Storia, iconografia, ipotesi fra mito e religione su una moneta dell’85 a.C. sul cui rovescio compare un misterioso genietto alato a cavallo di una capra
di Elisa Sixt | Rimane ancora avvolta nel mistero l’effigie rappresentata sulla serie di denari repubblicani romani fatta coniare da Manlio Fonteio nell’anno 85 a.C. Sul dritto compare una testa laureata rivolta verso destra, con capelli a riccioli cadenti anche sul collo. In corrispondenza della nuca dietro la scritta Mn. Fontei. Cf, una folgore sotto il collo, sotto il mento il monogramma AP.
Al rovescio, la moneta presenta una corona di alloro con inserito un genietto alato cavalcante una capra con pilei stellati in alto e all’esergo un tirso. L’identificazione della testa del dritto e del genietto alato del rovescio non sono univoche, e soprattutto l’identità del genietto lascia molti dubbi.
Le ipotesi riguardanti l’identità della testa laureata sono fondamentalmente due. La meno plausibile la identificherebbe con Apollo, in quanto la testa rappresentata sulla moneta corrisponde alla raffigurazione classica del della divinità greca: testa giovane, riccioluta o con ciocche di capelli ben definite, avvolto da un mantello; il fascio di saette al di sotto del ritratto potrebbe essere stato aggiunto come simbolo di potere, come si faceva con il caduceo, il tridente e lo scettro per altre divinità.
Tuttavia, è maggiormente accreditata l’ipotesi secondo la quale il ritratto sarebbe quello di Veiove, anche tenendo presente la raffigurazione al rovescio.
Veiove (o Vediovis in latino) era un dio di origine italica o etrusca, oggetto di culto sin dalle origini di Roma, la cui natura non è però ancora del tutto chiara.
Nell’antico calendario delle feste romane gli era dedicato l’agonio del 21 maggio. Veiove era considerato il protettore dell’Asylum, il bosco sacro che si trovava nella sella del Campidoglio; proprio su questo monte gli era stato dedicato uno dei due templi romani (l’altro sull’isola Tiberina).
Aulo Gellio, riprendendo un passo di Plinio, descrive la statua di culto presente nel tempio come quella di un giovane laureato con riccioli scendenti e una lunga clamide sulle spalle armato di arco e frecce, con accanto una capra che gli era sacrificata.
Ovidio, riferendosi alla medesima statua di legno aggiunge che accanto al giovane vi era una capra. Confrontando le descrizioni letterarie con la moneta le caratteristiche coincidono, eccetto le frecce/fulmine (ma possono essere facilmente scambiati).
Anche se vari studiosi continuano a sostenere l’identificazione con Apollo, ulteriori elementi confutano questa ipotesi. Va infatti ricordato che la religione romana era un fenomeno complesso, in continua evoluzione grazie a un pantheon non rigidamente definito che favoriva l’assorbimento di divinità etrusche e soprattutto greche. Spesso gli dei romani furono assimilati a quelli greci, acquisendone l’aspetto, la personalità e i tratti distintivi.
Di qui Veiove venne collegato alla divinità greca di Zeus, acquisendone le peculiarità, per venire più tardi identificato con Giove, in particolare con Giove fanciullo o la parte oscura di Giove (Veiove era anche considerato il dio della vendetta e il prefisso ve- in latino ha valenza negativa), per giungere infine, in epoca tarda, a identificarsi con Apollo.
Guardando poi alla raffigurazione sul rovescio troviamo altri elementi: una capra (elemento comune sia a Veiove che a Giove rappresentate la fertilità), il tirso e i pilei stellati. Gli ultimi due sono più propriamente attributi dei Dioscuri, i figli di Zeus e Leda.
Il loro culto nacque a Sparta, si diffuse rapidamente in tutta la Magna Grecia per poi venire assimilato anche a Roma, dove vennero venerati con il nome di Càstori. Erano inoltre particolarmente venerati dai tuscolani (la gens Fonteia, a cui apparteneva Manio, magistrato monetario nell’85 a.C. che coniò questa serie di monete, era originaria di Tusculum) in quanto divinità protettrici della loro città.
I Dioscuri erano rappresentati in nudità eroica, con il pileo (copricapo conico), una stella sulla fronte, il mantello e a cavallo o accanto a esso. Compaiono sul retro dei denari dal III secolo alla seconda metà del II secolo a.C.; furono probabilmente scelti da Fonteio, quando ormai la loro presenza sulle monete era in disuso, proprio perché legati alla sua città d’origine.
Per quanto riguarda il genietto alato l’ipotesi più plausibile è dunque che si tratti di una mera immagine di repertorio, o di una rappresentazione fantasiosa di un Giove fanciullo che cavalca la capra Amaltea.
La moneta, in ogni caso, esemplifica molto bene la complessità della religione romana e delle scelte iconografiche dei monetari, dettate dal gusto personale, dalla tradizione, oppure da precise ragioni socio-politiche.