di Roberto Ganganelli | La nostra storia – almeno per il grande pubblico – inizia con la pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 31 del 7 febbraio 1908 dal Regio decreto n. 22 “che autorizza la fabbricazione di nuove monete di nichelio puro da centesimi 20 e ne stabilisce il tipo”. Dal punto di vista metrologico, la nuova tipologia di moneta da 20 centesimi di lira avrebbe avuto un peso di 4 grammi, con tolleranza dell’1%, diametro di 21 millimetri e contorno “sottilmente scanalato”, come si legge all’art. 2 del Regio decreto.
“Le monete di nichelio – recita invece l’art. 3 che segue – portano nel diritto una figura muliebre rappresentante l’Italia che reca in mano una spiga di frumento; a sinistra, sopra la spiga, è la parola ITALIA in carattere lapidario romano; nel rovescio, una rappresentazione simbolica della liberà recante una fiaccola nella mano sinistra. Al di sotto, dall’alto al basso, si seguono l’indicazione del valore, espresso con le cifre C. 20, l’anno di coniazione e lo Scudo Sabaudo”.
Produzione prevista, 200 milioni complessivi di esemplari per 40 milioni di lire di valore nominale. Scopo, la sostituzione (art. 1) “del contingente di monete di nichelio misto, di nichelio puro e di bronzo di cui all’articolo primo della legge 9 luglio 1905, n. 363 (i 20 centesimi del 1894, i 25 centesimi del 1902-1903 e i 5 e 10 centesimi di modulo grande coniati nella seconda metà del XIX secolo per Vittorio Emanuele II e Umberto I).
Parliamo ovviamente, per i collezionisti, della celeberrima 20 centesimi coniata sotto forma di prova dallo Stabilimento Johnson di Milano nel 1907, emessa regolarmente dal 1908 al 1914 e dal 1919 al 1922 in quantità per la circolazione e, in seguito, prodotta solo per i numismatici, in poche centinaia o decine di esemplari l’anno, dal 1926 al 1935 (senza contare qualche prova in acmonital-nichel del 1939 apparsa di recente sul mercato).
Correttamente, la moneta è da indicarsi come tipo Libertà librata; la sua coniazione avvenne presso la Regia Zecca di Roma – nei primi anni nella vecchia sede ex papalina, poi nel nuovissimo stabilimento dell’Esquilino – con matrici incise da Luigi Giorgi (1848-1912) e su modelli plasmati dal piemontese Leonardo Bistolfi (1859-1933), valente scultore simbolista e, in seguito, senatore del Regno.
La numismatica è scienza particolare perché, talvolta, azzarda ipotesi non suffragate da alcun documento, per pura deduzione se non, in certi casi, per “entusiasmo” o per ripetizione da fonti non verificate; in altri casi, invece, dettagli non secondari legati alla nostra bella monetazione scompaiono nelle nebbie del tempo, per così dire, pur in presenza di carte che ne dimostrano in modo inconfutabile la veridicità.
Rintracciare quqalcuna di queste carte è ciò che tenteremo di fare in queste righe per rispondere alla domanda: chi sono, sempre che sia possibile identificarle, le due modelle che ispirarono il Bistolfi nella modellazione dei 20 centesimi?
Sappiano che il grande scultore dalle suggestioni neo michelangiolesche nel 1905 era stato chiamato insieme ad altri artisti – tra cui Calandra, Canonica e Boninsegna – a collaborare con la Commissione Permanente Tecnico Artistico Monetaria istituita dal Ministero del Tesoro per garantire la qualità delle nuove serie di monete metalliche e banconote del Regno.
In una lettera datata 3 ottobre 1906, Bistolfi informava l’amico, il grande poeta Giovanni Pascoli, sulle difficoltà di elaborazione dei bozzetti relativi a una moneta da 20 centesimi in nichel, che tentava di predisporre lavorando nella tranquillità di in una piccola serra della cascina di Camburzano, nel Biellese.
