La scena dell’Annunciazione su due tipi monetali celebri del Medioevo | Storia, simboli e curiosità di queste rare e bellissime monete del Meridione
di Roberto Ganganelli | A Carlo I d’Angiò, nella seconda metà del XIII secolo, va riconosciuto un merito assoluto: quello di aver voluto introdurre nella sua monetazione uno dei tipi più belli e suggestivi in assoluto, che ha segnato il Medioevo italiano e che anche oggi incanta collezionisti in tutto il mondo: il saluto.
Coniato in oro e in argento con le rispettive metà, anche a nome del successore Carlo II, questo nominale emesso nell’ultimo quarto del Duecento e nei primissimi anni del secolo seguente riporta, al dritto, KAROL DEI GRA IERL’M SICILIE REX (esistono varianti) attorno ad uno stemma bipartito, di Gerusalemme e di Francia sormontato – nell’oro – da un crescente tra due stelle a sei raggi ed affiancato da due rosette tra quattro stelle a sei raggi.
Al rovescio una scena di grande bellezza, quella dell’Annunciazione con l’arcangelo Gabriele e la Vergine e, in basso, un vaso con pianta di giglio. L’arcangelo ha nella mano un ramo di melograno. La legenda, anche questa riscontrabile in diverse varianti di abbreviazione, è l’inizio del messaggio divino alla Madonna: “Ave Maria gratia plena Dominus tecum” (AVE GRA PLENA DNS TECVM, AVE GRA PLENA DOMINVS TECVM, AVE GRACIA PLENA DNS TECVM e AVE GRACIA PLENA DOMINVS TECVM).
Il saluto e il mezzo saluto d’argento di Carlo I d’Angiò
Pur divenuta ben presto, per tutti, “il saluto”, la moneta nacque sulla base del carlino e fu la prima moneta grossa in argento del Medioevo a sud di Roma. Gli esemplari d’oro avevano invece la stessa bontà del fiorino, ma contenevano meno oro e, inoltre, il loro peso fu diminuito di 6 trappesi in modo da allinearsi allo stesso valore dell’augustale.
Il saluto d’argento era ragguagliato a quello d’oro nel rapporto di quindici a uno. La versione d’oro pesa in media g 4,35-4,40 per un diametro di mm 22; quella d’argento, invece, presenta un peso medio di g 3,20 per diametri variabili tra mm 22 e 25. I diametri delle rispettive metà sono invece di mm 18,5 e di mm 21 circa.
Saluti e mezzi saluti degli Angiò furono coniati nell’officina monetaria napoletana di Castel dell’Ovo, che all’epoca si chiamava Castel Capuano, con personale fatto venire dalle zecche di Brindisi e di Messina. Per prevenire la frode della doratura delle monete d’argento, che erano molto simili, quelle d’oro presetano diametri più piccoli e ornamenti al dritto, attorno allo stemma.
Entrambi i sovrani angioini nutrivano una particolare devozione per la Madonna e la scelta della scena dell’Annunciazione fu dovuta – senza dubbio – anche alla venerazione verso la Vergine Maria diffusissima anche a livello popolare.
Il saluto e il mezzo saluto d’oro di Carlo I d’Angiò
Fu proprio per rispetto alla Vergine, inoltre, che lo stesso re Carlo I volle che la scena dell’Annunciazione sulla moneta non dovesse mostrarsi capovolta all’atto di una rotazione della moneta stessa introducendo così – altro primato – l’asse “a medaglia” nella numismatica medievale occidentale.
A riprova di quanto il sovrano tenesse a questa tipologia, le cronache e le fonti ci riportano che egli stesso avrebbe esaminato i bozzetti per il nuovo tipo e che, anche se spesso il re non fosse dello stesso parere di Giovanni Fortino, artista di corte, per il saluto (o carlino) al tipo dell’Annunciazione il disegno presentato dall’artista lo entusiasmò.
La scena è una vera e propria miniatura di gusto gotico meridionale, non priva di elementi di originalità artistica: da notare la simmetria perfetta delle figure, entrambe in piedi (fatto non comune nelle figurazioni pittoriche di questo soggetto). E ancora, come la mano dell’arcangelo Gabriele indichi il nimbo della Vergine quale simbolo di suprema santità.
Il saluto d’argento di Carlo II d’Angiò
Elegante anche la scelta di raffigurare le ali spiegate ad angolo retto, il tutto nell’abbraccio del cerchio di perline che – dividendo la scena centrale dalle legende in caratteri onciali – tratteggia un’architettura monetale di formidabile, elegante semplicità.
Due annotazioni simboliche e “botaniche”: sul rovescio di saluti e mezzi saluti compaiono una pianta di giglio e un frutto di melograno. E se quest’ultimo richiama, fin dall’antichità classica, il concetto di fertilità, la prima simboleggia quella purezza della Vergine Maria, esente da peccato originale, che portò Dio a sceglierla come madre del Redentore.
Il saluto d’orodi Carlo II d’Angiò
Fu una coniazione di successo, dunque, il saluto angioino, e ben presto divenne anche oggetto devozionale – vera e propria “moneta reliquia” – a motivo di quella scena evangelica da cui ha inizio la storia della Salvezza.
Tuttavia, come sempre accade per le monete, oggetti estremamente “terreni” anche se poetici e dal forte richiamo religioso, non mancarono quanti – di fronte a quegli ori e argenti nuovi di zecca – ebbero all’inizio qualche sospetto. Così, i devoti sovrani angioini decretarono che, quanti non avessero voluto accettare o spendere saluti e mezzi saluti, sarebbero stati severamente puniti, anche con la marchiatura sul volto con una moneta arroventata.