Diplomatico, letterato, uomo politico, il conte Cibrario compare su tre medaglie di notevole interesse da rileggere alla luce dei documenti d’archivio
di Roberto Ganganelli e Francesca Giorgetti | I cittadini della Repubblica di San Marino sanno bene chi fu il conte Cibrario: Luigi Cibrario, nato a Torino il 23 febbraio 1802 e morto a Trebiolo, sul Lago di Garda, il 1° ottobre 1870, ebbe infatti un ruolo primario nel riconoscimento del Titano da parte del Regno d’Italia e nella definizione della prima Convenzione di buon vicinato tra i due Stati firmata il 22 febbraio 1862.
Da plenipotenziario del governo sammarinese il conte Cibrario condusse una non semplice trattativa diplomatica che portò – sebbene con qualche termine controverso, in primis quella “amicizia protettrice” dell’Italia evocata nel testo e mal digerita dai sammarinesi – alla firma di un atto bilaterale di storica importanza, di fatto il primo passo nel riconoscimento globale della Repubblica.
Famiglia riconosciuta come “nobile” nel 1827, quella dei Cibrario aveva ricevuto il titolo comitale con il predicato “d’Usseglio” sotto Carlo Alberto, titolo che venne rinnovato anche nell’ambito del neonato Regno d’Italia con motu proprio di Vittorio Emanuele II datato 1° dicembre 1861.
Fortune del conte Cibrario fra Regno d’Italia e San Marino
Anno propizio, quel 1861, dal momento che il 28 aprile la Serenissima Repubblica di San Marino aveva – sopra mozione della Reggenza – accordato al conte Cibrario “uomo eminentemente politico, segnalato scrittore, innalzato più volte dalla Corte di Torino al seggio di Ministro Segretario di Stato, ed attuale Senatore del Regno Italiano” il patriziato per sé e per i suoi discendenti.
Da “segnalato scrittore” il conte – oltre che di storia della dinastia sabauda e altri argomenti – si era occupato anche di numismatica e sfragistica dando alle stampe assieme a Domenico Promis, nel 1833 per i tipi della Stamperia Reale di Torino, il volume Documenti sigilli e monete appartenenti alla storia della monarchia di Savoia raccolti in Savoia in Isvizzera ed in Francia per ordine del re Carlo Alberto.
Questa monografia fu pubblicata per volontà del re dopo il viaggio letterario effettuato nel 1832 dai due studiosi tra la Savoia, la Svizzera e la Francia, alla ricerca di testimonianze della sfragistica e della monetazione sabauda tra il X e il XIV secolo, primi secoli della dinastia. Nel 1834, quindi, degli stessi autori vedeva la luce Sigilli dei Principi di Savoia, sempre sotto l’egida di Carlo Alberto.
Domenico Promis era all’epoca conservatore del Medagliere Sabaudo, mentre il Cibrario si stava affermando definitivamente come storico e medioevalista, oltre che come personaggio politico e uomo di corte, ricoprendo dal 1852 anche l’incarico di primo segretario dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, che comportava anche l’amministrazione dell’ingente patrimonio dell’organizzazione equestre.
Una medaglia “transalpina” per il diplomatico piemontese
Con ritratto del conte Luigi Cibrario – erudito in varie materie, “consulente numismatico” del re Carlo Alberto di Savoia, esperto di onorificenze e di ordini cavallereschi – sono conosciute tre medaglie e la prima, opera dell’incisore francese Alfred Borrel (1836-1927), venne coniata in bronzo nel 1864 con diametro di 54 millimetri e fa parte di una serie realizzata negli anni e dedicata a personaggi illustri legati con la Francia.
Al dritto campeggia il ritratto del conte Cibrario con legenda COMTE LOUIS CIBRARIO, al rovescio tra fronde d’alloro la legenda HISTORIEN | NAT.AL DU PIÉMONT | MINISTRE | DES FINANCES | ET DES AFFAIRES | ÉTRANGÈRES | MINISTRE D’ÉTAT | SÉNATEUR che, meglio di ogni biografia, ne riassume la poliedrica attività e il prestigio raggiunto presso la corte e il governo del Regno di Sardegna prima e d’Italia poi.
Non è tuttavia questa la medaglia celebrativa di cui ci occuperemo, dal momento che non mostra nulla di “misterioso” da svelare. Al centro di questa ricerca c’è piuttosto una coniazione – anzi, due – opera di un maestro lucchese del bulino, Adolfo Pieroni, finissimo medaglista nato nella città toscana nel 1832 e morto a Firenze nel 1875.
