellata di riconoscimenti, l’autore dei 10 centesimi 1919-1937 tipo Ape si ritirò, tornando nel 1962 nel suo paese natale del Parmense dove morì l’anno dopo lasciando un cospicuo fondo artistico al Comune che, in seguito, gli ha dedicato un museo.

L’ape, insetto impollinatore per eccellenza, su un fiore di papavero

L’ape e il papavero, capolavoro d’arte animalier in moneta

Se guardiamo i 10 centesimi 1919-1937 da vicino, se solo li lasciamo uscire dal loro ruolo di “spicciolo” per osservarli con occhi più attenti, ci rendiamo conto dell’eccellente livello artistico di questa modellazione di Renato Brozzi che presenta, anche a parere dei critici, un valore plastico e compositivo assoluto.

Innanzi tutto, come per i 5 centesimi Spiga usciti dal concorso del 1919 indetto dalla Regia Zecca (leggi qui un approfondimento) ad un ritratto del sovrano a collo nudo, semplice e fedele, si abbina anche in questo caso un’immagine di rovescio “antieroica”, scevra da ogni retorica legata alla vittoria nella Grande guerra e, piuttosto, tesa a richiamare un mondo semplice e una condizione di operosa e serena normalità attraverso due simboli – la spiga e l’ape – familiari a tutti gli italiani.

Simboli millenari che gli italiani si ritroveranno in mano ogni giorno, in una realtà fatta di povertà e lutti, non solo a causa delle centinaia di migliaia di vite falciate dal conflitto ma anche da quelle spazzate via dall’influenza spagnola.

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Dettaglio del plastico ed elegante rovescio della moneta da 10 centesimi Ape

La bravura di Renato Brozzi si rivela in un forte rilievo plastico e un gioco di curve e di cerchi che l’artista definisce utilizzando l’anatomia dell’ape, il papavero e il suo stelo; la stessa indicazione del valore è collocata in modo inedito, eppure perfettamente leggibile. L’artista – forse perché avvezzo a realizzare piatti a sbalzo e oggetti di forma rotonda – evita la banale soluzione di collocare il soggetto al centro, degli elementi in esergo, il valore in forma “lineare” e un’iscrizione nel giro; al contrario, grazie al suo talento di animaliere realizza una’immagine ravvicinata e realistica che solo oggi, con opportuni obiettivi fotografici, potremmo ottenere.

Una soluzione ben lontana da quella che si è sempre detta la fonte di ispirazione di questo conio, ossia l’antica monetazione di Efeso (come, del resto, la spiga dei 5 centesimi dello stesso periofo appare in tante coniazioni, ad esempio, di Metaponto) e che sublima il piccolo essere vitale per il perpetuarsi delle specie vegetali.

Tetradramma di Efeso al tipo dell’ape coniata nella II metà del V secolo a.C.

Il papavero tra mito e simbolismo, medicina e alimentazione

A proposito del papavero, la mitologia greca ci narra di un giorno di giugno in cui Proserpina, figlia di Giove e Demetra, dea della Terra, mentre coglieva dei fiori Sicilia venne rapita da Plutone, dio degli inferi, che la voleva in sposa. Quando la madre seppe che la figlia avrebbe trascorso il resto dell’esistenza nel mondo sotterraneo chiese aiuto a Giove che tuttavia non fece nulla, incoraggiando anzi l’unione che avrebbe reso Proserpina regina.

Demetra, sconvolta, non volle più occuparsi dei frutti della Terra e Giove, prima che la vita si spegnesse, convinse Plutone a lasciar libera Proserpina per almeno sei mesi all’anno. Così nacquero i papaveri, per ricordare a Proserpina, con il loro colore rosso, la passione dello sposo che l’attende in eterno negli inferi.

Denario di Vespasiano (Efeso, 71 d.C.): al rovescio la Concordia con in mano spighe e papavero

Per i Greci il papavero era simbolo dell’oblio e del sonno (Morfeo è spesso rappresentato con un mazzo di papaveri in mano) è anche emblema della consolazione che Demetra ritrova, ogni volta che Proserpina ritorna dagli inferi. Per i Romani, invece, il fiore era simbolo di Cerere, la divinità corrispondente a Demetra, e apparve di nuovo su varie monete, mentre nel Medioevo venne associato al sacrificio di Cristo.

Il papavero – apparso anche in vari tipi della monetazione romana – è anche una pianta officinale: quello selvatico, ad esempio, ha proprietà sedative e antispasmodiche e petali e capsule vuote si impiegano per sciroppi e tisane in caso di tosse, insonnia e stati di eccitazione nervosa. Ricchi di acidi grassi, proteine, sali minerali, i semi del papavero sono invece impiegati, oltre che in fitoterapia e fitocosmesi, anche nell’alimentazione.

Sesterzio di Nerva (Roma, 97 d.C.) con al rovescio un modius con spighe di grano e papavero

È tuttavia un fiore avaro di nettare, il papavero, e la scelta di Renato Brozzi sembra dunque non casuale, dal momento che esalta la capacità operosa dell’ape di trarre nutrimento da tutte le piante e di portare loro vita tramite l’impollinazione.

La spiga, l’ape e il papavero dal dopoguerra all’Impero

Quella dell’ape e del papavero sui 10 centesimi 1919-1937 del Regno d’Italia è dunque un’autentica “parabola visiva”, un messaggio leggibile a tutti sintetizzato in una perfetta composizione artistica e rivolto a quegli italiani usciti dalla Grande guerra poveri, stremati e spesso dopo aver perso, spesso, uno o più familiari sui campi di battaglia.

Se Attilio Silvio Motti e Renato Brozzi, in quel lontano 1919, ebbero modo di confrontarsi in modo da dare ai due spiccioli un’impostazione coerente non lo sappiamo; forse fu solo il caso – e la scelta della Commissione Tecnico Artistica Monetaria della Regia Zecca – a “sposare” i due soggetti, che sarebbero stati tra i più longevi della monetazione di Vittorio Emanuele III, sopravvivendo fin dopo la proclamazione dell’Impero senza che, su di essi, apparisse mai alcun segno del potere di Mussolini e del regime fascista.

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Le rarissime versioni PROVA e PROVA DI STAMPA dei 10 centesimi Ape del 1919

I 10 centesimi 1919-1937 tipo Ape: tirature e rarità

Sebbene moneta comune, quella da 10 centesimi 1919-1937 risveglia sempre l’interesse dei collezionisti: è rara la data del 1919, in particolare, con i suoi appena 986.000 esemplari coniati – non mancano le falsificazioni – e, in condizioni perfette, realizza mediamente in asta importi anche superiori a 400 euro mentre le gli esemplari con PROVA o PROVA DI STAMPA al rovescio arrivano fino a 1000 euro se in fior di conio.

Il fatto di essere, per varie date, una moneta molto comune fa inoltre sì che i 10 centesimi 1919-1937 tipo Ape siano reperibili a prezzi abbordabili anche in condizioni perfette; non è raro, ad esempio, trovare sul mercato per poche decine di euro monete che mostrano ancora tutta la bellezza del “rame rosso”, di fatto mai circolate.

Anno record di produzione il 1921 con 66.510.000 monete coniate; nel 1937, infine, con l’ingresso a regime della monetazione Impero (leggi qui un approfondimento), i 10 centesimi Ape chiudono la loro longeva esistenza – resteranno in circolazione fino all’avvento della Repubblica – con un contingente di 5.500.000 pezzi coniati.