Narrata da Livio, la storia di Tarpeia narra di un tradimento punito in modo esemplare | Una vestale simbolo di cosa accade a chi tradisce il proprio popolo
di Roberto Ganganelli | Ci piace riscoprire in queste righe un denario in argento repubblicano dell’89 a.C. a nome di L. Titurius L.f. Sabinus che, coniato dalla zecca di Roma, presenta al D/ SABINO e la testa nuda del re Tazio a destra; di fronte al ritratto A PV e, sotto il mento,un ramo di palma. Al R/, invece, troviamo l’iscrizione L TITVRI in esergo e la figura di Tarpeia, di fronte, sepolta fino alla vita da scudi, con le mani alzate mentre cerca di respingere due soldati che stanno per lanciarle gli scudi; sopra, una stella e una mezzaluna
Particolarmente affascinante è il mito di Tarpeia raffigurato su questa moneta, ben noto nell’antica Roma e narrato anche da Livio (Ab Urbe condita libri, I, 11). Traducendo liberamente, e riassumendo, Livio ci ricorda – parlando della guerra contro i Sabini – che “L’ultima e più cruenta di queste guerre fu iniziata dai Sabini e e Spurio Tarpeio era al comando della cittadella romana.
Mentre sua figlia era uscita dalle fortificazioni per andare a prendere l’acqua per alcune cerimonie religiose, Tazio la corruppe per far entrare le sue truppe all’interno della cittadella. Una volta entrata, però, la schiacciarono a morte sotto i loro scudi, così che la cittadella sembrasse esser stata presa d’assalto, e anche per avvisare – con questo sanguinario esempio – che nessun patto doveva essere mantenuto con i traditori”.
Un’altra versione narra che i Sabini avevano l’abitudine di indossare pesanti bracciali d’oro sul braccio sinistro e anelli riccamente ornati di gioielli, e che la ragazza fece loro promettere di darle “quello che avevano sul braccio sinistro”; così, i Sabini ammucchiarono i loro scudi su di lei invece dei preziosi monili d’oro.
Quale che sia “la verità nel mito”, il corpo di Tarpeia venne scagliato da una ripida scogliera sulla sommità meridionale del Campidoglio e la Rupe Tarpea, come divenne nota in seguito, divenne il luogo in cui venivano giustiziati i traditori nell’antica Roma.
La testa di Tito Tazio, re dei Sabini, effigiata sul dritto si riferisce all’origine sabina della gens cui apparteneva il magistrato che emise questo denario. Su una varietà di questa moneta, al posto del ramo di palma che allude ai successi romani nella Guerra sociale, si trova il monogramma AT, che identifica la testa come quella del re Tazio.
Una caratteristica più insolita del dritto è l’aggiunta delle lettere A PV (argentum publicum), il che significa che tali denari vennero prodotti con metallo prezioso di proprietà dello Stato romano. Un fatto non comune, ma non senza precedenti, dato che si verifica su monete di otto diversi magistrati durante il periodo repubblicano.
In seguito, tra il 19 e l’8 a.C., anche Augusto riprenderà il mito su uno dei suoi denari in argento, stavolta effigiando la povera Tarpeia, traditrice della fiducia della sua gente, senza i soldati al fianco e mentre, disperata, cerca di emergere dal cumulo di scudi che la stanno schiacciando. Pur eternato in moneta dalla Repubblica all’Impero, ecco quello che fu il triste destino di una vestale…