Le medaglie del Pieroni e l’araldica del conte Cibrario
Di queste medaglie colpiscono il ritratto del nobiluomo, formidabile per espressività e rilievo e, soprattutto, il magnifico rovescio araldico che mostra più di un elemento da chiarire. Per far ciò siamo ricorsi all’esperto Maurizio Carlo Albero Gorra che ha proposto, come blasone: “Interzato in fascia: nel 1° d’azzurro, a tre colli affiancati, ognuno cimato da una torre di due palchi, il tutto al naturale, ognuna aperta e finestrata di nero, e cimata da una penna d’argento; nel 2° d’argento a sei sbarre, tre di nero e tre di rosso, alternate; nel 3° partito: in a) di verde, a due dadi affiancati d’argento, marcati di nero, il primo di un punto ed il secondo di due; in b) d’azzurro, alla banda d’oro, caricata di tre crescenti del campo, montanti nel verso della pezza e ritirati verso il capo”.
Un “mezzo incubo araldico che non può passare inosservato” secondo lo stesso Gorra e che “è uno dei pochi ad avere in capo l’emblema del Titano”, ossia le Tre Penne. Ma quale giustificazione ha questo elemento araldico, di cui il conte non si sarebbe certo potuto “appropriare” in modo unilaterale?
La risposta si trova nei verbali della Reggenza, alla data del 23 marzo 1862, giorno dopo la firma del trattato con il Regno d’Italia, in cui si legge: “[…] la Reggenza desiderando che venga data al C.te Cibrario una dimostrazione di gratitudine e di benevolenza propone;
Che venga conferita a Lui, ed a suoi Discendenti la facoltà di inquartare nello Scudo delle Armi della sua Famiglia l’insegna della nostra Repubblica, e di aggiungere alla Sua Corona Comitale il Cimiero d’una mezza figura del Glorioso nostro Protettore S. Marino”.
Il nuovo stemma, le sue versioni e alcune curiosità
Il conte Cibrario, dunque, ebbe – in virtù di tale deliberazione – pieno diritto di inquartare lo stemma con quello di San Marino mentre decise, anche questo in ragione della “facoltà” concessa, di non avvalersi sulla medaglia dell’uso cimiero raffigurante il mezzo busto del santo Marino, probabilmente perché avrebbe “offuscato” la prestigiosa corona comitale o perché la sua visione filosofica – era cattolico ma anche massone, membro della Loggia “Ausonia” dal 1860 e dal 1863 della Loggia “Cavour” di Torino – non gli fece ritenere di apporre tale simbolo al disopra dello stemma.
Il mezzobusto del santo, invece, appare nello stemma che si trova in alto a sinistra sul ritratto del nobiluomo realizzato dal pittore olandese Peter Tetar van Elven (1828-1908) nell’anno 1864 e che si trova esposto nel Museo di Stato di San Marino; una istituzione culturale l’idea della cui realizzazione venne, nemmeno a dirlo, proprio dal conte Cibrario.
Come risulta dai documenti dell’anno 1864 conservati nell’Archivio di Stato di San Marino, il ritratto fu un spontaneo dell’autore in “riconoscenza per la sua ospitalità cordiale concessagli di alcuni giorni in questa Repubblica”.
Sentito in proposito il Cibrario, nel corso dell’udienza del 19 maggio 1864 “[…] il Consiglio apprezzando il proposto parere conferì di buon grado al Sig. Cav. P. Tetan [sic] Van Elven Olandese il Grado di Cavaliere dell’Ordine di S. Marino, ordinando inviarsegli il Deploma e Croce relativa”. L’ennesima decorazione, stavolta per meriti artistici, in questa “sarabanda faleristica”.
Intrigante, nella parte araldica del dipinto, ci appare la presenza della croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro in secondo piano e quella dei due supporti d’arma; due “capri” rampanti contrapposti (forse rappresentati in quanto animali prolifici, forse scelti come simboli di ardimento sicurezza in quanto “scalatori”).
I due capri poggiano su una base su cui si legge COGITAVI DIES ANTIQVOS; completa il tutto una coppia di rami di quercia e legati da un nastro bianco azzurro – colori della bandiera sammarinese – e da un cartiglio rosso con il motto SI DEVS INTERSIT.
L’emblema araldico dei Cibrario, prima di allora, si caratterizzava soltanto per la triplice componente “sbarre-dadi-crescenti”, accompagnata con il motto COGITAVI DIES ANTIQVOS, “Ho pensato ai giorni antichi” (Salmo 76, 6) scelto probabilmente in relazione all’attività di letterato, storico e “ricercatore antiquario” svolta dal nostro già dai tempi di Carlo Alberto. Motto che in seguito il conte Cibrario cambiò – come appare nel dipinto e nella medaglia del Pieroni – per l’appunto in SI DEVS INTERSIT (“Se Dio ci assiste”, o anche “Se Dio interviene”).
