a cura della redazione | Il 15 ottobre è stato pubblicato e ci è stato segnalato dalla redazione de Il giornale della numismatica (Bolaffi Editore, che ringraziamo) un interessante contributo sul commercio di monete e il concetto di rarità dal momento che una recente sentenza del Tar smentisce il Ministero per i Beni e le attività culturali e – forse – getta le basi per innovare l’interpretazione della legislazione sui materiali numismatici e certi aspetti del loro passaggio di mano, in primis attraverso le aste, da un soggetto ad un altro.
Scrive Il giornale della numismatica: “Con un’innovativa e interessante motivazione sul concetto di rarità, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Aste Bolaffi e un collezionista numismatico che, nel 2013, dopo essersi aggiudicato all’asta un augustale, si era visto negare la licenza di esportazione, in virtù del presunto pregio artistico e della rarità della moneta, che di conseguenza era stata notificata, cioè sottoposta a vincolo culturale.
Il 9 ottobre 2018 il giudice amministrativo ha annullato il provvedimento di notifica del Ministero per i Beni e le attività culturali, entrando a fondo nel merito della questione e fornendo precise indicazioni, come mai era avvenuto prima, su cosa debba intendersi per raro, introducendo, di fatto, nuovi elementi interpretativi della legislazione in materia.
Secondo il Ministero, si trattava di una moneta di «grande rarità numismatica, in quanto in bibliografia se ne conoscono, prodotti dalla medesima coppia di coni, solamente due esemplari in collezioni pubbliche italiane (il Museo nazionale di Napoli e l’Istituto italiano di numismatica di Roma ndr)». La relazione introduceva dunque anche una distinzione tra musei statali e collezioni di altri enti pubblici.
Nell’applicazione del criterio di rarità, il Tar ha però stabilito adesso: «L’Amministrazione sembra aver fatto riferimento, al fine di stimare la ‘sufficienza’ della dotazione di esemplari già presenti nelle collezioni pubbliche, esclusivamente a quelle di proprietà dello Stato, anziché includere, nella valutazione, anche quelle di altri enti pubblici, come avrebbe dovuto, dato che, quel che rileva, ai fini dell’espressione del giudizio in contestazione, non è l’aspetto soggettivo dell’ente che ha la proprietà della collezione di opere, bensì l’aspetto funzionale, del regime che disciplina detti beni, in particolare la possibilità che sia assicurata un’adeguata fruizione in un sufficiente numero di sedi distribuite sul territorio nazionale».
In un altro passaggio chiave della sentenza, nel riconoscere la discrezionalità dell’amministrazione competente, il giudice ha precisato che questa deve muoversi all’interno di regole ben esplicitate e fare le sue valutazioni in modo ancora più approfondito e rigoroso nel caso delle monete poiché, applicando il vincolo a un esemplare, si rischia di estenderlo a tutta la tipologia: «Nel caso in esame, detti principi trovano un’applicazione ancora più rigorosa dato che si tratta di cose suscettibili di produzione seriale ‘per loro natura’ ed occorre evitare il rischio che, facendo un’applicazione non ragionevole del criterio in esame, si finisca col vincolare l’intera produzione».
Con queste parole Filippo Bolaffi, amministratore delegato di Aste Bolaffi, ha commentato la sentenza: «Sebbene si tratti di una goccia in un oceano rispetto ai continui vincoli imposti dalle soprintendenze, che in maniera soggettiva interpretano la legge a loro uso e consumo, questo è un precedente molto importante. Infatti, per la prima volta, il giudice amministrativo ha edotto i funzionari del Ministero ad attenersi ad almeno due regole chiare e oggettive, che prima venivano invece liberamente interpretate dal preposto di turno».
Dopo aver acquistato all’asta, per 18 mila euro, unamoneta aurea dell’imperatore Federico II di Svevia, coniata dalla zecca di Messina nel periodo del suo regno (1198-1250), l’acquirente, residente all’estero, in data il 13 giugno 2013 ha fatto richiesta di attestato di libera circolazione al Ministero per i Beni e le attività culturali – Ufficio esportazione di Torino, che lo ha negato, avviando il procedimento di «dichiarazione di interesse particolarmente importante» sulla moneta in cui ha ravvisato «un alto livello stilistico nel ritratto» e «grande rarità numismatica».
La moneta dell’imperatore Federico II di Svevia, coniata nel periodo del suo regno (1198-1250). Nel 2013 il ministero del Beni e delle attività culturali – Ufficio esportazione di Torino aveva negato l’attestato di libera circolazione, avviando il procedimento di dichiarazione di interesse per l’alto livello stilistico nel ritratto e la grande rarità numismatica. La sentenza del Tar del 9 ottobre 2018 ha annullato la disposizione del Mibac.
Il collezionista e Aste Bolaffi – a cui, in un secondo momento, si è aggiunto anche il conferente che aveva affidato la moneta alla casa d’aste per la vendita – hanno impugnato il provvedimento contestando l’inattendibilità delle motivazioni, ritenute valide se riferite alla tipologia generale di moneta augustale, ma non all’esemplare in questione. Un provvedimento, secondo la tesi dei ricorrenti supportata da ampia e documentata letteratura, «viziato da eccesso di potere per errore grave e manifesto» poiché motivato da argomentazioni «erronee in quanto non attendibili sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, rinvenibili nella letteratura specialistica».
La moneta, infatti, secondo i ricorrenti, non poteva considerarsi «tecnicamente rara» né in riferimento al numero di esemplari coniati con la coppia di coni citata nella relazione, né in riferimento al numero di pezzi esistenti, né a quelli presenti nelle collezioni italiane.
Ad avviso dei ricorrenti, la quantità di esemplari (ben 57) presenti in 12 collezioni pubbliche italiane (tra cui anche il Museo civico di Bologna, il Castello Sforzesco di Milano, il Museo nazionale di Napoli, il Museo Bottacin di Padova, il Museo regionale di Palermo, il Museo regionale di Siracusa, il Museo e Galleria d’arte di Udine e il Museo Correr di Venezia) era sufficiente ad assicurarne la fruibilità da parte del pubblico sull’intero territorio nazionale.
Quanto all’alto livello stilistico nel ritratto, ravvisato nella moneta dai funzionari del Ministero, i ricorrenti hanno sottolineato come non fosse una peculiarità dell’esemplare in questione, ma caratteristica comune alla tipologia di moneta in generale, anche in considerazione della sua funzione di moneta aurea di propaganda della figura dell’imperatore.
In conclusione, secondo i ricorrenti, il diniego dell’attestato di libera circolazione si fondava su valutazioni erronee, tali da renderlo ingiustificato. E il Tar ha accolto il ricorso sottolineando, tra le altre cose, che le valutazioni dell’amministrazione devono fondarsi su «adeguata istruttoria» e necessitano di «congrua motivazione»”.
Per una miglior fruizione da parte dei lettori, vi abbiamo proposto al momento il testo originale dell’articolo riservandoci presto sul tema ulteriori riflessioni ed eventuali approfondimenti che, vista l’importanza del precedente, dovranno coinvolgere tutte le realtà del commercio numismatico. Perché una possibile pagina di storia non ingiallisca sbriciolandosi in poche righe di cronaca.