Un motto oraziano su una serie di monete di Mantova di inizio XVIII secolo, fra trofei d’armi e una Minerva: quando ogni simbolo assume un significato…
a cura della redazione | Il motto CONVENIENTIA QVIQVE si ritrova nella monetazione di Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers (1665-1708) decimo duca di Mantova e del Monferrato: sullo scudo, sul mezzo scudo, sul quarto di scudo, sugli 80, 40 e 20 soldi, sugli 80 sesini. Il motto è abbinato ad un trofeo di armi ammucchiate (scudo, mezzo scudo, quarto di scudo, 80 soldi, 40 soldi, 80 sesini) o a Minerva seduta su mucchio di armi (20 soldi).
Nella ghiera dello scudo, del mezzo e del quarto è incisa la dicitura PRÆSIDIA MAIESTATIS (“A garanzia della maestà”): la tosatura delle monete era infatti un atto di lesa maestà. È questa, non a caso, la prima moneta di Mantova con la ghiera lavorata come espediente contro la diffusa frode della tosatura.
Magnaguti e Bellesia vedono nella figura femminile l’allegoria di Mantova ma lo zecchiere Bartolomeo Cotel indica Bellona, la dea della guerra. Magnaguti, riferendosi al trofeo d’armi interpreta il motto nel senso che il duca “si vanta di avere abbastanza armi per tutti “. Bellesia, rifacendosi alle vicende di Ferdinando Carlo e in particolare al fatto che l’imperatore nel 1701 lo aveva dichiarato traditore, interpreta unendo le due parole: “Ciò che è opportuno (la guerra) può essere rivolto a chiunque, anche all’imperatore; le difese dell’autorità costituita stanno proprio nelle armi e nell’onore”.
Per Signorini invece è nei versi di Orazio che va cercata la spiegazione della legenda: il principe, consapevole dei propri doveri, è in grado di assegnare ad ognuno quanto gli conviene.
In Orazio, Arte poetica (312-316) si legge infatti: “Qui didicit patriae quid debeat et quid amicis, / quo sit amore parens, quo frater amandus et hospes, / quod sit conscripti, quod iudicis officium, quae / partes in bellum missi ducis, ille profecto / reddere personae scit convenientia cuique” (“Colui che apprese quali sono i doveri verso la patria e l’amicizia, di quale amore si devono amare i genitori, di quale il fratello e l’ospite, qual è l’ufficio di un senatore e quale di un giudice, quali sono le mansioni di un condottiero in guerra, quello saprà bene attribuire ciò che meglio si addice a ciascun genere di personaggi”).
Saccocci – tutto questo ce lo ricorda come sempre Mario Traina ne Il linguaggio delle monete – mette in relazione la legenda nel giro con quella della ghiera e interpreta “A difesa dell’autorità e convenienti a ciascuno”.
“Poiché – aggiunge – l’esemplare appare impresso anche nel taglio grazie a sistemi meccanizzati di coniazione mai usati in precedenza a Mantova, il significato di tutta la raffigurazione assume un carattere esplicitamente monetario: il soggetto sono le monete stesse che, essendo impresse nel contorno e non potendo quindi essere tosate, da un lato difendevano l’autorità statale che garantiva il valore della moneta, dall’altro erano particolarmente convenienti per chi le accettava in pagamento.
Il trofeo di armi ammassate non sarebbe altro che la rappresentazione della definitiva sconfitta di tosatori e falsificatori, che avevano da sempre imperversato a danno della monetazione ufficiale”.