Il 1869, un altro “anno di grazia” per il conte Cibrario
Non sappiamo se fu l’Onnipotente, ma certo furono da una parte sua maestà Vittorio Emanuele II re d’Italia e dall’altra l’Eccellentissima Reggenza sammarinese a rendere un altro anno, il 1869, memorabile per il conte Cibrario, tanto da portare l’incisore Pieroni a realizzare la prima versione della medaglia al centro di queste righe.
In quell’anno, infatti, in quanto “vicepresidente del Senato del Regno, ministro di Stato, primo segretario dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro”, il conte Cibrario venne decorato da Vittorio Emanuele II del collare dell’Ordine supremo della Santissima Annunziata, massima onorificenza di Casa Savoia che rendeva gli insigniti “cugini del re”. Inoltre, la concessione del collare autorizzava il beneficiario a decorare il proprio stemma con tale insegna, cosa che puntualmente troviamo sulla medaglia del Pieroni, battuta in bronzo con diametro di 55 millimetri.
Un’insegna di assoluto prestigio – anche per uno che, come Luigi Cibrario, aveva già “collezionato” onorificenze in vari paesi per la sua attività politica come ministro e come senatore del Regno – formata da quattordici maglie in oro dentro ciascuna delle quali ci sono le ultime due e le prime due lettere del motto sabaudo FERT serrate da un nodo Savoia, chiuso e smaltato di bianco e di rosso.
Le maglie sono separate da quattordici rose d’oro, alternativamente smaltate in bianco e in rosso. Al collare, al centro, è fermato un pendente in oro sospeso da tre catenelle, racchiuso da tre nodi sabaudi e con l’immagine della Santissima Annunziata colorata con smalti bianchi, rossi e blu.
Nello stesso anno, quel “glorioso” 1869, il conte ricevette anche dalla sua amata Repubblica del Titano le insegne di gran croce dell’Ordine equestre di San Marino, per merito civile, a suggello definitivo della sua amicizia con il Titano e dei servigi resi al paese. E sempre il 1869 fu l’anno in cui – come indica la data sotto il ritratto del Cibrario – l’incisore Adolfo Pieroni realizzò la prima versione della medaglia.
La medaglia del 1870, un tributo postumo
Ne esiste una seconda, in morte del conte Cibrario, che presenta le stesse caratteristiche, ma che porta al dritto la data + 1 OTT. 1870 accanto all’iscrizione PIERONI FECE. Si tratta di una coniazione che suggella nel metallo la conclusione di una vita terrena lunga (per l’epoca) e ricca di eventi, incarichi e riconoscimenti significativi.
Caratterizza questa medaglia un conio di dritto inciso ex novo, non solo come indica la data della scomparsa del conte, ma anche l’uso di caratteri di gusto medievaleggiante, dalle estremità ornate in modo diverso e più pronunciato.
Per il dritto, invece, fu usato lo stesso conio della medaglia precedente come si evidenzia fin nei minimi dettagli dello stemma, dell’elegante cornice che lo contiene (intersezione di un triangolo e di una sagoma trilobata), delle rosette di decorazione e della texture di sfondo, formata da losanghe con al centro delle piccole croci.
Quale committenza per le medaglie del Cibrario?
Resta aperto un interrogativo, come in ogni indagine che si rispetti: chi furono i committenti delle due medaglie? Non la Repubblica di San Marino, questo è certo, né la corte sabauda presso la quale il ruolo del conte era ormai divenuto marginale.
E’ ragionevole ritenere che la medaglia del 1869 fu realizzata su espresso desiderio dello stesso Cibrario a eternare nel metallo i traguardi raggiunti nel corso della sua lunga vita: una sorta, insomma, di “medaglia auto celebrativa” per un personaggio giunto al bilancio finale della propria esistenza e, probabilmente, appagato dai traguardi raggiunti.
Alla luce di tale ipotesi, per quanto riguarda la medaglia in mortem del 1870 è plausibile dunque che, a commissionarla al Pieroni, furono i figli del conte Cibrario per conto della famiglia. Del resto a quella “casata”, alla documentazione puntuale della sua nobiltà fin dal 1708, alla ricostruzione della genealogia fino al XVI secolo e alla sua elevazione al titolo comitale, Luigi aveva dedicato così tanto tempo ed energie “pro se et pro suis”.