Dopo il loros e l’akakia, un altro simbolo di potere che da Roma “migra” a Costantinopoli | Solidi, follis e altre monete come veicoli di comunicazione politica

 

di Luca Mezzaroba | In due articoli precedenti ci siamo occupati di come alcune peculiari insegne dei consoli della tarda antichità siano sopravvissute nel costume dei sovrani bizantini e, pur evolvendosi in modo spesso particolare, abbiano rappresentato per secoli importanti elementi dell’iconografia imperiale tanto nei mosaici e nella letteratura quanto, soprattutto, nella numismatica, vera e propria “fucina” di propaganda per i sovrani di Costantinopoli.

La figura del basileo, imperatore e rappresentante di Dio

La figura del basileus di Bisanzio, in quanto legittimo erede del’Impero romano e al tempo stesso unico rappresentante di Dio sulla terra, nel corso del tempo concentrò su di sé le caratteristiche tipiche della tarda antichità, fondendole con la realtà cristiana; tale comportamento è ben riscontrabile nell’evoluzione dei suoi titoli e delle sue insegne del potere; dal VI secolo ad esempio il sovrano di Bisanzio rivestì anche la carica di console.

Nei precedenti articoli abbiamo visto come questa scelta avesse avuto evidenti ricadute anche sul piano pratico e come si fosse sviluppata nella successiva iconografia numismatica bizantina: dai dittici consolari (tavolette in avorio su cui era rappresentato il magistrato) sappiamo che i consoli portavano diverse insegne tipiche del loro rango: la trabea triumphalis, la mappa e lo scettro.

Se infatti la prima si era trasformata nel loros, il più importante simbolo della regalità bizantina, la seconda era divenuta l’akakia, un oggetto simbolico ricorrente nel cerimoniale ma anche nella numismatica imperiale. In quest’ultimo articolo ci soffermeremo sul terzo elemento, lo scettro, analizzando la sua evoluzione iconografica ma anche simbolica.

Lo scettro nell’arte bizantina: i dittici consolari

Grazie ai dittici consolari sappiamo dunque che lo scettro era composto da un lungo bastone di avorio (scipio eburneus), tenuto dai magistrati nella mano sinistra e abbellito, nella parte superiore, dalla rappresentazione di un’aquila o più raramente di una piccola Vittoria alata. Come si avrà modo di vedere, questa particolare forma sopravvisse praticamente inalterata fino all’inizio dell’VIII secolo ma, nei primi secoli della storia bizantina, essa subì una sorta di “oscuramento” nelle fonti letterarie, iconografiche e numismatiche.

Lo scettro nelle monete di CostantinopoliParticolari del dittico di Flavio Anastasio (517). Parigi, Bibliothèque Nationale de France

Se infatti è molto probabile che Giustiniano impugnasse lo scettro durante il trionfo sui Vandali del 534, è altrettanto vero che questo non compare nelle accurate descrizioni, forniteci da diversi letterati della corte imperiale, di altri sovrani del VI secolo (Anastasio I, Giustino I e Giustino II). Lo stesso discorso vale per l’iconografia presente nelle monete: la prevalenza del costume militare (VI secolo) e di quello civile (VII secolo) nonché l’emergere sempre più forte di elementi tipicamente cristiani (croci, globo crucigero) non favorirono certo un’insegna comunque legata ad una magistratura “minore” e alla tradizione pagana.

La “rinascita” dello scettro nella monetazione bizantina

L’occasione che consentì allo scettro consolare di “riemergere” sul piano iconografico derivò, come del resto era avvenuto per la mappa, dalla crisi seguita alla fine della dinastia di Eraclio: nell’interessantissima produzione numismatica degli anni 695-717 è possibile notare la ricomparsa dello scettro nelle monete di Filippico Bardane (711-713).

