Dal mensile Il Secolo XX un reportage d’altri tempi nell’officina monetaria | Un viaggio ricco di curiosità nel “regno dell’oro, dell’argento e del nikel”
di Roberto Ganganelli | Nel 1902, la casa editrice milanese Fratelli Treves fa debuttare nel panorama dei periodici italiani Il Secolo XX. Rivista popolare illustrata; la famosa Illustrazione Italiana ha già un vasto pubblico e all’editore serve un mensile popolare da usare come palestra per la propria scuderia di autori.
Gerente responsabile viene nominato Elia Ghiringhelli; il mensile affronta argomenti di cronaca, attualità e letteratura. E, dal 1907, anche Il Secolo XX diventerà noto per le sue eleganti copertine a colori. Numerose sono le illustrazioni e soprattutto le foto che danno appetibilità a Il Secolo XX e fino al 1933, anno in cui cessano le pubblicazioni, la testata registra collaboratori di grido sia fra gli artisti che fra gli autori di testi.
L’emblema della casa editrice Treves al motto di “Laboremus” e la copertina del mensile di agosto 1902 in cui è pubblicato il reportage sulla Zecca di Roma
Sfogliando il fascicolo III del primo anno di edizioni, uscito nell’agosto 1902 al prezzo di 50 centesimi (75 per l’estero), troviamo un articolo illustrato di quattordici pagine (dalla 275 alla 288) firmato Matteo Pierotti: Nel regno dell’oro, dell’argento e del nikel. La Zecca di Roma.
Documento formidabile, quel viaggio nel tempo alla Zecca, sia per le informazioni che contiene che per le immagini d’officina e di personaggi come il commendator Israel Sacerdote, all’epoca direttore, o il celebre Filippo Speranza, veterano del bulino autore di monete per i papi e tre re d’Italia.
E, sebbene altri studi abbiano dettagliato aspetti sulla collocazione, l’operatività e i processi industriali dell’officina monetaria d’Italia, questo documento in presa diretta conserva, nel linguaggio dell’epoca, una freschezza e un interesse che ha fatto decidere a chi scrive e a Cronaca numismatica di riportarne e commentarne i passi più curiosi e farvene omaggio.
Si spalancano i cancelli del Sancta Sanctorum della moneta
“Modesto, nascosto, inosservato” viene definito l’edificio che, all’alba del XX secolo, ospita la Regia Zecca di Roma; si trova dietro l’abside di San Pietro, presso “il gran portone occidentale del Vaticano” e, non a caso, si tratta proprio della ex officina monetaria pontificia – attiva da secoli in quel luogo – passata, dopo Porta Pia, di pertinenza del Regno e dei nuovi padroni della Città eterna.
“Siamo sul punto famoso del territorio contestato sul quale l’Italia e il Vaticano sostengono la sovranità rispettiva”, annota Pierotti, e la Zecca si trova in “una costruzione bassa, vecchia, sbiadita, disadorna, irregolare” con finestre protette da robuste inferriate. “Il signor Edoardo Boccanegra, capo-tecnico della Zecca, come già lo furono i suoi antenati, da non so quante generazioni, mi fa da guida”, prosegue l’autore… e il viaggio ha inizio.
Viaggio nel tempo alla Zecca di Roma: qui la fase di fusione delle leghe da monetazione (in realtà, si tratta di un’immagine presa alla nuova officina dell’Esquilino, ma dal 1902 al decennio seguente ben poco era cambiato)
I sotterranei della ex zecca papale, ormai divenuta “regia”
Qui si svolge la fusione del metallo e Boccanegra spiega come si tratti di argento, destinato alle monete da una e due lire tipo Aquila araldica che, nel 1902, vennero coniate in 4.083.605 e in 549.288 esemplari. Diametri, pesi e titolo sono ancora quelli previsti dagli accordi dell’Unione monetaria latina del 1865: la lira pesa 5 grammi a 835 millesimi e misura 23 millimetri; le due lire, al medesimo titolo, misurano 27 millimetri per 10 grammi.
“Poi faremo del rame e del nikel” aggiunge il capo tecnico: in quell’anno, infatti, l’Italia emette la sua prima pezzatura da 25 centesimi in 7.773.480 esemplari. Purtroppo sia per il soggetto – l’aquila sabauda – che per diametro e peso – mm 21,5 per g 4 – queste monete previste con un contingente di 120 milioni di pezzi da realizzare tra il 1902 e il 1903 vedranno la luce in soli 13.668.000 esemplari e saranno messe fuori corso già nel 1908, con Regio decreto n. 54 del 10 febbraio. Una volta ritirate e prescritte, ne rimarranno appena 314.854 pezzi, che rendono oggi questa moneta rara per i numismatici.
