a cura della redazione | Anche i mari italiani celano tesori nascosti, a decine; tesori che potrebbero valere milioni e milioni di euro. Quante navi, infatti, sono affondate o sono state fatte colare a picco mentre, nelle loro stive, trasportavano denaro, oggetti di valore, metallo prezioso?
E se, ad esempio, delle banconote finite in fondo al mare non resta nulla o quasi nulla – si pensi a quelle recuperate, in briciole, dalle casseforti del transatlantico Andrea Doria – l’incorruttibilità del metallo prezioso fa sì che, anche a distanza di decenni o di secoli, l’oro continui a brillare dal fondo degli abissi risvegliando la curiosità e, perché no, la cupidigia di tante persone.
Una storia, fra le altre. Domenica 7 novembre 1915, al largo di Capo Carbonara, Tirreno meridionale. Verso le 13 il sommergibile tedesco U-38, inalberando bandiera austro-ungarica, affonda il piroscafo Ancona diretto a New York con a bordo 164 uomini di equipaggio, 626 passeggeri, in gran parte donne e bambini, e un carico segreto: dodici casse di sovrane d’oro più un quantitativo imprecisato di argento.
Tra le 208 vittime, un funzionario del Ministero dell’Agricoltura che accompagnava il tesoro con cui l’Italia avrebbe (ufficialmente) dovuto pagare la partecipazione italiana all’Esposizione Universale tenutasi quell’anno a San Francisco.
Le cancellerie di Washington (nel disastro sono morti nove cittadini americani), Roma, Berlino e Vienna si scambiano messaggi di accusa o di giustificazione, ma solo Italia e Stati Uniti conoscono la verità: le 133.000 sovrane imbarcate sull’Ancona rappresentano una tranche di un enorme acquisto di cavalli, muli, foraggio, armi e munizioni che l’Italia – entrata in guerra da pochi mesi contro l’Austria-Ungheria – ha acquistato dagli Stati Uniti per “girarlo”, forse, in parte all’alleata Francia.
Il comandante dell’Ancona, il capitano Pietro Massardo, non mai rivelato il punto nave dell’affondamento, e per settant’anni il relitto è rimasto indisturbato. Lo ritrovò nel 1985, integro e in buone condizioni, a 471 metri di profondità, Henri Delauze, il più grande cacciatore di relitti del dopoguerra.
Da allora la caccia al tesoro è diventata un’autentica spy story, che ha coinvolto ministeri degli Esteri e tribunali. Con una lunga ricerca documentaria e testimonianze dirette, gli autori ricostruiscono l’intricata vicenda. Dopo quasi un secolo, l’Ancona e i suoi morti non hanno ancora trovato pace: i predoni del mare sono sempre in agguato: basti pensare che nel 2007 la società statunitense Odyssey Marine Exploration ha depositato al Tribunale di Tampa (Usa) una richiesta per impossessarsi del relitto, che giace in acque internazionali.
Dopo un contenzioso legale di tre anni con il governo italiano, nel 2010 il Tribunale statunitense ha congelato il caso: non si è pronunciato sulla titolarità del relitto, ma ha deciso che la Odyssey, se vorrà tentarne il recupero, dovrà avvisare le autorità italiane con almeno 45 giorni d’anticipo. Al prezzo di questi giorni, inizio settembre 2018, le 133 mila sterline avrebbero un valore mercato, al solo peso del metallo prezioso in esse contenuto, di 34,4 milioni di euro. Senza contare il plusvalore che parte di esse potrebbe avere sul mercato del collezionismo dove, all’estero più che in Italia, la memorabilia dei naufragi è assai ricercata.
Per saperne di più sulla misteriosa e sfortunata storia del piroscafo Ancona e sul suo tesoro, è disponibile il bel libro di Antonello Bellomo ed Enrico Cappelletti dal titolo Il tesoro degli abissi (Longanesi, Milano 2013).