Nel 1866 Pio IX Mastai Ferretti è costretto ad “abdicare” all’antico sistema monetario e a istituire la lira pontificia sul modello di quella del Regno d’Italia
di Roberto Ganganelli | Anno 1866: lo Stato Pontificio – un tempo esteso in tutto il centro della Penisola e fino alla fertile pianura emiliana – si è ridotto a Roma e al solo Lazio, circondato da quello che, ormai da cinque ann,i è il Regno d’Italia.
Da quasi 42 mila kmq a poco più di 12 mila, un’economia ridotta all’osso, una protezione francese da parte di Napoleone III sempre più tiepida. Ecco la situazione dei domini temporali su cui regna dal 1846 Pio IX Mastai Ferretti, che già ha vissuto le batoste della II Repubblica romana del 1848-1849 e del progressivo affermarsi di Casa Savoia sull’Italia.
Pio IX ha scomunicato Vittorio Emanuele II e i Savoia già il 26 marzo 1860 e mastica amaro, il coriaceo marchigiano, perché il potere temporale dei romani pontefici, in pochi anni, è stato rapidamente eroso dall’incalzare della Storia.
Lo stemma di papa Pio IX in versione a stampa monocromatica e con i colori originali: questo elemento sarà il primo a scomparire dalle monete con la nascita della lira pontificia
Possiamo ben immaginare, dunque, con quale spirito il papa si accinga a promulgare, nell’afa del giugno romano, quell’editto che porrà fine ad un altro dei secolari cardini della sua sovranità terrena, quella moneta che fino ad allora si è mantenuta orgogliosamente ancorata a scudi e baiocchi dopo aver vestito i prestigiosi panni delle quadruple e degli scudi d’oro, delle piastre e dei testoni d’argento.
Il nuovo sistema di moneta pontificia in lire e centesimi
È il 18 giugno 1866, per l’appunto, quando a nome del cardinale Giacomo Antonelli, segretario di Stato, viene pubblicato l’editto numero 10 avente come oggetto il Nuovo sistema di moneta pontificia in lire e centesimi.
A sinistra, il cardinale Giacomo Antonelli, potente segretario di Stato di Pio IX; a destra, la prima pagina dell’editto con cui nasce la lira pontificia
Il provvedimento viene ammantato da un preambolo cancelleresco che recita: “Le frequenti oscillazioni sul valore dei metalli preziosi, che presso tutte le Nazioni servono per le contrattazioni ed operazioni di ogni genere sì interne che esterne, hanno sin da varii anni a questa parte richiamato tutta l’attenzione della Santità di Nostro Signore per apportarvi quei rimedii, che si stimarono più confacenti a conservare con gli altri Stati di Europa un giusto equilibrio tanto interessante per la prosperità del commercio de’ suoi amatissimi sudditi.
Alcuni parziali provvedimenti pertanto furono adottati sul sistema monetario dello Stato Pontificio ma non isfuggì alla sapienza di Sua Santità , che per raggiungere completamente lo scopo, ed agevolare così il mezzo di corrispondere alle esigenze dei cambi internazionali, molto opportuno sarebbe stato il partito d’introdurre nello Stato Pontificio un sistema monetario identico a quello di altri Stati, coi quali si hanno maggiori e più dirette relazioni commerciali”.
Come dire: ormai la valuta pontificia, già di importanza relativa nel panorama italiano ed europeo, è diventata scomoda e tutt’altro che pratica da usare. Altri hanno vinto, dal punto di vista monetario oltre che militare e politico, e siamo costretti ad adeguarci pena un ulteriore deterioramento della capacità di interscambio commerciale con gli altri paesi.
Due delle tabelle esplicative pubblicate nell’editto del 1866 che istituisce la lira pontificia
Una riforma per allineare gli Stati della Chiesa all’Unione monetaria latina
Nasce così la lira pontificia che verrà coniata a Roma per soli cinque anni finché un’altra spallata di Casa Savoia, con la presa di Porta Pia del 20 settembre 1870, non ridurrà i domini del papa al solo Vaticano entro le cui mura cui Pio IX si dichiarerà “prigioniero”.
La lira pontificia, dunque, ha lo scopo di allineare – in modo unilaterale, peraltro – lo Stato Pontificio a quell’Unione monetaria latina che nel 1865 è stata sottoscritta da Belgio, Svizzera, Italia e Francia e che renderà uno standard quasi paneuropeo – con estensioni, in seguito, anche in Sud America e in Africa – quel modello monetario nato dal franco germinale post rivoluzionario del 1795 ed esportato da Napoleone.
La lira pontificia (art. 1) assume così una parità aurea di 0,32258 grammi d’oro puro e di 4,5 grammi di argento fino (bimetallismo con rapporto di 1 a 15,50). Come unico segno “distintivo” rispetto alle monete italiane l’art. 2 prevede che la divisione centesimale sia abbinata a una in 20 soldi.
Il taglio da 5 lire rende palese il rapporto di valore fra i due metalli del sistema monetario: ben 25 grammi d’argento contro 1,61 grammi d’oro, entrambi a 900 millesimi
L’editto (art. 3) prevede l’emissione di monete d’oro da 100, 50, 20, 10 e 5 lire, di pezzi in argento da 5, 2 e ½, 1 lira e da 50 e 25 centesimi e, infine, di monete in lega di “bronzo” con nominali da 10, 5, 2 e ½ e 1 centesimo (quelli che poi saranno i 4 soldi in rame, ossia i 20 centesimi, non sono inizialmente previsti).