Le due lire e la lira in argento del 1902, tipo Aquila sabauda, con un ritratto ancora giovanile del “re numismatico” Vittorio Emanuele III bulinato dal maestro Speranza
Una curiosità, il fatto che – sebbene ritirate dal territorio metropolitano – parte delle monete da 25 centesimi verranno spedite via piroscafo nella Somalia Italiana a costituire – prima della serie denominata in rupie – la prima massa metallica circolante della colonia d’Africa.
Per quanto riguarda il rame, nel 1902 la zecca italiana provvede a produrre appena 26.308 pezzi da un centesimo (mm 15 per g 1), con ritratto giovanile del re e denominazione tra rami: due tipi, insomma, mutuati pari pari dalla monetazione dei due sovrani precedenti e ancora legati alla tradizione iconografica nata con Napoleone.
La novità del 1902, nella monetazione del Regno, sono i 25 centesimi in nichel che saranno battuti solo per due anni; a destra il centesimo 1902, vera e propria rarità
Viaggio nel tempo alla Zecca: le lavorazioni, il “riciclaggio” delle monete
Boccanegra, alla domanda sulla lavorazione dell’oro, accenna alle monete realizzate con il metallo prezioso proveniente dalla Colonia Eritrea, le rarissime e famose 20 lire Ancoretta: nel 1902 ne furono realizzate 115 e poche di più, appena 181, senza questo particolare segno distintivo al dritto. Due marenghi oggi R4, coniati con il solito diametro di mm 21 per g 6,45 a titolo di 900 millesimi.
Ben altri i tempi in cui – “nel 1880, quando si fece la conversione monetaria, si lavorò per un anno intero monete d’oro; se ne coniava, lavorando giorno e notte, per mezzo milione ogni 24 ore, ciò che equivale a 180 milioni in dodici mesi”.
Nel viaggio nel tempo alla Zecca di Roma si accenna anche alle splendide 20 lire in oro del 1902, parte delle quali fu coniata con l’oro della Colonia Eritrea al simbolo dell’ancoretta
Raramente il metallo, tuttavia, proviene dall’estero: ciò accade per il nichel dei 25 centesimi mentre la gran massa dell’argento, del rame e perfino dell’oro è frutto della rifusione e dell’affinamento di monete logore e fuori corso. Quelle monete degli stati preunitari tra le quali, spesso, Vittorio Emanuele III scovava veri e propri tesori, inediti e rarità che inseriva nella propria collezione.
I segreti del signoraggio, solo in parte svelati al pubblico
Interessante, a seguire, il paragrafo in cui si parla del cosiddetto “signoraggio”, ossia della differenza tra il valore nominale di una moneta e il suo valore intrinseco e costo effettivo di produzione: ciò che, in sostanza, costituisce il margine di profitto dell’autorità emittente, in questo caso il Regno d’Italia.
Quale signoraggio sulle monete italiane di inizio XX secolo? Ben poco sull’oro, quasi la metà sull’argento, sfiora i tre quarti sul rame (in rosso il “guadagno” dello Stato)
Se, si legge nell’articolo de Il Secolo XX, “in un pezzo da 20 lire c’è un valore effettivo di 19 lire e 70 centesimi”; un pezzo da una lira d’argento ha un valore effettivo di appena 45 centesimi (il 55% di signoraggio!) le cose vanno un po’ meglio, ma non molto, per lo scudo da 5 lire che è coniato a 900 millesimi e non a 835. Boccanegra tace, invece, sulle monetine fatte di nichel e di rame, quasi del tutto “fiduciarie”.
L’officina di laminazione, la produzione e l’orlettatura dei tondelli
L’inviato del mensile edito dai fratelli Treves viene fatto passare nei vasti e rumorosi locali in cui le verghe provenienti dalla fusione vengono affinate nello spessore e ridotte in tondelli; questi, una volta ricotti per ammorbidirli, passano poi – parliamo ancora di argento – nell’acido solforico e vengono infine lavati per essere quindi orlettati con il celebre FETR tra nodi e rosette lungo il bordo.
