Fin dalla sua prima comparsa in Europa, agli inizi del XIII secolo, la Sindone (Fig. 1) è stata oggetto di reazioni contrastanti. Quel telo di lino di circa 4,41 per 1,13 metri infatti riproduce l’immagine funeraria di un corpo che ha subito una condanna tra le più atroci del tempo, riservata particolarmente agli schiavi: la crocifissione.

La Sindone, specchio di un’atroce esecuzione

Il telo descrive minuziosamente le centinaia di lacerazioni subite dal condannato in ogni parte del corpo, a seguito di una dolorosissima flagellazione alle quali si unisce il sanguinamento della testa a seguito dell’apposizione di un oggetto spinoso realizzato a mo’ di corona, mentre il braccio sinistro all’altezza del polso ed il collo del piede sinistro recano le ferite causate da un elemento che li ha perforati. Infine sulla destra, all’altezza del costato, è presente una ferita, presumibilmente prodotta da un’arma da taglio o da getto.

Fig. 1 | In alto, il telo della Sindone disteso, in basso un dettaglio del volto che vi è impresso e la celebre, prima “foto” dell’uomo della Sindone realizzata enl 1898 da Secondo Pia

È evidente quindi come non sia difficile cogliere le implicazioni che potrebbero derivare dal riconoscimento non solo dalla coincidenza delle ferite dell’uomo della Sindone con la descrizione del supplizio patito da Gesù e descritto nei Vangeli, ma dal riconoscimento della sua natura di immagine akeropìta [1] e quindi della sua autenticità. Questo naturalmente ha causato, in parallelo con i moderni sviluppi delle metodologie della ricerca scientifica, una notevolissima messe di analisi, di studi, di risultati il cui reale risultato, ad oggi, parrebbe essere quello di non aver fornito alcuna risultato certo e/o incontrovertibile.

Del resto la posta in gioco è di tale importanza e con enormi implicazioni religiose che certi risultati potrebbero apparire come “forzati” a dimostrare non tanto la realtà ma piuttosto a validare le certezze aprioristiche dei ricercatori: ne sono testimonianza i tentativi, più o meno bizzarri e fantasiosi, con i quali si è cercato di dimostrare che la Sindone era un falso realizzato tra il 1262-1388 (data calibrata a un livello di confidenza del 95%, come indicato dall’analisi C14 effettuata nel 1988) ed il 1355, data in cui il telo appare nella chiesa collegiata di Lirey, elemento questo che, se non altro, esclude, come da alcuni sostenuto, che sia stato dipinto dall’onnipresente Leonardo da Vinci!

Sempre databile alla metà del Trecento è una “placchetta da pellegrino”, riportante nel registro superiore la Sindone ed in quello inferiore gli stemmi dei primi possessori (Fig. 2) della Sindone (Geoffrey de Charny e la moglie Jeanne de Virgy).

sindone gesù cristo figlio di dio telo impronta torino religione fede cattolicesimo reliquia telo miracolo numismatica moneta solido oro fotografia secondo piaFig.1 | Placchetta di pellegrino risalente al XIV secolo (Parigi, Musèe de Cluny)

Uno dei tentativi “scientifici” maggiormente fantasiosi (tale da apparire ispirato da una accidentale distrazione nello stirare la propria camicia [2]) è quello che lo stesso autore descrive [3]. Si tratta di una complessa procedura che prevede, oltre all’uso di vari pigmenti, sali, acidi, ecc. anche la realizzazione di una macchina (definita, spero con ironia, “macchina per fare le Sindoni”) con la quale poter ottenere un telo facsimile: è stato realizzato un forno cilindrico con all’interno una serie di resistenze elettriche, una ventola ed un tubo di alluminio su cui avvolgere il telo.

Il risultato viene definito “una buona base di partenza” dall’autore dell’esperimento. Verrebbe da dire che, se tra l’ultima metà del XIII secolo e la prima metà del XIV qualcuno avesse avuto i mezzi tecnici usati per l’esperimento, questo sì che sarebbe stato un autentico miracolo!

 L’iconografia della Crocifissione di Gesù

Credo vi sia anche un altro tipo di approccio, sicuramente non il principale ma sicuramente capace di meritare una attenta riflessione. Nel 341 l’imperatore Costantino ordinò che venisse abolita la crocifissione come pena capitale “per rispetto di Gesù” ed è ragionevole che col passare degli anni evidentemente se ne siano persi alcuni drammatici dettagli, come ad esempio le modalità con le quali il condannato veniva inchiodato al patibulum: se il chiodo veniva infisso nel palmo della mano i tessuti di questa avrebbero potuto lacerarsi non potendo resistere a lungo al peso del corpo ed ai movimenti, seppur dolorosissimi, del condannato nel tentativo, alla lunga vano, di poter respirare. Alcuni ipotizzano l’inchiodatura partente dal palmo per fuoriuscire dal polso.