Nei suoi solidi infatti Filippico, che sarà deposto e accecato dopo soli due anni di regno, appare con diverse insegne tipiche dei suoi immediati predecessori (come il loros e il globo crucigero) tuttavia nella mano sinistra stringe lo scettro sormontato da un’aquila, in tutto simile a quello dei consoli dei secoli precedenti. Pure nei suoi follis il sovrano, pur indossando abiti militari, non rinuncia allo scettro, anche se forse rappresentato in modo più stilizzato.

A sinistra, solido di Filippico (oro, g 4,44; mm 20; h 6): a destra, follis di Filippico (bronzo, g 3,01; mm 18; h 7)

La precoce caduta di Filippico segna tuttavia una brusca fine della rappresentazione “classica” di questa insegna, che non verrà più raffigurata in questo modo nelle monete bizantine.

Come del resto era già accaduto per gli altri simboli consolari, anche lo scettro conobbe un lento ma inesorabile mutamento che ne modificò la forma ma anche il significato simbolico, facendogli assumere caratteristiche sempre più legate alla “cristianità”; tuttavia, mentre l’akakia e il loros si imposero in modo molto forte nell’iconografia monetaria, divenendo simboli imprescindibili per la figura imperiale, lo scettro non ebbe altrettanta fortuna.

Dai culti pagani all’ascesa del Cristianesimo

La rimozione dei simboli pagani in favore della croce, sostituzione per la verità già avvenuta nel VII secolo, come dimostrano alcuni follis dell’imperatore Foca (602-610), invece che favorire l’inserimento dello scettro nella sua forma “realistica”, nell’iconografia dei solidi, ne pregiudicò la presenza in favore di sue rappresentazioni del tutto “fantasiose” e di elementi simbolici come la “croce potente” e la croce patriarcale.

Proprio per il loro carattere simbolico e ormai privo di legami con l’oggetto fisico, in questo articolo non ci occuperemo in modo specifico di tali elementi, sarà opportuno comunque sottolineare che la loro presenza fu dominante nelle monete per circa due secoli, l’VIII e il IX.

La “croce potente” in particolare fu un simbolo molto presente a partire dai solidi di Costantino V, nei quali essa appare formata da una base da cui si diparte un’asta non molto lunga, tenuta nella destra dal sovrano, fino ad arrivare a quelli di Niceforo I o di Michele II, nei quali l’asta è priva di base e la posizione della mano e delle dita sono molto particolari.

Lo scettro nelle monete di CostantinopoliA sinistra, solido di Costantino V (oro, g 4,44; mm 20,5; h 6); a destra, solido di Niceforo I (oro, g 4,45; mm 19,5; h 6)

Secondo gli studi di Grierson gli scettri “di fantasia” nelle monete di quei secoli sarebbero poi da associare non solo e non tanto alla figura del sovrano regnante ma, più frequentemente, a quelle dei correggenti e delle imperatrici.

Formate da un’asta sormontata da una semplice croce, a parte alcune eccezioni, queste insegne appaiono infatti quasi sempre poggiate sulla spalla sinistra dei figli associati al trono o delle mogli dei basilei: è il caso ad esempio di Teofilo nelle monete del padre Michele II, di Michele III nelle monete del padre Teofilo o ancora di Teodora nei solidi del figlio Michele III o di Eudocia in quelli del marito Basilio I.

Dallo scettro simbolico a quello realistico

La situazione cambia radicalmente nei solidi del X e dell’XI secolo: in queste monete infatti la rappresentazione degli scettri è certamente realistica in quanto corrisponde alle descrizioni letterarie, alle testimonianze musive e persino ad alcuni oggetti preziosi ancora esistenti.

A sinistra, solido di Michele III con Teodora e Tecla (oro, g 4,32; mm 22; h 6); A destra, solido di Basilio I con Costantino ed Eudocia (oro, g 4,30; mm 21; h 6)

“Quando la cerimonia [di Pasqua] ha fine, i sovrani depongono lo tzitzakion, si avvolgono nella loro sciarpa d’oro e cingono la corona bianca o rossa, come desiderano. Nella mano sinistra essi reggono lo scettro crucigero d’oro incrostato di pietre preziose e di perle”; la descrizione fornita da Costantino VII nel Libro delle cerimonie, per quanto priva di dettagli, coincide con lo scettro di origine bizantina conservato nella cattedrale di Tournai, formato appunto da un’asta d’oro sormontata da una croce arricchita da pietre preziose e perle.