Una delle due macchine pesatrici di produzione austriaca, costate alla Regia Zecca ben 16.000 lire l’una e fiore all’occhiello del processo industriale ad inizio Novecento
Segue la pesatura, con due macchine automatiche da poco acquistate dalla Regia Zecca e che tuttora fanno bella mostra di sé nel percorso museale di IPZS lungo la Via Salaria a Roma. Macchine pesatrici “fatte venire da Vienna” e costate ognuna ben 16.000 lire; dispositivi sofisticati grazie ai quali i tondelli non in tolleranza vengono individuati in modo veloce e, assieme agli scarti di taglio, inviati di nuovo alla fonderia.
In tutte queste operazioni cui decine di operai maneggiano metallo prezioso per il valore di migliaia di lire; la sicurezza della filiera produttiva, perciò, è fondamentale e le maestranze in ingresso e in uscita sono costretta e spogliarsi e rivestirsi completamente “con altri panni”. Del resto, chiosa il capo tecnico, anche l’occultamento ingegnoso non varrebbe la pena dato che “l’argento val molto poco” e “non varrebbe la pena di rischiare per pochi centesimi il licenziamento e la galera”.
Un altro macchinario all’epoca d’avanguardia impiegato nell’officina monetaria, un pantografo riduttore per passare dai modelli ai punzoni per monete e medaglie
Viaggio nel tempo alla Zecca: finalmente, signore e signori… la coniazione!
Anche qui, fra le moderne presse fatte venire dalla Germania e gli antichi, grandi torchi pontifici attivi fin dalla prima metà del Settecento, le misure di sicurezza sono severe, sebbene meno stringenti perché “ogni operaio riceve, volta per volta, cinquemila tondelli da coniare e deve restituire cinquemila monete”. Dunque, il controllo è presto fatto.
“Il miglior cliente è il Vaticano”, prosegue Matteo Pierotti nel suo reportage: “La Zecca lavora infatti, a tempo perso, per chiunque le commetta ordinazioni”. Mediamente, veniamo a sapere, ogni anno gli “usurpatori sabaudi” con la loro officina monetaria nell’Urbe incassano circa 20.000 lire da Oltretevere.
Interessanti, di questo viaggio nel tempo alla Zecca di Roma, alcuni dettagli – quasi pettegolezzi – sul progetto di un’officina monetaria vaticana – accantonato dal pontefice Leone XIII – e sulla vicinanza “eccessiva” fra lo stabilimento di produzione delle monete italiane e i giardini “dove son le serre e le aiuole e dove Leone XIII si ferma con predilezione ad osservare i progressi e la bellezza delle rarissime varietà di rose e di orchidee che gli furono recentemente inviate in dono”.
Medaglia di Filippo Speranza per papa Leone XIII nel suo 50° anniversario di sacerdozio (1888): coniata a Roma in bronzo dorato, misura mm 61 per g 103 di peso
Una contiguità, effettivamente, fastidiosa al punto che il Vaticano preme a lungo per l’acquisto dei fabbricati dell’officina monetaria: il governo italiano, così, chiede 800 mila lire, ma dalla Santa Sede fanno sapere di non essere disposti a pagarne più di 400 mila e il tutto si arena.
L’agognata quietenei Giardini vaticani, dal lato dell’antica officina monetaria, tornerà soltanto con l’apertura della nuova Regia Zecca di Via Principe Umberto, inaugurata il 27 dicembre 1911. I lavori di costruzione erano iniziati il 27 giugno 1908, sempre alla presenza del re che aveva posato simbolicamente la prima pietra collocando nelle fondamenta dell’edificio la serie di monete di quell’anno.
Nello studiolo del cavalier Filippo Speranza, tra coni e rarità
Prima “commendatore”, poi chiamato “cavaliere”, Filippo Speranza “il quale tien più alla tradizione storica che a tutte le comode modernità promesse, e fortunatamente non mantenute, fuor di Porta Salaria” (qui doveva infatti sorgere, secondo una prima ipotesi, la nuova Regia Zecca) è un altro protagonista dell’articolo del 1902.
Dall’aria solenne, la corporatura robusta, lo sguardo perfino un po’ burbero, Speranza non rilascia dichiarazioni in prima persona all’inviato del mensile, ma si lascia fotografare e due suoi ritratti – uno in posa, l’altro chino sul banco di incisione – illustrano l’articolo dando un volto ad uno dei maggiori artisti del bulino italiani.