La consegna dei modelli, richiesta per la metà di quello stesso mese, per Bistolfi sarebbe giunta tardivamente nel gennaio del 1908, ma avrebbe dato vita ad una delle più felici monete del regno di Vittorio Emanuele III, proprio i 20 centesimi Libertà librata di cui si è e scritto che “all’allegoria della Libertà volteggiante e di gusto floreale del rovescio fa da contrappunto, nel dritto, una scultorea personificazione dell’Italia Mater Frugum con in mano la spiga di grano, per la quale Bistolfi avrebbe utilizzato come modella, secondo la tradizione, una contadina del Biellese”.
A dir la verità, a somigliare ad una prosperosa ragazza delle campagne piemontesi dell’epoca sembra più la Libertà del rovescio che l’Italia, solenne e nitida nei lineamenti come marmorea statua, apposta sul dritto. A svelarcene l’identità – e che identità! – è una lettera inviata dal poeta Dino Campana (1885-1932) a Giacinta Giovagnoli (1884-1967), moglie del letterato Giovanni Papini (1881-1956).
La missiva, spedita da Lastra a Signa (Firenze) probabilmente nel novembre 1917, è riportata integralmente alle pagine 270-271 del volume Lettere di un povero diavolo. Carteggio (1903-1931) curato da Gabriel Cacho Millet ed edito da Polistampa, a Firenze, nel 2011.
Come moltissime altre spedite dal Campana, la lettera ha per oggetto la sua controversa e disperata storia d’amore con la scrittrice e poetessa Sibilla Aleramo (1876-1960), che aveva conosciuto Campana durante la Grande Guerra in quanto il poeta – ufficialmente per una nefrite, in realtà a causa di conclamati disturbi mentali – era stato ritenuto inabile per il fronte.
I due avevano dei caratteri molto diversi: lei estroversa, emancipata, mondana e frequentatrice di salotti, lui schivo, nevortico e misantropo. Ne nacque una tormentata relazione – essenzialmente di tipo fisico, secondo i critici – nella quale non mancarono anche reciprochi sfoghi di violenza. A segnare la fine del rapporto fu l’imposizione, da parte di lei, di far visitare Campana da un celebre psichiatra dell’epoca.
Le scorie di quel legame, tuttavia, sarebbero riemerse prepotenti nei carteggi del poeta al punto da rivelarci – involontariamente – quel piccolo segreto numismatico che “nobilita” la storia della moneta da 20 centesimi oggetto di questo studio, ponendola sotto una nuova luce anche per i collezionisti. Scrive infatti Campana nella lettera alla signora Papini: “Carissima Signora, sarò interamente sincero con lei nella speranza che abbia la pazienza di leggere la mia lettera e non mi abbia dimenticato. Sappia Signora che sui ventini di nichel c’è il ritratto (capelli fronte e tempie) di una certa signora più fredda tremendamente e materialmente gelida del metallo stesso”.
E prosegue, a rivelare l’ambivalenza del suo rapporto con la Aleramo: “[…] Questa carogna è piombata su me come la collera di Dio e mi ha lasciato distrutto dall’orrore per più di un anno e dopo essersi divertita della mia agonia per tanto tempo mi circuisce e sta per ricadermi addosso e mettermi ancora nel suo letto dove accanto all’assassina io mi alzerò con orrore a un tratto nella notte. […]”.
In effetti, il fatto che la Aleramo – piemontese, e in stretti contatti con tutto il mondo artistico e culturale del suo tempo – fosse amica dell’autore della moneta, lo sappiamo per certo; non possiamo dire, invece, se il ritrattino di profilo della poetessa con cui Bistolfi “sciolse l’enigma” del soggetto per il dritto dei 20 centesimi venne realizzato effettivamente tra il 1907 e il 1908, con la Aleramo fisicamente presente come modella, oppure in precedenza, in un’occasione della quale è impossibile sapere di più.
Sta di fatto che il profilo di Sibilla ne uscì – sul dritto dei 20 centesimi – idealizzato e classicheggiante, depurato di gran parte della prorompente sensualità della Aleramo e volutamente non così identificabile se non da quanti – come Campana, pazzo d’amore per lei, e pochi altri artisti della “cerchia” – erano a conoscenza del dettaglio per esserne venuti a conoscenza, direttamente o indirettamente, dallo maestro Bistolfi.