Queste testimonianze confermano dunque il realismo degli scettri che appaiono nelle monete dei sovrani di quel periodo, in cui essi tengono nella mano destra un’asta con croce decorata da quattro “tondi” sulle estremità dei bracci. Chiari esempi di questo tipo di scettro si possono vedere ad esempio nella classe I dei follis di Niceforo II Foca, nella classe III degli histamena di Costantino IX e nella classe I degli histamena di Niceforo III.

Lo scettro nelle monete di CostantinopoliA sinistra, follis di Niceforo II (bronzo, g 9,2; mm 26; h 6); a destra, histamenon di Niceforo III (oro, g 4,33; mm 30; h 6)

Esistono poi altre tipologie di scettri più complesse, tuttavia la loro presenza nelle monete bizantine è molto più rara e in ogni caso spesso associata a figure decisamente particolari della storia bizantina, come ad esempio sovrane che regnarono da sole.

La “croce fiorita” e altri simboli sulle monete e non solo

Lo scettro con “croce fiorita” appare esclusivamente nella classe I degli histamena di Costantino IX, la sua reale esistenza è comunque confermata dallo smalto, conservato a Tbilisi, in cui la stessa insegna è nelle mani dell’imperatrice Maria di Alania. Nella moneta esso è formato da un’asta decorata da tre croci, una più grande e due più piccole.

A sinistra, histamenon di Costantino IX (oro, g 4,43; mm 30; h 6); a destra, Michele VII e Maria di Alania incoronati da Cristo (smalto su fondo d’oro e pietre preziose; Tbilisi, The Georgian State Art Museum)

Sono veramente molto rari infine gli ultimi due tipi di scettri, associati appunto a figure femminili che dominarono la storia di Bisanzio nell’XI secolo: il primo, formato semplicemente da un’asta decorata da tante piccole “palle” (probabilmente pietre preziose) è visibile sia nei tetartera di Zoe che negli histamena di Eudocia Macrembolitissa; l’ultima tipologia invece appare in alcune monete di Zoe e nei tetartera di Costantino IX ed è formata da uno scettro “a tre punte”; la forma reale di quest’ultimo scettro è ben riconoscibile tra le mani del doge Ordelaffo Falier nella celebre Pala d’Oro conservata a Venezia.

Lo scettro nelle monete di CostantinopoliA sinistra, tetarteron di Costantino IX (oro, g 4,01; mm 18; h 6); a destra, Ordelaffo Falier impugna lo scettro “a tre punte” (dalla Pala d’oro, Basilica di San Marco, Venezia)

Quest’ultimo accenno alla realtà veneziana, e italiana, ci porta a proporre un’ultima considerazione: la figura del console (in greco ypatos) fu certamente presente all’interno della corte di Costantinopoli e andò soggetta a grandi mutamenti nel corso dei secoli, da un lato divenendo un semplice titolo per modesti funzionari e dall’altro, nella sue essenza più profonda, finendo assorbita nella figura del sovrano assieme a tutte le sue insegne.

Questo è il motivo della reale trasformazione degli antichi attributi consolari in insegne dal profondo valore cristiano e cerimoniale, come si è visto utilizzate dai sovrani nelle più importanti cerimonie imperiali. Per contro, il ricordo del console come magistrato di una certa importanza rimase vivo in quelle realtà italiane medievali ancora legate in quale modo al mondo bizantino (erede della tradizione romana).

Si spiega in questo senso la presenza di diverse insegne, prima tra tutte lo scettro, nelle mani del doge di Venezia ma anche dei duchi di Napoli, Amalfi e Gaeta.