Dal mito all’iconografia del cistoforo, una delle monete in argento più diffuse nel mondo antico nata a Pergamo e adottata anche dai Romani
a cura della redazione | Prende il nome da un recipiente di forma cilindrica destinato a contenere oggetti religiosi o usato durante i riti: “cistoforo” è il nome di un’antica tipologia di moneta in argento che reca al dritto la sacra cista bacchica.
Siamo di fronte ad un’iconografia inconfondibile che presenta un serpente che esce dalla cista, un’immagine legata al culto di Dioniso, il tutto incorniciato da una ghirlanda di foglie di quercia. La figura del serpente guizzante, col capo eretto, si ripete anche al rovescio.
Si tratta di una moneta che difficilmente ha circolato fuori dai confini dell’Asia Minore, regione all’interno della quale era seguito il culto di Dioniso, dio del vino, della natura, della gioia.
La figura di Dioniso è strettamente legata a Demetra, divinità delle messi, e per influenze frigie il suo culto venne legato a riti orgiastici con feste chiassose provocate dall’ebbrezza dei partecipanti. Quanto ai serpenti, si pensava che comparissero al manifestarsi del dio.
La mitologia narra che il divino fece la sua apparizione davanti alle Miniadi in Orcomeno mentre le donne erano intente al lavoro ai loro telai: improvvisamente nelle ceste che contenevano la lana comparvero i viticci (non dimentichiamo che Dioniso è onorato come dio che dispensa agli uomini la vite e la vita) che cominciarono a contorcersi e uscirono grovigli di serpi mentre dal tetto della casa cominciarono a gocciolare stille di vino e di latte.
Le foglie di quercia erano sacre alla dea Rea, madre di Giove, signora di tutte le cose e dispensatrice di fecondità agli esseri umani e alla natura in generale, molto amata in Frigia ed in Asia Minore col nome di Cibele.
Come risulta chiaro il culto a cui fa riferimento il cistoforo è orientale, legato alle zone della Frigia, di Efeso e di Pergamo. E proprio a Pergamo si deve far riferimento per trovare l’origine di questa moneta, per capirne il significato, per ipotizzare un data plausibile della prima emissione. Innanzi tutto va ricordato il culto privilegiato che nella bellissima città ellenistica veniva riservato a Dioniso, in quanto gli Attalidi, la dinastia che governava Pergamo, si dichiaravano suoi discendenti.
Nonostante la data di emissione dei primi cistofori sia stata molto dibattuta, pare plausibile che le emissioni iniziano attorno agli anni 166-160 a.C. La pace di Apamea (188 a.C.) aveva arricchito il regno di Pergamo di nuove città e territori già appartenuti al regno di Siria (Efeso, Sardi ecc…) che ora si presentava come un’area politicamente stabile e matura per pensare anche ad una sorta di unione monetaria; nel 168 a.C. i Galati avevano razziato il territorio ed Eumene ed Attalo II li sconfissero senza l’aiuto dei Romani, che pure avevano chiamato in aiuto.
Pergamo si sentiva forte, la dinastia venne salutata come benefattrice della Grecia (Polibio), il re Eumene II venne incoronato come un eroe. Ecco che ben presto si volle dare visibilità e risonanza al periodo favorevole facendo erigere il mitico altare di Pergamo (terminato nel 159 a.C.), decorato, tra l’altro con rilievi che evidenziavano la stirpe degli Attalidi, discendenti da Dioniso e da Ercole (il capostipite Telefo è infatti figlio dell’eroe delle mitiche didici fatiche).
Non stupisce, anzi sembra logico e plausibile, che questo momento così importante per Pergamo venisse solennizzato anche da una moneta rappresentativa di questa area geografica; il cistoforo, dunque, come moneta simbolo dell’unità geografica e culturale per creare un monopolio monetario e rinforzare il potere politico di Eumene.
È interessante notare che il peso del cistoforo, che di fatto è un tetradramma (g 12,60 circa), è calibrato sulla dracma di Rodi (g 3,5 circa), la moneta attorno alla quale gravitava Pergamo in quegli anni, più leggera rispetto alla dracma attica (g 4,2 circa). Risulta comunque evidente che è modulare al tetradramma attico, col quale i cambi potevano quindi avvenire con estrema facilità, e non è certo casuale anche che il cistoforo sia il triplo del denario romano, la moneta dei dominatori di quegli anni.
Altrettanto degna di attenzione risulta la sigla che compare solo sulle prime emissioni: si tratta delle lettere del magistrato che controllava e certificava il passaggio tra il peso attico e il peso del cistoforo, più leggero. Il fatto che questa sigla non ricorra su altre monete starebbe a testimoniare che a queste date si possono far ragionevolmente risalire i primi cistofori.
Quando i Romani occuparono questa regione mantennero la coniazione del cistoforo, segno evidente che la valuta circolava in tutta l’area con buon gradimento, particolare che i nostri scaltri antenati non fecero sfuggire.