L’ipotesi palmo/polso appare poco funzionale per lo scopo che si voleva ottenere – bloccare il più possibile la mano al patibulum – avendo un angolo di entrata nel legno piuttosto acuta. Sembrerebbe piuttosto un tentativo per giustificare la presenza del foro da chiodo sul dorso della mano dell’uomo della Sindone e non nel palmo (Fig. 3 a sinistra).

I “negazionisti” citano infatti vari esperimenti fatti con cadaveri da cui risulterebbe che non necessariamente un chiodo infisso nel palmo di un crocifisso provoca una lacerazione del palmo stesso [4] e che semmai il foro di uscita appare sul polso poichè il chiodo “sarebbe potuto essere stato infisso inclinato” (Fig. 3 a destra) ed inoltre si portano ad esempio le stigmate dei santi che nell’iconografia pittorea o scultorea appaiono unanimemente nel palmo. Qui ci troviamo di fronte ad una vera e propria tautologia visto che si ammette che le stigmate siano inviate da quel Dio che si vuol negare come autore della resurrezione testimoniata dalla Sindone.

Fig. 3 | A sinistra, dettaglio della ferita sul polso dell’uomo della Sindone; a desta, ricostruzione dell’ inserzione del chiodo (in arancione = entrata e uscita nel polso; in verde = entrata nel palmo e uscita dal polso)

E’ plausibile che a distanza di oltre un secolo questi dettagli si siano dimenticati o trascurati, tant’è che in una tavoletta eburnea databile al 425 d.C. i chiodi sono infissi all’interno del palmo così come in una coeva porta lignea (Fig. 4). Gli scultori o i pittori, privi di una conoscenza diretta o almeno di una memoria sia di quel tipo di supplizio che, a maggior ragione, di conoscenze anatomiche dettagliate hanno logicamente visto nel palmo della mano una superficie più ampia e più “plausibile”.

sindone gesù cristo figlio di dio telo impronta torino religione fede cattolicesimo reliquia telo miracolo numismatica moneta solido oro fotografia secondo piaFig. 4 | Crocifissione: a sinistra tavoletta d’avorio, British Museum (425 d.C.); a destra, dettaglio della porta lignea di Santa Sabina (V secolo)

Il Mandylion, la Sindone e due solidi d’oro

Il nome di Mandylion è attribuito ad una tela con il volto di Cristo presente nella città di Edessa, pare, già dal VI secolo e ritenuta miracolosa (Fig. 5 a sinistra). Nel 944 lo ritroviamo a Costantinopoli dove fu portato dal generale bizantino Giovanni Curcuas, che lo aveva ottenuto in cambio di duecento prigionieri musulmani; la presenza a Bisanzio è inoltre documentata da una pagina del Codice Skylitzes (Fig. 5 a destra) conservato a Madrid. Nell’una e nell’altra immagine il volto di Cristo appare raffigurato su un telo che non sembra essere di dimensioni ridotte e limitate all’ampiezza del volto stesso, come risulta molto chiaramente nell’immagine del Codice Skylitzes dove si vede al centro un personaggio che avvicina al volto una immagine, presumibilmente sacra, dipinta su di un lungo telo tenuto sulla spalla da un altro personaggio.

Fig. 5 – Il Mandylion: a sinistra Il re di Edessa, Abgar V con in mano il telo (icona, X secolo); a destra miniatura dal Codice Skylitzes (XII secolo) in cui Costantino VII, “Porfirogenito”, riceve da Giovanni, vescovo di Costantinopoli, il Mandylion, al suo arrivo a Costantinopoli da Edessa

Ricordiamo che nella monetazione bizantina, e in particolare in quella aurea, l’iconografia è abbastanza ripetituva: al dritto il busto dell’ imperatore di fronte, con diadema, corazza ed in mano un globo crucifero; al rovescio o la Nike o la famiglia imperiale e gli eventuali associati al trono.  Alla fine del VII secolo, tuttavia, con l’imperatore Giustiniano II “Rinotmeto”, al dritto, compare per la prima volta il busto del Cristo, di fronte con la croce, con barba, vestito con il pallium ed il colombium, benedicente con la mano destra e nella sinistra i Vangeli.

È evidente anche come il volto del Cristo si presenti in forme radicalmente differenti, probabilmente a seconda dell’officina di produzione (Fig. 6). Intanto si può facilmente notare come una moneta abbia un volto non realistico, schematizzato, mentre l’altra sia fortemente realistica nella resa dei particolari del volto e presenti una sensibile somiglianza (Fig. 6 a sinistra) con il volto che ci trasmette la Sindone [5].

sindone gesù cristo figlio di dio telo impronta torino religione fede cattolicesimo reliquia telo miracolo numismatica moneta solido oro fotografia secondo piaFig. 6 | Due solidi di Giustiniano II: a sinistra, del 692-695; a destra, del 705-711

Tre sono i principali punti di similitudine: la barba bipartita e la colatura di sangue sulla fronte (interpretata come un ciuffo dei capelli); a questi possiamo aggiungere gli zigomi accentuati; possiamo dunque ragionevolmente ipotizzare che l’immagine del volto dell’uomo della Sindone fosse visibile già nella Bisanzio della fine del VII.

