Un asse in bronzo coniato in Sardegna nel I secolo a.C. – il Sardus Pater – ha una storia interessante e nota a pochi numismatici
di Enrico Piras | Ben poche emissioni, nella monetazione antica della Sardegna, hanno causato tante diatribe accademiche come il Sardus Pater.
Si tratta di un asse, coniato con tutta probabilità fra il 38 e il 27 a.C. circa, che reca al D/ l’effigie di Marco Azio Balbo, nonno materno di Ottaviano Augusto e propretore in Sardegna nel 60, e al R/ la testa del dio eponimo sardo, appunto il Sardus Pater.
Nel 238 a.C., la Sardegna era diventata romana. Appena tre anni prima, la conclusione della Prima guerra punica aveva sancito la vittoria di Roma e l’inizio, per Cartagine, di un periodo di decadenza politica e debolezza militare.
Così fu semplice per i Romani approfittare di una rivolta di mercenari nell’isola per impadronirsene, a dispetto dei trattati di pace successivi al conflitto che avevano stabilito una più equa distribuzione dei domini terrestri e marittimi fra le due potenze.
Tuttavia la completa pacificazione del territorio appena annesso non fu facile, e richiese oltre un secolo. I Sardi, popolo antico e per nulla incline alla sottomissione, arroccati nelle montagne dell’interno, opposero una lunga resistenza, fatta di scorribande e razzie nelle pianure. Questa ebbe il suo acme subito dopo la battaglia di Canne (216 a.C.), quando osarono sfidare i Romani in campo aperto, subendo però una decisiva sconfitta ad opera di Tito Manlio Torquato.
L’esercito romano continuò ad essere impegnato in Sardegna sino al 100 a.C. circa anche se, a quella data, la parte più importante dell’isola già sottomessa. La Sardegna era allora nota per la vastità delle sue foreste e delle colture cerealicole, al punto che Strabone favoleggiava di querceti talmente estesi da proseguire, in forma subacquea, ben oltre le coste, mentre Cicerone la definiva, insieme con l’Africa e la Sicilia, “tria frumentaria subsidia Rei publicae”, “i tre granai della Repubblica”.
Fu quindi in una terra pacificata e scarsamente popolata (non doveva avere più di 150.000 abitanti) che Marco Azio Balbo si trovò a ricoprire l’incarico di propretore nel 60 a.C.
La moneta che reca il suo ritratto fu invece coniata, come si è detto, dal 38 a.C., quindi ben oltre la fine del suo mandato e la sua stessa morte. Di qui il sorgere di molte incertezze fra i numismatici, in primo luogo circa la datazione dell’emissione.
Per diversi anni si è ritenuto che il Sardus Pater fosse stato coniato contemporaneamente al propretorato di Balbo (sul quale abbiamo pochissime notizie, desunte da Svetonio). Tuttavia, è assai improbabile collocare una moneta simile in un quadro di ordinaria amministrazione come quello in cui egli operò e del quale ci possiamo fare un’idea dai frammenti dell’orazione ciceroniana Pro Scauro: i fatti più eclatanti erano la corruzione e le ruberie di chi la governava.
Nessun episodio accertato, nessuna situazione di emergenza sembrerebbe legittimare un’emissione “personalizzata”: cosa che avrebbe costituito un precedente pericoloso. Gli studiosi odierni propendono per una datazione coeva alla definitiva presa di possesso della provincia da parte degli uomini di Ottaviano.
L’emissione si giustificherebbe con la crisi economica che, dopo il dominio di Sesto Pompeo, attanagliava la Sardegna, e con la scarsità di moneta bronzea che non veniva più coniata ufficialmente dall’80 a.C. Quanto alla scelta di effigiare un avo del triumviro, il motivo va ricercato verosimilmente nella volontà di creare un collegamento ideale fra i Sardi e il nuovo dominatore, conferendo alla moneta anche un carattere di sacralità tramite la presenza, nel rovescio, della divinità locale.
Altra questione lungamente dibattuta è stata quella del significato delle lettere PR, che seguono, nel diritto della moneta, la scritta M ATIUS BALBUS. In diversi esemplari esse sono intervallate da un punto. Grant, nel 1946, interpretò questo punto proponendo la lettura P[atronus] R[eipublicae], e arrivando ad ipotizzare che l’Azio Balbo di cui si parla non fosse quello a noi noto, ma il figlio suo omonimo.
Oggi la supposizione del Grant è stata abbandonata, anche se fu proprio lui ad arrivare per primo a una corretta datazione dell’emissione. La tesi prevalente è quella che PR significhi PRAETOR, temine che spesso si usava, dopo Silla, anche per i promagistrati al governo di una provincia. Quanto al punto separativo, sebbene gli esemplari in cui lo si trova non siano pochi, la sua presenza si potrebbe spiegare come un’inesattezza degli incisori.
Il terzo argomento controverso è quello della presenza, in numerosi esemplari, di irregolarità più o meno marcate. Io stesso pubblicai nel 1985 un Sardus Pater con due globetti. In un primo momento, anche in seguito alla rilevazione del peso, sembrò di aver individuato un sottomultiplo della moneta, il sestante.
Successivamente, un esame più accurato dimostrò però che il pezzo era stato ribattuto su un’altra monetina, di cui i globetti altro non erano che i “resti”, il che fece cadere l’ipotesi del sottomultiplo. Seguirono analisi dettagliate di circa duecento esemplari, che portarono a due importanti conclusioni.
Da un lato si accertò che i pesi per quanto riguarda il Sardus Pater sono molto variabili, e vanno da g 1,45 sino addirittura a g 10, dall’altro si constatò che i pezzi di conio regolare pesano circa g 5-6; gli altri, invece, soprattutto i più piccoli, mostrano tutti varie anomalie: alcuni hanno legenda regolare al D/ e retrograda al R/, o viceversa, in altri le legende sono entrambe retrograde, altri ancora presentano svarioni di grafia e così via.
La conclusione alla quale si è infine arrivati è che, con tutta probabilità, la moneta fu battuta col conio regolare fra il 38 e il 27 a.C. e che in seguito questo tipo monetale, presumibilmente per ragioni religiose, venne ripreso e rifatto, in maniera anche largamente imperfetta, da incisori poco esperti e analfabeti.
D’altra parte, l’importanza del culto del Sardus Pater nell’isola è documentata e testimoniata fra l’altro dallo splendido tempio di Antas, a lui consacrato, nella regione storica dell’Iglesiente.