Il viaggio nel tempo alla Zecca ci ricorda che il maestro Filippo Speranza ha bulinato medaglie per ben tre re; il primo è stato Vittorio Emanuele II, qui laureato nella coniazione per le esequie del 1878 (bronzo, mm 69 per g 141)
Ideatore, disegnatore e incisore di quasi tutte le monete coniate dallo Stato Pontificio tra il 1860 e il 1870 e, da quel momento, di tutte le tipologie a nome del Regno, Speranza ha il suo studio vicino a quello del direttore dell’officina monetaria, a riprova del suo fondamentale ruolo. Scrive Pierotti: “Le pareti sono ingombre di gessi, di disegni, di fototipie, di incisioni: grandi medaglioni allegorici, abbozzi di medaglie e di monete, profili in rilievo di Re e Pontefici, ritratti di fantasie, figure e decorazioni”.
Anche Umberto I è stato ritratto dallo Speranza su molte monete e medaglie, fra le quali questa – al merito delle istituzioni scolastiche – qui presentata in un esemplare in argento (mm 56 per g 85) con iscrizione dedicatoria al rovescio
Tra queste opere – immerse in un’atmosfera unica, satura dell’odore del gesso e dei solventi – Pierotti nota anche “il magnifico scudo di Vittorio Emanuele III, recentemente coniato, ma che, non so per quale ragione – scrive Pierotti – non è stato ammesso alla circolazione nell’Unione monetaria”.
Si tratta delle celeberrime 5 lire di cui, apprendiamo, “il Re, che tutti sappiamo appassionato numismatico, ne ha ritirati quaranta pezzi; degli altri dieci, nove sono stati dati in dono ad alte autorità e funzionari, mentre uno è stato conservato nel ricchissimo medagliere della Zecca, insieme ai conii, alle medaglie, alle monete, eseguiti dal 1417 al 1902”.
Uno dei soli 114 esemplari (ma sarò davvero questo il numero?) della magnifica moneta non emessa da 5 lire del 1901 con l’aquila araldica di Casa Savoia
Eccoci dunque a quell’eccelsa rarità, di fatto una moneta non emessa, che sono le 5 lire del 1901 (argento 900, mm 37 per g 25): ad oggi si parla di 114 pezzi complessivi mentre allora, dati ancora “freschi” e reperiti in presa diretta, si sapeva di appena 50 esemplari di cui 40 presi in consegna dal sovrano e, come ben noto, usati come omaggi. Dove sarà la verità?
Il viaggio nel tempo alla Zecca di Roma si conclude nello “scrigno dei tesori”
In ogni stanza degli uffici di direzione di quella che è, nel 1902, la Regia Zecca d’Italia esiste – ci fa poi sapere Pierotti dalle pagine de Il Secolo XX – un “tesoro”, ossia un locale chiuso da una cancellata di ferro massiccio “al di là del quale si vedono, come un santuario immerso nella penombra, forzieri allineati e sacchi di monete l’un sopra l’altro”.
Dall’officina monetaria di un secolo fa a quella di oggi: a sinistra il monogramma della Regia Zecca stampigliato su un sacchetto per le monete, a destra il modernissimo edificio produttivo della Salaria, sede anche del Museo della Zecca
Quanto denaro? Quante decine di migliaia di lire d’argento, centesimi di rame, pezzi di nichel da 25 centesimi in quei sacchetti? L’articolo ci parla di una giacenza di otto o dieci milioni in un anno in cui il ministro del Tesoro in carica, Ernesto Di Broglio (1840-1918) loda i conti dello Stato dal momento che fanno registrare un avanzo di varie decine di milioni di lire rendendo quello italiano “il più bel bilancio d’Europa”. Altri tempi…
E’ l’alba di un nuovo secolo, del resto, e si respira ancora a Roma – sebbene, al profumo di amatriciana e carbonara – un’arietta leggera da Belle époque della quale impiegati e sartine si inebriano passeggiando a Villa Borghese e al Pincio pieni di fiducia nell’avvenire e in un progresso socio economico che sembra inarrestabile.
Suscitò molto interesse popolare l’articolo del Pierotti tra i misteri della Regia Zecca, in quella calda estate del 1902, mentre l’Italia – almeno una piccola parte – viveva il sogno della Belle époque fra teatro di rivista, passeggiate romantiche e piacevoli letture
Le immagini della Regia Zecca, ex pontificia, scorrono così di fronte ai loro occhi dalle lastre a nitrato d’argento e dalle pagine de Il Secolo XX mentre, magari, lui si fa i conti in tasca alle poche lirette d’argento – chiedendosi se potrà offrire un “rinfresco” e un giro in botticella all’amata – e lei gli sorride, guardando la capitale dal grande terrazzo mentre laggiù, vicino al Cupolone, le presse e i torchi battono incessanti i loro rintocchi “d’oro, d’argento e di nikel”.
Per un percorso virtuale all’attuale Museo della Zecca clicca qui.