Si pone a questo punto la questione di quale sia stata le fonte ispirativa; avrebbe potuto essere verosimilmente il Mandylion, che però risulterebbe giunto nella capitale dell’Impero d’Oriente solo alla fine del X secolo.

Fig. 7 | Raffronto tra il volto presente sul solido di Giustiniano II ed il volto presente sulla Sindone 

C’è un’altra moneta bizantina che può aiutarci a chiarire la questione. Sempre alla fine del X secolo l’imperatore Leone VI (866-912) emette un solido (Fig. 8) con al dritto l’immagine di Gesù in trono che presenta il piede destro più piccolo e deformato, dettaglio questo abbastanza incomprensibile – nei Vangeli non vi è menzione di una tale anomalia fisica di Cristo – se non si pone la mente alle terribili modalità della crocifissione che prevedeva anche l’inchiodatura dei piedi sovrapposti. Guardando l’immagine sindonica si può notare come il piede destro resti in parte coperto dall’altro, al contrario assai ben definito.

In sintesi, l’incisore di Leone VI deve aver osservato la Sindone nella sua totale estensione, cosa che ovviamente non sarebbe stata possibile con il Mandylion, a meno che questo non fosse stato la Sindone stessa, ripiegata più volte in modo che apparisse solo il volto [6]. Volendo accettare l’ipotesi “Mandylion = Sindone”, allora possiamo indicare la presenza del telo sindonico a Edessa già alla fine del VII secolo; in caso di rifiuto dell’ipotesi accennata, resta comunque attestata la presenza della Sindone a Costantinopoli al tempo dell’imperatore Leone VI.

sindone gesù cristo figlio di dio telo impronta torino religione fede cattolicesimo reliquia telo miracolo numismatica moneta solido oro fotografia secondo piaFig. 8 | Solido di Leone VI (866-912) con il particolare del piede deformato

Da notare infine che il Cristo Pantocratore di Cefalù e quello di Monreale (entrambi iniziati nel XII secolo e terminati nel secolo successivo, Fig. 9) presentano strettissime analogie con il volto del solido di Giustiniano II.

Fig. 9 | A sinistra, il Cristo Pantocratore di Cefalù (1131-1267); a destra, il Cristo Pantocratore di Monreale (1172-1267)

Conclusioni

Si è visto come la Sindone, o meglio, la sua ipotetica realizzazione, non poteva certo essere avvenuta tra il 1262 e il 1388, come indicato dall’esame del C14 (esame sul quale molto ci sarebbe da discutere, a partire dalle modalità a dir poco dilettantesche di prelievo dei campioni a mani nude!) ma certamente esisteva già nel VII secolo, il che dovrebbe indurre ad una riflessione più attenta e libera.

Il vero problema deriva dalle implicazioni “asimmetriche”: per uno scettico, non credente, riconoscerne l’autenticità significa dover accettare la sua natura divina mentre per la Chiesa, la Sindone è prima di tutto uno stimolo intellettuale la cui contemplazione, come ci invita a fare papa Francesco, spinge tutti noi a riflettere: “Come mai fermarsi davanti a questa icona di un uomo flagellato e crocifisso? Perché l’uomo della Sindone ci invita a contemplare Gesù di Nazaret […] Questo volto sfigurato assomiglia a tanti volti di uomini e donne feriti da una vita non rispettosa della loro dignità, da guerre e violenze che colpiscono i più deboli”.

Note al testo

[1] Non dipinta da mano umana.

[2] In pratica è stato realizzato un volto in bronzo poi portato a 220° di temperatura, cui è stato sovrapposto un telo ottenendo la classica “strinatura”.

[3] Per la descrizione completa si veda: Garlaschelli L. 2024, Sindone, pp.108-112.

[4] Per la precisione va detto che tutti gli esperimenti sono stati realizzati in maniera “statica”, nel senso che tenevano esclusivamente conto del “peso morto”, quando è noto che un  uomo crocifisso, per tentare, sia pure inutilmente, di respirare era portato a muovere, per quanto lo poteva consentire la posizione, il corpo cercando di caricare il peso del corpo alternativamente dall’uno all’altro braccio.

[5] Per un approfondimento sull’argomento si veda Fanti G., Melfi P. 2020, Sindone: primo secolo dopo Cristo!, pp. 87-154.

[6] Come proposto dallo studioso inglese Wilson (Wilson I. 1978, The Shroud of Turin).