Il titolo delle monete in metallo prezioso è fissato – sempre in analogia ai canoni dell’Unione monetaria latina – in 900 millesimi mentre per il “bronzo” è indicata “una lega ternaria composta di parti 95 di rame, 4 di stagno, ed 1 di zinco”.
Per tutti i nominali di metallo prezioso, al dritto è previsto il busto del papa e al rovescio il valore e si enunciano anche altri dettagli iconografici e il tipo di virola (art. 8); interessante, poi, agli artt. 9-10, come il documento riporti anche i valori da defalcare per le spese di coniazione, pari a 7,444444 lire per chilogrammo d’oro fino (2,60 lire ogni 1000 lire di coniato) e 1,66666 lire per chilo d’argento fino (7,50 lire ogni 1000 di coniato).
Non presente nella coeva monetazione italiana, la moneta da 2 lire e 1/2 intende mantenere in qualche modo la vecchia denominazione del mezzo scudo
A coloro che (art. 11) intendesser portare “paste d’oro, e d’argento, che verranno versate nella Zecca, per essere monetate” verranno corrisposte 3437 lire ogni chilogrammo d’oro fino (a fronte di 3444,44 di valore pieno) e 220,56 lire ogni chilo d’argento fino (invece che 222,22 lire di valore pieno).
Diritti di signoraggio, insomma, ai quali aggiungere “le ritenute in vigore per fusione, saggio, affinazione, e partizione, qualora abbiano luogo le indicate operazioni”.
L’autorità pontificia si riserva, con l’art. 12, pieno ed esclusivo controllo sulla coniazione delle monete in argento di valore pari o inferiore a 2,50 lire e di quelle in lega di rame di ogni valore mentre “le monete d’oro, e quelle da lire 5 in argento potranno essere coniate anche per conto, ed a richiesta de’ particolari”.
Le monete in rame 950 millesimi da 2 soldi e da 1 centesimo
Tassi di cambio e circolazione di monete forestiere
Come ragguagliare, a questo punto, le nuove e le vecchie monete? A rispondere è l’art. 13 che indica come il vecchio scudo d’argento è destinato ad equivalere, in modo “invariabile” a 5,375 nuove lire pontificie mentre la lira sarà equivalente a “baj. 18. 60. 5”.
Non potendo disporre il ritiro sistematico e la rimonetazione dell’enorme massa di spiccioli di rame, invece, l’art. 14 sancisce che le vecchie monete di rame da 2, 1, ½ baiocco e da un quattrino equivalgano, rispettivamente, a 10, 5, 2,50 e 1 centesimo della nuova lira pontificia.
L’art. 15 dell’editto, invece, esplicita che “tutte le monete d’oro in franchi e lire, e quelle d’argento da franchi e lire 5 coniate in altri Stati, secondo il nuovo sistema autorizzato dal presente Editto, avranno corso legale per lo stesso valore nominale nello Stato Pontificio”. Per le altre, restano in vigore le tariffe stabilite nel 1835.
Le prestigiose 100 lire, il massimale della serie pontificia a nome di Pio IX
Da quel giorno di giugno del 1866 inizia la storia della lira pontificia e solo quell’anacronistica denominazione di “soldi” rimarrà a distinguere in modo marginale l’ultima moneta del papa re da quella dell’Italia sabauda che, in pochi anni, si annetterà anche il Lazio e Roma iniziando a coniare le proprie monete in quella stessa zecca – a ridosso delle mura vaticane – in cui avevano visto la luce le ultime lire di Pio IX.
A proposito di queste, vale la pena annotare una curiosità: già prima della promulgazione dell’editto, presso la zecca di Roma, vengono ovviamente effettuate prove di coniazione, nello specifico delle monete da 20 lire d’ooro e delle 2 e 1 lira in argento con indicazione dell’anno XX di pontificato.
Anche il papa adotta il marengo: pesa infatti 6,451 grammi d’oro a 900 millesimi la moneta da 20 lire coniata a Roma a partire dal 1866
Ebbene, dopo il 16 giugno 1866, con l’inizio del XXI anno e la promulgazione dell’editto, queste monete risultano ormai anacronistiche ma, visto che ormai la produzione è in corso e che per incidere i nuovi coni ci vogliono settimane di lavoro, si decide di mantenerle in corso legale in quanto decimali. Di questi “campioni” circolanti, le 2 lire e la lira risultano rarissime.
Porta Pia, i plebisciti e il tramonto della lira pontificia
Dopo Porta Pia, i plebisciti si svolgo il 2 ottobre 1870 nelle cinque province che formavano l’ormai scomparso Stato Pontificio e, complessivamente, su 167.548 aventi diritto, dei 135.291 che si recano alle urne i favorevoli all’annessione risultano 133.681.
Due esempi di lire pontificie di Pio IX modificate per scopi satiici, bulinando il ritratto del papa
Una settimana dopo Vittorio Emanuele II promulga il decreto con cui sancisce l’annessione dei territori conquistati al Regno d’Italia. Inizia così l’ultima fase di vita della lira di Pio IX e delle altre monete pontificie, quella che vede il loro progressivo ritiro e l’avvio al crogiolo.